DOI 10.35948/2532-9006/2022.23818
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Sono pervenuti diversi quesiti sulla voce determina. Lettrici e lettori chiedono se sia più corretto usare determina o determinazione, se vi sia differenza di significato tra queste due voci, e nel caso si usi determina, quale ne sia il plurale. Qualcuno chiede anche quale sia la differenza tra una determina e una delibera.
Determina è voce assente nel lemmario dei principali dizionari della lingua italiana (manca per es. in GDLI, GRADIT 1999, DISC e Devoto-Oli 2022). Solo il supplemento al GRADIT e lo Zingarelli 2020 (consultato nella versione online) la lemmatizzano, e danno rispettivamente le seguenti indicazioni: “(TS) burocr. [2003 in "La Repubblica"; der. di determinare] determinazione, risoluzione”; “[da determinare 1998] (burocr.) risoluzione, delibera”. Si tratterebbe dunque di un derivato deverbale da determinare, attestato solo dal 1998, usato nel lessico burocratico con il senso di ‘risoluzione, delibera’. Ma sia la datazione, sia l’etimologia sia la definizione potrebbero essere meglio precisate.
Quanto alla definizione: mentre lo Zingarelli considera determina sinonimo di delibera, testi specialistici di consulenza giuridica sul senso del termine sottolineano una differenza tra i due tipi di atti. Ad esempio, in un articolo dell’avvocata Giuseppina Maria Rosaria Sgrò, pubblicato il 31/5/2021 sul sito formazioneprofessionista.it (qui), leggiamo:
La delibera esprime la volontà della pluralità di soggetti che l’ha emanata ed è proprio a questa pluralità che è imputata, piuttosto che alle singole persone che compongono l’organo.
[...]
Per poter deliberare occorre il consenso di solo una parte della pluralità dei soggetti del collegio; questa percentuale varia a seconda delle maggioranze previste dalla legge per ciascun caso (ad esempio, potrebbe trattarsi del 50%+1 dei soggetti, dei 2/3 dei millesimi di un condominio, e via dicendo).
[...]
La determina, detta anche determinazione dirigenziale, è un provvedimento di un dirigente o funzionario preposto a specifiche funzioni. Con essa i responsabili dei servizi manifestano e dichiarano la propria volontà nell’esercizio della potestà di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa. Attraverso la determina, la quale può avere o meno rilevanza contabile, i dirigenti impegnano l’amministrazione verso l’esterno. In virtù di quanto esposto, dunque, si deduce che le deliberazioni sono atti normativi che indicano un indirizzo, una programmazione, mentre le determinazioni sono atti amministrativi mediante i quali si esplica la volontà del dirigente/responsabile del servizio dell’ente. Sostanzialmente, mentre con la deliberazione vengono fornite delle disposizioni, la determinazione ha una valenza esecutiva.
Oltre a chiarire la differenza di significato tra delibera e determina, questo testo mostra anche che un’esperta del settore utilizza intercambiabilmente le due voci delibera e deliberazione, e determina e determinazione. Altrettanto intercambiabilmente sono usate determina e determinazione in un tutorial sulla redazione di questo tipo di atto, reperibile nel sito di Tiziano Tessaro, magistrato in servizio presso la Corte dei Conti di Venezia. In un testo intitolato Una check list per redigere una determina (reperibile qui) leggiamo: Riferimenti Statutari e regolamentari relativi all'adozione della determinazione, e le seguenti domande che chi redige un provvedimento dovrebbe porsi prima di licenziarne il testo: “In calce al provvedimento è riportata la sottoscrizione del soggetto abilitato ad adottare la determinazione? In calce al provvedimento è riportata la data di adozione della determinazione?”.
Il testo contiene anche un’altra indicazione importante, sulla quale torneremo.
