DOI 10.35948/2532-9006/2022.25868
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A causa dell’indisponibilità del Presidente Claudio Marazzini, a cui mando a nome di tutti i presenti (e anche di chi è collegato da remoto), un saluto affettuoso e un augurio di pronta guarigione, è la seconda volta nel giro di pochi giorni che mi trovo a sostituirlo, nella mia veste di Vicepresidente, in un evento che si svolge all’Accademia. Lunedì scorso, 12 settembre, è stato per la cerimonia di consegna del premio Nencioni e per l’inaugurazione del nuovo percorso espositivo dell’Accademia, oggi avviene in occasione dell’inaugurazione del colloquio OIM e CIVIS scuola estiva Il patrimonio lessicale e culturale dell’italiano in aree linguistiche selezionate, che rientra in uno dei progetti strategici dell’Accademia, l’Osservatorio degli Italianismi nel Mondo. Il progetto è diretto oggi dall’accademico corrispondente straniero Matthias Heinz, ma ne è stato promotore e primo direttore Luca Serianni, che avrebbe dovuto partecipare e tenere un intervento. Ho così anch’io un’occasione per ricordare brevemente il collega, amico e maestro, la cui improvvisa tragica scomparsa ha colpito non solo l’Accademia della Crusca, che ha perso uno dei suoi pilastri, ma l’intera cultura italiana: la sua morte ha lasciato una ferita profonda che non si rimarginerà tanto presto e tanto facilmente.
Data la sede e l’occasione, ritengo inutile e forse anche inopportuno ricordare l’inesauribile attività di Serianni come studioso, e citare le tante cariche di prestigio che ha ricoperto e che ricopriva. Voglio invece ricordare Luca partendo dalla consonante iniziale del suo cognome, Serianni, e facendo riferimento a due parole che iniziano per esse: stile e sorriso (alla fine ne aggiungerò una terza, che non anticipo).
Comincio dallo stile di Luca, che riguardava non solo la sua scrittura, ma anche il suo modo di parlare, di vestire, di comportarsi, insomma, di vivere. Uno stile sobrio ed elegante al tempo stesso, ispirato a quei princìpi di “buona educazione” che hanno caratterizzato la sua generazione e che consistevano sia nel rispetto degli altri (specie se maggiori di età), sia anche nell’evitare atteggiamenti protagonistici, esibizioni di ricchezza, ostentazioni di bravura. Ho letto, in alcuni ritratti scritti all’indomani della sua scomparsa, parole come “umile” e “umiltà”, ma a mio parere né queste parole né quelle, che pure sarebbero state un po’ più appropriate, di “modesto” e “modestia” (nel senso, ovviamente, di “mancanza di presunzione”) gli rendono davvero giustizia. Luca scriveva con chiarezza e i suoi scritti mostrano indubbiamente la sua grande cultura, la sua intelligenza, la sua acribia, la sua originalità, ma non esibiscono queste sue doti (di cui certo era pienamente consapevole), non rivelano quei tratti diciamo “esoterici” che a volte capita di cogliere anche in testi di grandi studiosi, che finiscono col mettere in soggezione i lettori ponendoli in una condizione di inferiorità. La gentilezza di Luca nei confronti di tutti (probabilmente non tutti da lui stimati allo stesso modo) si coglieva anche nella sua scrittura, nei riguardi dei suoi lettori.
E passo al sorriso di Luca, che, per citare il Convivio del suo amato e studiato Dante, era espressione di “un’allegrezza moderata […] con onesta severitade e con poco movimento de la sua faccia”. Sì, con un ossimoro, si potrebbe parlare di un “sorriso serio”. Moltissimi dei ritratti pubblicati all’indomani della sua morte ce lo mostrano sorridente: con un sorriso a volte affabile, a volte condiscendente, a volte ironico (ma mai sarcastico), a volte timido, a volte di circostanza (come capita a tutti), a volte, forse, velato di malinconia, altre volte invece franco e coinvolgente, ma mai eccessivo, sempre contenuto, sempre controllato, proprio in nome di quella serietà (austera, ma non sussiegosa), che era, insieme alla gentilezza, un tratto costitutivo della sua personalità (e del resto a parole come serio e serietà sembra alludere, paretimologicamente. anche la sequenza iniziale del suo cognome).
Concludo con la terza parola, che non ho anticipato e che è segreto. Ammetto di averla scelta per suggestione del titolo del romanzo di Ignazio Silone (Il segreto di Luca), ma credo di poter parlare di segreto per dire semplicemente questo: in Luca Serianni noi vediamo soprattutto lo studioso, lo storico della lingua, il filologo, il linguista, maestro di legioni di allievi; lo ricordiamo nelle aule, a tenere lezioni e conferenze, impegnato a spiegare, con la sua voce calda e forte, la sua dizione impeccabile e la sua perfetta articolazione, né troppo precipitosa né troppo lenta, un canto di Dante o un fenomeno di grammatica storica. Oppure ce lo figuriamo in biblioteca intento a leggere e a studiare, oppure nel suo studio a scrivere, leggere e correggere testi altrui, o ancora al telefono o comunque in conversazione con i tanti allievi, amici, colleghi, conoscenti, che si rivolgevano a lui, ricorrendo alla sua saggezza e alla sua competenza, per consigli, suggerimenti, idee, richieste; o, ancora impegnato a presiedere o a partecipare a lavori di commissioni. Possiamo ancora immaginarlo impegnato a camminare lungo percorsi diversi, cittadini, marini e montani, oppure ad assistere a un’opera o a un concerto o a un film o a seguire una trasmissione televisiva, o a visitare un museo, un monumento, una città d’arte. Ma non riusciamo a collocarlo in una sua “vita privata”. C’è dunque qualcosa di lui che non siamo riusciti a cogliere (o, almeno, che io non sono riuscito a cogliere): c’è probabilmente un “Luca segreto”, che è stato messo certamente in ombra dal “Serianni pubblico”, totalmente dedito allo studio e all’insegnamento, ma che forse lui stesso non ci ha voluto far conoscere fino in fondo, anche in nome di quella riservatezza legata alla “buona educazione” a cui facevo riferimento all’inizio. E io credo che noi dobbiamo accettare e rispettare questo suo riserbo, tanto più ora che lui non c’è più, pensando che in fondo un’aura di mistero costituisce sempre un ulteriore elemento di fascino per una persona.
Ho detto che lui non c’è più, ma in realtà noi lo sentiamo e continueremo ancora a sentirlo vicino, grazie a tutto ciò che ci ha insegnato e a quello che ancora possiamo trarre dai suoi scritti, che sono tantissimi e che hanno abbracciato l’intero arco della storia della lingua italiana. E anche le sue doti umane, che ho rapidamente e molto parzialmente richiamato, contribuiranno a tenerne vivo il ricordo presso le tantissime persone che lo hanno conosciuto e che gli hanno voluto bene.