Per ora consideriamo innanzitutto l’uso evidentemente intercambiabile di determina e determinazione in testi scritti da giuriste e giuristi; questa intercambiabilità porterebbe ad ipotizzare che determina non sia un deverbale direttamente derivato da determinare, ma una voce formata per troncamento del suffisso -zione da determinazione. L’ipotesi appare corroborata da due altre considerazioni: in primo luogo, la formazione di deverbali senza suffisso femminili in -a è assai poco produttiva nell’italiano d’oggi (ne abbiamo parlato già qui); al contrario, la formazione di nomi in -a tramite il troncamento del suffisso da un preesistente nome deverbale in -zione derivato da un verbo della prima coniugazione è molto comune, da almeno due secoli, proprio nel lessico tecnico giuridico e burocratico al quale anche determina appartiene (così come delibera, che nel primo testo citato appare anch’esso usato intercambiabilmente con deliberazione).
Il fenomeno della formazione di nomi femminili in -a per troncamento del suffisso di un deverbale (soprattutto -zione, ma in qualche caso anche altri suffissi) è stato fortemente stigmatizzato da studiosi di impostazione puristica. In particolare, si scagliano ripetutamente contro questo tipo di formazioni Pietro Fanfani e Costantino Arlía nel Lessico dell’infima e corrotta italianità (1890 [18771]). Fanfani e Arlía commentano in modo spesso gustoso diverse di queste voci, che chiamano di volta in volta “mozziconi”, “spezzoni” o addirittura “cani senza coda”. Una spiegazione particolarmente informativa e esemplificativa dello stile del Lessico si ha alla voce dichiara:
Dichiara. Questo mozzicone della voce Dichiarazione è in grand’uso nelle provincie superiori; e avendo preso posto nelle leggi e negli atti del Governo, è stato abboccato dagli altri popoli d’Italia. [...] Di sì fatta voce ne parla con garbata ironia il signor Eraclide Bartoli, nel suo grazioso libretto intitolato: Du’ Baje, pag. 18. Uditelo: «Dichiara: I così detti buoni scrittori […] usavano Dichiarazione; ma gli orecchi moderni, temprati un pochino meglio, hanno sentito tutto il goffo di quel zione, il quale, a dirla com’è, ti dà figura di uno Zio che pesi tre in quattro cento libbre, un quid medium tra l’uomo e il baobao, e non ne vogliono più oltre. Appoggiato all’analogia, proporrei di liberare da quel fastidio di coda anche qualche altra voce, e dire p. es.: in luogo di Determinazione, Determina; di Osservazione, Osserva: di Ursurpazione: Usurpa; di Applicazione, Applica, e vattene là. […]»
Si noti che Bartoli, che scrive nel 1871 (il suo Du’ baje: strenna pel 1872 è apparso a Cingoli nel 1871 per i tipi di Teresa Falconi), per dimostrare quella che egli considera l’assurdità di queste formazioni, cita tra l’altro proprio determina da determinazione, attestando così paradossalmente la disponibilità di questa forma già negli anni Settanta dell’Ottocento. La metafora bartoliana del taglio della coda è raccolta da Fanfani e Arlía, che per es. alla voce ratifica scrivono:
Ratifica. Per Ratificazione, Confermazione è il solito smozzicone. Ad alcuni sembra spedito, ma non bello. Cui piace se lo goda; ma è un cane senza coda.
Nonostante l’opposizione puristica, questo tipo di formazione si è affermato, soprattutto nel lessico burocratico e giuridico (per un approfondimento, si può vedere Thornton 2004). In genere il derivato suffissato e quello troncato sono sinonimi: solo in qualche caso si è sviluppata una differenziazione semantica tra i due (per es. tra classificazione ‘il classificare e il suo risultato, spec. con riferimento alla sistemazione tassonomica delle specie animali e vegetali’ e classifica ‘graduatoria in ordine di merito degli atleti o delle squadre al termine di una competizione sportiva’). In generale, un’estensione di significato nei derivati deverbali dal senso di ‘azione del verbo base’ a ‘risultato, prodotto dell’azione del verbo base’ è molto comune: si pensi a costruzione, che indica sia ‘l’azione del costruire’ sia ‘l’opera costruita, edificio, fabbricato’ (definizioni tratte dal GRADIT con adattamenti). Un’eventuale differenziazione che assegni a una delle due forme tra determinazione e determina il senso di ‘atto del dirigente’ e all’altra quello di ‘documento che contiene il testo dell’atto’ non sembra al momento sussistere: le due forme si usano in maniera in larga misura intercambiabile.
Ogni dubbio su determina sembrerebbe quindi risolto. Tuttavia, sull’origine di determina è possibile formulare anche un’altra ipotesi: potrebbe trattarsi di uno di quei nomi che Bruno Migliorini battezzò “nomi cartellino”, cioè nomi che sono il risultato della “sostantivazione di frasi, parole, persino lettere singole, insomma brevissime citazioni isolate dal loro contesto e trattate come se fossero incluse tra virgolette” (Migliorini 1975, p. 222). Tra questi, Migliorini segnala in particolare nomi che nascono dalla sostantivazione di forme, per lo più verbali, scritte su documenti con valore giuridico, spesso in modo da metterle particolarmente in risalto dal punto di vista grafico, per esempio centrandole su una sola riga e scrivendole in carattere maiuscolo. Tra gli esempi citati da Migliorini proclama, vaglia, pagherò, visto. Il nostro determina presenta tutte le caratteristiche di un nome cartellino. Nel testo già citato di T. Tessaro, tra le procedure di controllo che l’estensore del provvedimento deve mettere in atto è elencata la seguente: «La definizione del complesso di decisioni indicate in motivazione è esplicitata con la formula “DETERMINA”?». Si noti il carattere maiuscolo della “formula” citata. La forma “DETERMINA” scritta per lo più in maiuscolo e centrata su una riga a sé compare in numerosi Atti delle Pubbliche amministrazioni e istituzioni: ne ho trovato esempi in tutta Italia, dalla Provincia autonoma di Trento (per es. qui), all’Università della Calabria (Figura 1).
Fig. 1 - Parte di una determina dell’Università della Calabria
L’insieme di elementi passati in rassegna fin qui non permette di decidere con certezza se determina debba considerarsi formato per troncamento del suffisso da determinazione, o per sostantivazione della forma di terza persona singolare del presente indicativo del verbo determinare, tramite il processo che ha portato alla formazione anche di altri “nomi cartellino”. Si noti però che mentre altri nomi cartellino tratti da forme verbali terminanti in -a sono stati sostantivati come nomi maschili (il proclama, il vaglia), determina è femminile, il che avvalora l’ipotesi che sia stato formato per troncamento di determinazione, da cui eredita il genere; di conseguenza il nome è stato accolto nella classe di flessione dei nomi (tutti femminili) con singolare in -a e plurale in -e, come casa, mamma, ecc.; il plurale di determina è quindi senz’altro determine (nonostante il correttore di Word me lo segnali come errato, mentre non interviene sul singolare), come è testimoniato anche dall’uso attestato nell’atto dell’Università della Calabria (si veda la prima riga del documento parzialmente riprodotto in Figura 1).
Determina è di uso corrente anche in testi giuridici della massima autorevolezza: ad esempio, nella sentenza del Consiglio di Stato sez. V, 15/05/2019, n. 3147 compare più volte la formula “determina a contrarre”, e tale atto è così definito: “la determina a contrarre adempie alla funzione della corretta assunzione dell'impegno di spesa da parte dell'Amministrazione, esaurendo gli effetti all'interno dell'Amministrazione”.
Infine segnaliamo che determina è utilizzato anche dall’amministrazione dell’Accademia della Crusca: il Presidente dell’Accademia emana una determina su delega rilasciata dal Consiglio direttivo con una sua deliberazione, come si evince dall’incipit di uno di tali atti:
Il Presidente dell’Accademia della Crusca, giusta delega rilasciata dal Consiglio direttivo con deliberazione n. 318 del 30 ottobre 2017 [...]
Tuttavia, a differenza di quanto accade nei documenti dell’Università della Calabria e di altre amministrazioni, nei documenti dell’Accademia denominati “Determina del Presidente” (seguono questo titolo un numero progressivo e la data di emanazione) la forma verbale centrata e scritta in neretto maiuscolo non è “determina” ma “dispone” — forma che, almeno per ora, non ha dato luogo a un nome cartellino.
Nota bibliografica: