Parole nuove

Questioni di cromatismo politico: rossobruno e rossobrunismo

  • Sara Giovine
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2025.41602

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In un’intervista rilasciata al quotidiano online “Ticinolive” nel marzo 2017, Diego Fusaro, filosofo, opinionista, e personaggio mediatico noto per le sue dichiarazioni spesso polemiche e controverse, definisce con queste parole il fenomeno del “rossobrunismo”, e la posizione politica di chi vi aderisce, il “rossobruno” (una denominazione, come vedremo, di origine e uso per lo più dispregiativo):

Rossobrunismo è la classificazione di ogni possibilità di resistere al mondialismo, mentre l’unica resistenza possibile può scaturire solo da una dinamica di deglobalizzazione, difesa nazionale e risovranizzazione dell’economia. Rossobruno è chiunque che [sic], consapevole che l’antagonismo odierno si basi sulla verticale contrapposizione tra servi e signori e non su vane divisioni orizzontali, oggi rigetti destra e sinistra. Pertanto, viene bollato come gli estremi di esse. Oggi chiunque propugni un’economia di mercato sovrana, viene automaticamente chiamato Rossobruno. […] È colui che critica il capitale, che vuole una riorganizzazione in termini di sovranità[,] si pone in contrasto al capitalismo, e pone le basi per una collaborazione sovranazionale, il che non significa l’appiattimento della globalizzazione, dimentica dell’identità nazionale, quanto piuttosto un rapporto tra nazioni in termini di equilibrio, autodeterminazione e orgoglio identitario. (Chantal Fantuzzi, Fusaro: “Rossobrunismo e Interesse Nazionale: Armi Culturali Contro il Capitalismo mondialista”, ticinolive.ch, 30/3/2017)

Il passo risulta significativo in quanto testimonia un inedito impiego dei termini rossobrunismo e rossobruno, privi di quella connotazione dispregiativa a essi normalmente associata nell’àmbito della polemica politica e giornalistica, in cui ricorrono soprattutto come etichette denigratorie per screditare e delegittimare la posizione di partiti, movimenti ed esponenti politici avversari. Additato da molti come uno dei principali esponenti del “rossobrunismo” in Italia, Fusaro è infatti tra i pochi a non rigettare la qualifica, ma anzi a rivendicare l’adesione al pensiero politico “rossobruno”, di cui mette qui in luce gli aspetti a suo giudizio più meritori: la critica del capitalismo e della globalizzazione, unite alla difesa dell’economia e dell’identità nazionale. La definizione proposta, pur offrendo un interessante spunto per l’avvio della nostra riflessione lessicografica, è tuttavia formulata con il ricorso a un numero eccessivo di parole tecniche e a una sintassi piuttosto complicata. Proviamo quindi a chiarire, in termini il più possibile precisi e oggettivi, che cosa sia da intendere con rossobrunismo e rossobruno, ricostruendo l’origine, gli usi e la diffusione in italiano delle due voci.

Pur nella difficoltà di fornire una definizione univoca di una realtà politico-culturale complessa come quella del “rossobrunismo”, possiamo dire che rossobruno e rossobrunismo sono utilizzati oggi in italiano per indicare un’ideologia, o, con termine storicamente meno connotato, una cultura politica a cui afferiscono movimenti, partiti e formazioni eterogenee, accomunati dal convergere di idee e posizioni proprie sia della cosiddetta estrema sinistra, sia della destra più reazionaria. I capisaldi del pensiero politico “rossobruno” sono in particolare: la difesa e la rivendicazione della sovranità nazionale (il cosiddetto sovranismo, cfr. la scheda di Matilde Paoli) e la critica alla globalizzazione, che si traducono anche in un marcato antimperialismo, antieuropeismo e antiamericanismo (con il rifiuto di organismi sovranazionali quali l’Unione Europea e la NATO, e talora anche della moneta unica europea); la contestazione delle attuali politiche di accoglienza, unita a un generale sentimento anti-immigrazione; il distacco, che può spingersi fino alla condanna, dalle battaglie civili della cosiddetta sinistra progressista (in particolare delle rivendicazioni del femminismo e della comunità LGBTQIA+); la promozione di forme di statalismo economico, talora combinate a una critica più o meno serrata del sistema capitalistico; la diffidenza nei confronti dei mezzi di comunicazione tradizionali e delle fonti di informazione ufficiali, in qualche caso spinta fino al cospirazionismo (in relazione per es. alla pandemia di Covid e all’uso dei vaccini); e il tendenziale ricorso a un linguaggio politico di stampo populista.

In Italia il fenomeno ha cominciato a emergere e ad assumere progressivamente visibilità a partire dal secondo decennio del Duemila, in particolare in seguito alla formazione, nel giugno 2018, del governo Lega-Movimento 5 stelle, e come conseguenza della crescente diffusione, in tutta Europa, di partiti e formazioni politiche di impronta populista e sovranista. A proposito del governo italiano, in alcuni interventi si è infatti parlato, oltre che di governo giallo-verde, per i colori prevalentemente associati ai due partiti (si legga in proposito l’articolo di Paolo D’Achille, Gialloverde, in “Italiano digitale”, VII, 2018/4, pp. 79-84), anche di rossobrunismo e di alleanza rosso-bruna, per la coalizione tra un partito come la Lega, che aveva assunto posizioni proprie dell’estrema destra, a cui è tradizionalmente associato il colore nero (ma sarebbe più corretto parlare di destra populista) e un partito anti-sistema a vocazione post-ideologica, ma con posizioni vicine, su determinati temi, a quelle della sinistra tradizionale, a cui è invece associato il colore rosso (la denominazione è per esempio proposta in questo articolo pubblicato sulla testata online “Linkiesta”). Negli stessi anni, il “rossobrunismo” è stato inoltre riconosciuto, talora impropriamente, alla base di altre alleanze o convergenze politiche inedite in Europa, quali per es., in Grecia, l’accordo tra la coalizione di sinistra radicale Syriza e il partito nazionalista di destra Anel (che ha portato alla formazione di un governo guidato da Alexis Tsipras, leader di Syriza, con Panos Kammenos, capo di Anel, come ministro della Difesa; se ne parla per esempio in questi articoli di “Panorama”, e del “Corriere della Sera”); o, in Francia, in occasione delle elezioni presidenziali, la convergenza (per esclusive ragioni di strategia elettorale) tra il partito di sinistra radicale La France Insoumise, guidato da Jean-Luc Mélenchon, e quello di estrema destra Front National, guidato da Marine Le Pen, che si appella agli elettori del primo in vista del ballottaggio contro Emmanuel Macron, capo del partito liberale di centro En Marche (se ne discute per esempio in questo articolo della testata online “Next”).   

La convergenza tra il pensiero e le posizioni della destra e della sinistra estreme, e in particolare tra i principi del nazionalismo e del socialismo, non rappresenta tuttavia una novità assoluta nella storia della politica mondiale: come ricostruito in alcuni contributi di approfondimento storico-politico di impianto specialistico o divulgativo (tra cui l’articolo Rossobruni di Andrea Daniele Signorelli, pubblicato sulla rivista “il Tascabile” di Treccani; il saggio di Alessandro Pascale Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari, 2023, contenente una sezione sul “rossobrunismo”, consultabile anche online; e i volumi di Stefano G. Azzarà, Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d’egemonia?, 2018, e di David Bernardini, Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa, 2020), i precedenti storici del fenomeno possono essere individuati già in alcune esperienze politiche del Novecento. Tra queste, il nazional-bolscevismo o nazional-comunismo di alcune formazioni politiche attive in Germania nel primo dopoguerra, che videro l’unione tra esponenti dell’estrema destra rivoluzionaria e i marxisti del Partito Comunista Operaio di Germania (KAPD), in ottica antiborghese, antiliberale e contro il nuovo “ordine” imposto dal trattato di Versailles; la corrente del cosiddetto fascismo di sinistra o rivoluzionario nell’Italia degli anni Venti, che sarebbe stato poi riassorbito nella linea dominante del fascismo di regime; i gruppi extra-parlamentari di estrema destra noti come nazi-maoisti, attivi in Italia in ambito universitario a cavallo tra anni Sessanta e Settanta, che univano suggestioni nazionaliste e socialiste a una rilettura del pensiero del leader comunista cinese Mao Tse-tung; o ancora, nel contesto della Russia post sovietica dei primi anni Novanta, il nazional-bolscevismo di alcune formazioni politiche patriottiche, socialiste e antiliberiste che si opponevano al governo di Boris El’cin, tra cui il Partito Comunista della Federazione Russa di Gennadij Zjuganov e il Fronte Nazionale Bolscevico (poi divenuto partito), guidato da Eduard Limonov e Aleksandr Dugin. Tuttavia, con la sola eccezione dell’ultima, su cui torneremo tra poco, per tutte queste esperienze sono state utilizzate altre denominazioni, differenti da rossobrunismo e rossobruno, la cui coniazione e diffusione in italiano risulta relativamente recente.

Dal punto di vista linguistico, il sostantivo rossobrunismo rappresenta un derivato dell’aggettivo e sostantivo rossobruno, con l’aggiunta del suffisso -ismo, particolarmente produttivo nell’italiano contemporaneo nella formazione di nomi astratti indicanti movimenti, ideologie, comportamenti e atteggiamenti individuali o collettivi. A sua volta, rossobruno (attestato sia in forma univerbata, sia con trattino a unire i due elementi componenti) è un composto aggettivo + aggettivo, formato da due termini di colore (o cromonimi), legati tra loro da un rapporto di tipo coordinativo-additivo, ossia che affianca e somma il significato dei due aggettivi (rosso e bruno). Il composto, nel significato letterale di tipo cromatico, e con legame di tipo non coordinativo-additivo bensì determinativo (ossia con il secondo aggettivo che precisa e determina il significato del primo), significato ancora vivo (cfr. Maria Grossmann, Paolo D’Achille, Compound color terms in Italian, in Lexicalization patterns in color naming. A cross-linguistic perspective, a cura di Ida Raffaelli, Daniela Katunar, Barbara Kerovec, Amsterdam, Benjamins, 2019, pp. 61-79, che a p. 68 citano pelame rosso-bruno), è attestato in italiano almeno dall’Ottocento: lo documenta il GDLI, che registra l’aggettivo nel significato di ‘che ha colore rosso con sfumature brune o scure’, con attestazioni dal Vocabolario di Carena, da D’Annunzio (che nella sua scrittura ricorreva ampiamente a composti formati con nomi di colore) e da Mario Soldati:

La mammola è pur tanto comune quanto nota, e la gialla e la rossobruna sono ricercatissime pel loro soavissimo odore. (Giacinto Carena, Nuovo vocabolario italiano d’arti e mestieri, Milano, Pagnoni, 1868)

Le castagne cadono dagli alberi, talune nel mallo che somiglia una raganella raggomitolata, altre nel mallo semiaperto, altre escite dal mallo, nude, d’un color rossobruno lucido. (Gabriele D’Annunzio, Altri taccuini, Milano, Mondadori, 1976 [1915])

Un campanile che spunta a lato, di là dai tetti rossobruni. (Mario Soldati, Vino al vino, Milano, Mondadori, 1981)

Nell’accezione politica di nostro interesse, l’aggettivo risulta invece attestato solo a partire dall’inizio degli anni Novanta, quando i media italiani e in generale il dibattito politico riprendono e traducono la voce russa krasno-korićnevyj, coniata da politici e giornalisti vicini al presidente Boris El’cin per indicare gli esponenti e i sostenitori delle formazioni nazional-bolsceviche che si oppongono a quest’ultimo: per essi si parla inizialmente di “camicie rosso-brune”, con probabile riferimento ai colori delle loro bandiere (che riprendono quelli della bandiera nazista), e forse anche con allusione alle cosiddette “camicie brune”, una formazione paramilitare attiva nella Germania nazista (la Sturmabteilung, ossia ‘sezione d’assalto’, nota anche con l’acronimo SA); e poi più in generale di “alleanza rosso-bruna”, “ideologia rossobruna”, “voto rossobruno”, e anche di rossobruni con uso sostantivato:

Il presidente russo, e i suoi più stretti collaboratori, tra cui il segretario di Stato Burbulis, il ministro dell’Informazione Poltoranin, il capo della polizia Mosca Murashov e la leadership del gruppo radicale “Russia Democratica”, sarebbero tutti “agenti d’influenza della Cia”, che hanno fatto il “gioco degli Stati Uniti”, provocando il crollo dell’Urss. A lanciare questa accusa, in una lettera sul quotidiano Sovetskaja Rossja, sono Sergej Baburin e altri deputati dell’opposizione più reazionaria, legati al disciolto partito comunista e ai neo-nazionalisti: l’alleanza di camicie “rosso-brune”, come li chiamano i giornali di Mosca. (E[nrico] F[ranceschini], I nostalgici accusano ‘Eltsin è un agente della Cia’, “la Repubblica”, sez. Politica estera, 22/11/1992, p. 14)

Ma la novità più sorprendente della giornata è stata la sostanziale apertura del presidente verso i comunisti, che si sono ricostituiti in partito tre settimane fa. Eltsin lo ha fatto in un’intervista alla Pravda (un fatto già di per sé clamoroso) col tono dell’ironia (“Non li chiamerò più rosso-bruni”, come faceva ultimamente alludendo all’alleanza di fatto che si è creata tra le estreme destra e sinistra) e con quello serio della politica: “Tra i comunisti vi sono persone e settori del movimento con i quali si può discutere”. (Cesare Martinetti, Eltsin sorride ai comunisti, “la Stampa”, sez. Estero, 3/3/1993, p. 9)

È un saggio intitolato Che cosa vogliono i russi? (Edizioni Theoria, pagg. 173, lire 18.000), in cui lo slavista Piero Sinatti ha raccolto gli interventi di intellettuali, politici, storici a un dibattito organizzato dalla Fondazione Gorbaciov a Mosca; con una appendice sulla incredibile alleanza “rosso-bruna” sbocciata in Russia negli ultimi due anni, e culminata il 3 ottobre nella insurrezione armata contro Eltsin di gruppi estremisti un tempo nemici, ora felicemente riuniti sotto svastica, falce e martello. (Enrico Franceschini, Boris il violento, “la Repubblica”, sez. Cultura, 4/11/1993, p. 32)

Io rifiuto la formula del “capitalismo coloniale”, usata dagli ideologi nazionalcomunisti. Solo l’aggressiva demagogia “rosso-bruna” vede del colonialismo nel fatto che si vendano immobili a stranieri o si acquistino automobili occidentali o si beva Pepsi-cola. Si tratta di idee che attecchiscono come parassiti in un profondo complesso di inferiorità nazionale. (Vittorio Strada, Russia: capitalisti allo sbaraglio [Intervista a Nikolaj Shmeliov], “Corriere della Sera”, sez. Terza Pagina, 22/8/1994, p. 17)

Come si può rilevare dalle attestazioni riportate, la forma, inizialmente impiegata quasi solamente con grafia analitica (con trattino a unire i due elementi componenti) e spesso tra virgolette (a segnalare la novità dell’espressione), è usata con intento denigratorio nei confronti di avversari politici accusati di sostenere una versione distorta dell’ideologia socialista, contaminata da forme di nazionalismo estremo, pressoché prossime al pensiero nazista e fascista. Ne sono prova le occorrenze, rilevate anche nei principali quotidiani italiani, nei discorsi di politici e intellettuali russi che si difendono dall’accusa di “rossobrunismo”, prendendone le distanze o precisando la loro posizione: 

Oggi ho un peso sul cuore: quasi tutta l’intellighenzia russa è per Eltsin e io sono contro. È sempre penoso, e un po’ vergognoso, essere soli e così inseguo con affanno l’amico fraterno, la conoscente di buon cuore, un occasionale passante: ma come? Non sapete che il presidente di una nazione non ha il diritto di violare la legge? E mi sento rispondere: ma allora sei dalla parte dello schifosissimo Soviet supremo, di quella carogna di Khasbulatov, dei comunisti e dei rossobruni! Ma no, grido nel sonno, con quella gente ho litigato tutta la vita, ma Eltsin non doveva permettersi di sciogliere il Soviet supremo. (Andrej Sinjavskij, Sinjavskij: “Io, anticomunista e nemico di Eltsin”, “Corriere della Sera”, sez. Esteri, 12/10/1993, p. 8)

Io non condanno e non giustifico nulla. Io studio il comunismo come ho sempre fatto. Dopo la morte di Stalin ho smesso di essere anti-stalinista perché non aveva più senso esserlo. […] Quando è apparso Gorbaciov ho cominciato a analizzare lui come prima feci con Stalin e con Breznev. E ho rifiutato lui, e Eltsin, come rifiutai Stalin e Breznev, perché ho visto che erano variazioni dello stesso tema. I loro adulatori non me lo hanno mai perdonato e ora mi accusano di essere un “rosso-bruno”. (Giulietto Chiesa, Zinoviev: Russia mia sempre tradita, “La Stampa”, sez. Società & Cultura, 17/11/1993, p. 15)

Una precoce e isolata attestazione dell’aggettivo rossobruno con accezione politica si può in realtà rilevare nella stampa italiana già in un articolo della fine degli anni Sessanta, in cui assume tuttavia un significato differente, a indicare l’ideologia nazionalsocialista (con riferimento quindi ai colori rosso e nero della bandiera nazista). Nell’articolo si dà infatti notizia della pubblicazione imminente di un “libro rosso-bruno”, che conterrebbe rivelazioni sul passato “rosso e bruno”, ossia nazista, di alcuni dirigenti dei partiti di maggioranza in Germania (i cristiano-democratici di CDU e CSU e i social-democratici della SPD), come risposta alla proposta di scioglimento del partito nazional-democratico di Germania (NPD) a causa della sua pericolosa vicinanza alle idee naziste:

Di fronte al pericolo il capo del NPD, Adolf von Thaden, ha preannunciato oggi ad Hannover la distribuzione di “milioni di copie” di un “libro rosso-bruno” che conterrebbe rivelazioni sul passato, appunto, “rosso e bruno” dei dirigenti dei due “partiti dell’unione” (CDU e CSU) e del partito social-democratico. Notoriamente alcuni di questi dirigenti – tra i quali il cancelliere Kiesinger e i ministri Schroeder e Schiller – erano iscritti al partito nazista, nel quale non avevano però cariche importanti, mentre altri – come il ministro Wehner – erano comunisti o avevano militato in formazioni partigiane anti-tedesche (è il caso, quest’ultimo, del vice-cancelliere Brandt). (Vittorio Brunelli, Il secondo Adolfo accusa Kiesinger di nazismo, “Corriere della Sera”, sez. Ultime notizie, 17/12/1968, p. 18)

Non è da escludere che il concetto di “rossobruno” formulato da politici e giornalisti russi, a indicare spregiativamente una commistione del pensiero di estrema destra ed estrema sinistra, possa essere stato ripreso proprio dal dibattito sorto in Germania nel secondo dopoguerra, ma non è  stato possibile rinvenire attestazioni a conferma di tale ipotesi. Possiamo invece affermare con sicurezza che l’uso dell’aggettivo e del sostantivo rossobruno nel significato politico attuale sia da ricondurre proprio all’impiego che se ne è fatto nel dibattito politico e giornalistico della Russia post-sovietica, con riferimento a formazioni e partiti di orientamento nazional-bolscevico, un dibattito di cui è giunta eco anche nel nostro paese, insieme al traducente italiano del composto russo. Nel corso degli anni Novanta, la forma ha poi continuato a essere occasionalmente impiegata nei giornali italiani, e in particolare negli articoli di cronaca estera, con riferimento al nazionalismo serbo e al contesto storico-politico del coevo conflitto dei Balcani, come per es. in:

In pagine molto tese, Bettiza vede nel “nazionalismo panserbo”, responsabile del genocidio balcanico, “l’osmosi” fra il comunismo e il nazismo, affratellati post mortem. L’ombra rossa, diventata “rosso-bruna” proprio per il miscuglio di bolscevismo e hitlerismo, tende pericolosamente ad allungarsi. (Nello Ajello, Novecento spaccato in due, “la Repubblica”, sez. Cultura, 3/4/1998, p. 41)

Fu dal Kosovo, una decade fa, che l’erratico comunista di Belgrado si convertì al più sfrenato nazionalismo privando due milioni di kosovari albanesi dell’autonomia e trasformando la loro terra in un carcere serbo. Fu da Pristina che la sua stella rossobruna spiccò il volo nei cieli procellosi della Jugoslavia in disfacimento. (Enzo Bettiza, Milosevic, il Ceausescu di Belgrado, “la Stampa”, 25/3/1999, p. 5)

Si tratta in ogni caso di occorrenze isolate, che resteranno tali fino al secondo decennio del Duemila, quando il termine conosce una rinnovata fortuna, come conseguenza della progressiva affermazione in Europa di movimenti, partiti e coalizioni di ispirazione più o meno marcatamente populista e sovranista, in cui siano riconoscibili alcuni elementi propri degli estremismi di destra e di sinistra. Se ne è parlato, talora impropriamente – oltre che a proposito dei casi della Grecia e della Francia già citati –, con riferimento alle politiche di Theresa May in Gran Bretagna, che avrebbe unito un “populismo anglicano e un conservatorismo rosso-bruno”, che mescolava “statalismo, critiche all’economia di mercato e denuncia dell’immigrazione” (Nicolas Baverez, I danni dei demagoghi, “la Repubblica”, 12/6/2017, p. 29), e soprattutto del Movimento 5 Stelle in Italia. Per quanto riguarda quest’ultimo, la categoria di “rossobruno” viene chiamata in causa specialmente per riferirsi all’alleanza di governo stretta con la Lega nel 2018, e più in generale alle posizioni di alcuni dei suoi esponenti o di altre personalità pubbliche vicine al Movimento (tra tutti, Alessandro Di Battista, Marco Travaglio e lo stesso Beppe Grillo). Alla più recente fortuna del termine ha senz’altro contribuito la coeva circolazione di altri composti di tipo coordinativo-additivo formati con nomi di colore e significato politico: oltre al già citato gialloverde, ormai registrato nelle ultime edizioni dei principali dizionari dell’uso (tra cui Devoto-Oli e Zingarelli) in virtù della sua affermazione nella lingua corrente, possiamo citare anche i casi di rossoverde ‘basato sull’alleanza tra forze di sinistra ed ecologiste; sostenitore di tale alleanza’ (già Grossmann e D’Achille, cit., p. 68, segnalano “governi rosso-verdi ‘[lit. red-green governments] governments formed of Communists and Greens’” e “alleanze rosso verdi ‘[lit. redgreen alliances] alliances between Communists and Greens’) e giallorosso ‘relativo al governo formato nel 2019 dal Movimento 5 Stelle, dal Partito Democratico insieme ad altre formazioni di centrosinistra; membro di tale governo’, entrambi accolti nella lessicografia contemporanea.

Agli stessi anni è databile anche la prima circolazione in italiano del derivato rossobrunismo: le prime attestazioni del sostantivo che è stato possibile rinvenire attraverso una ricerca in rete (per cui ringrazio Mauro Azzolini) risalgono al 2011-2012, in portali dedicati all’approfondimento politico (sempre in una prospettiva ideologicamente orientata, per lo più critica nei confronti del concetto o dell’etichetta impiegata), o nelle pagine di collettivi e organizzazioni politiche, soprattutto di orientamento comunista:

Incapace di interpretare l’esistente, l’estrema (destra e sinistra in questo caso si toccano) tende a leggere sempre una sorta di piano segreto e mai un’evoluzione naturale di politiche economiche predatorie, quelle neoliberali, sfuggite agli apprendisti stregoni. […] Gheddafi diviene un fulgido esempio di antimperialismo da difendere dal complotto giudaico-statunitense. Come si vede è l’estrema destra a condurre le danze ma all’estrema sinistra non repelle accodarsi. La cartina tornasole del rossobrunismo è proprio il disprezzo razzista per i migranti: cosa importa se Gheddafi li massacrava per conto di Maroni, lui è il nostro campione contro l’Amerika. (Gennaro Carotenuto, Libia: sui rossobruni e sulla sinistra acritica su Gheddafi, ottimi articoli di Mazzetta e Moscato, gennarocarotenuto.it, 25/8/2011)

Il rossobrunismo è una galassia costituita da più approcci teorici, convergenti però in un comune obiettivo: gettare confusione e divisione tra i comunisti e, più in generale, gli internazionalisti. Esiste, infatti, l’interpretazione “comunitarista”, di cui il massimo esponente in Italia è Costanzo Preve, proveniente dalle fila della sinistra extra-parlamentare, poi approdato ad una graduale abiura del marxismo, fino alla teorizzazione dell’incontro fra comunismo e nazifascismo in un comune terreno anticapitalista. (Daniele Maffione, Il nostro antifascismo: un programma di azione, giovanicomunisti.it, 13/4/2012)

Il sostantivo comincia tuttavia a conoscere una più ampia diffusione nell’uso, soprattutto nella scrittura giornalistica e nel dibattito politico nazionale, solamente a partire dal 2018, in particolare in seguito alla pubblicazione di un articolo sulla rivista “Rolling Stones” che propone un inquadramento del fenomeno in Italia (per cui si parla in maniera sprezzante di “sinistra populista alle vongole” e dei suoi “amichetti di Casa Pound”, movimento neofascista di estrema destra); a questo fa seguito la replica polemica di Andrea Scanzi, comparsa un paio di mesi dopo sul “Fatto Quotidiano”, che accusa la sinistra cosiddetta moderata di aver coniato un “insulto alla moda” per delegittimare le posizioni di una realtà politica complessa, al di fuori delle sue capacità di comprensione:

Sempre di più si parla di rossobrunismo. È un fantasma ormai che si aggira per l’Europa. E ovviamente anche per l’Italia, il cui contesto politico, soprattutto dopo la formazione del governo Lega-M5S, non può che favorire la diffusione di idee di questo tipo. Gli si dedicano articoli su giornali, riviste e pagine web. E il termine è molto presente sui social, anche se molti soggetti definiti come rossobruni, smentiscono o non accettano tale etichetta. Ma di cosa stiamo parlando in realtà? […] In realtà il rossobrunismo è un magma piuttosto indistinto in cui entrano in gioco diversi ambiti politici che condividono, a volte senza ammetterlo, alcune idee di fondo: il sovranismo, la lotta alla globalizzazione e al capitalismo, l’astio nei confronti della sinistra socialdemocratica, la critica serrata all’Euro e all’Unione Europea, un marcato anti-americanismo, la simpatia per la Russia di Putin, la condanna del cosiddetto buonismo della sinistra, soprattutto su temi quali l’immigrazione, la critica più o meno serrata del femminismo, della teoria gender o delle lotte LGTBI. (Steven Forti, Un fantasma si aggira per l’Italia: il rossobrunismo, “Rolling Stones”, 20/9/2018)

Quando la sinistra non capisce quello che sta succedendo, e accade spesso, tende fatalmente a cavarsela con “analisi” che si riassumono quasi sempre così: “Noi siamo nel giusto, è il mondo che è stupido”. A volte, per avvalorare tali dotte riflessioni, servono paroline magiche inventate alla bisogna. È il caso di “rossobrunismo”, neologismo che vuol dire poco e per questo funziona nei salotti buoni, quelli per capirsi in cui Di Maio è Himmler, Salvini Goebbels e la Boschi Nilde Iotti. In questo mondo alla rovescia, che ci costringe a ripartire da zero abbandonando le stantie etichette antiche, la prima a non capirci nulla è ovviamente la “sinistra” moderata, che non riesce a far altro se non a dare del deficiente/fascista/razzista a chi non la pensa come lei. […] “Rossobruno” rientra in questa logica: un insulto più alla moda di altri, per rinverdire le consuete accuse di “qualunquismo” e “populismo”. (Andrea Scanzi, L’ossessione “rossobruna”: come etichettare il nemico, “il Fatto Quotidiano”, 31/12/2018)

I due articoli hanno una discreta risonanza mediatica, che contribuisce a una maggiore fortuna del termine, anche al di fuori dell’uso settoriale che ne avevano precedentemente fatto ambienti militanti e formazioni politiche, per lo più di estrema sinistra: indicativo in tal senso è il dato relativo al numero crescente di occorrenze del sostantivo, e parallelamente dell’aggettivo, che si rilevano negli archivi di tre dei maggiori quotidiani nazionali (“la Repubblica”, “Corriere della Sera”, “La Stampa”). Da un paio di attestazioni isolate registrate annualmente tra la metà degli anni dieci e l’inizio degli anni venti, si arriva infatti alla ventina di unità tra il 2024 e il 2025: rossobruno e rossobrunismo ricorrono negli articoli di cronaca estera e politica con frequenza sempre maggiore, con particolare riferimento alla regione del Donbass, contesa tra Russia e Ucraina, per cui diversi politici e giornalisti parlano di “laboratorio rossobruno” per la convergenza, tra i sostenitori italiani ed europei del fronte separatista pro-russo, di estremisti di destra e di sinistra; a proposito delle posizioni di Marco Rizzo, fondatore nel 2009 del Partito Comunista e in seguito di Democrazia Sovrana Popolare, per la sua ambigua vicinanza al pensiero e al lessico degli estremisti di destra e per la sua scelta di allearsi, in alcune occasioni elettorali, con ex esponenti della Lega o con il nuovo movimento di Gianni Alemanno, Indipendenza (per il quale si parla ugualmente di “rossobrunismo” e di posizioni “rossobrune” del suo fondatore); o ancora, più di recente, a proposito della politica tedesca Sahra Wagenknecht e del partito da lei fondato (il Bündnis Sahra Wagenknecht, o BSW) dopo la fuoriuscita dal partito di sinistra radicale Die Linke, per la sua contemporanea adesione a politiche economiche tradizionalmente di sinistra (come il salario minimo o l’aumento delle pensioni) e a politiche sociali della destra conservatrice (in particolare in relazione a temi come l’immigrazione, la politica estera, e le politiche climatiche):

La vicenda del Donbass è stata in questi anni il più grande laboratorio del fenomeno rossobruno, cioè la convergenza ideologica di pezzi d’estrema destra ed estrema sinistra o, talvolta, la fusione delle due tendenze in un unico soggetto: formazioni nazional-comuniste o sovraniste, gruppi piccoli ma anche rapporti e contaminazioni con la politica che qualcuno definirebbe mainstream, in particolare Lega e M5S, e pezzi di Fratelli d’Italia, che oggi condividono il tifo per il Donbass russo e l’apologia della invasione russa, dopo aver sperimentato le prime convergenze sulla Siria e il sostegno ad Assad. (Stefano Cappellini, Hanno tutti ragione. Ecco perché il Donbass è la patria dei rossobruni, i nazional-comunisti che tifano Putin, Repubblica.it, sez. Politica, 1/4/2022)

All’appuntamento con l’adunata rossobruna di domenica 26 novembre, che vede la sua Democrazia sovrana e popolare (“mia e di Francesco Toscano, lo scriva”) nello stesso cantiere di ex missini doc come Gianni Alemanno e Fabio Granata, Rizzo ci arriva con la forza di quell’autocertificata coerenza di fondo che nell’ultimo mezzo secolo l’ha posizionato, a detta sua, sempre dalla parte della sinistra più radicale. (Tommaso Labate, Marco Rizzo, l’ex pugile passato dal comunismo ad Alemanno: “I miei capelli rasati fanno un po’ fascista”, Corriere.it, Roma, sez. Politica, 15/11/2023)

E non avendo in realtà proprio più nulla di progressista, Wagenknecht mutua dalle destre sovraniste e postfasciste i temi più popolari, tra chi si rifiuta ormai di votare i partiti tradizionali. Chiede dunque un’amnistia per il Covid, lisciando il pelo al variegato universo no vax, che in Germania pesca a destra e a sinistra. E si lascia andare a tirate d’odio contro i verdi, il “woke” e il cosiddetto “gender”. Il suo rossobrunismo tira tantissimo: alle Europee prende un considerevole 6%, alle elezioni in tre land dell’Est supera il 10% e riesce a imporsi persino in due di essi, Brandeburgo e Turingia, per andare al governo. (Tonia Mastrobuoni, Filo Putin e no vax: chi è Sahra Wagenknecht, la rossobruna applaudita dall’assemblea 5 stelle, Repubblica.it, sez. Politica, 24/11/2024)

Alla discreta fortuna di rossobruno e rossobrunismo nell’uso politico e giornalistico attuale non corrisponde tuttavia un analogo radicamento nella lingua corrente: nonostante una ricerca nelle pagine italiane di Google (condotta il 9/7/2025) restituisca 7.360 occorrenze di rossobrunismo e 13.300 di rossobruno (a cui vanno aggiunte anche 17.600 attestazioni del plurale rossobruni, 6.020 del femminile rossobruna e 2.330 del plurale rossobrune), la maggior parte degli esempi si trova infatti in siti e blog di argomento politico, quotidiani e altre testate online e rivela un impiego dei due termini per ora circoscritto alla lingua della politica, dei giornali e di altri mezzi di comunicazione. La ragione è forse da ricercare nel loro significato specialistico e non immediatamente trasparente per chi non abbia già familiarità con le due voci (in particolare col significato politico di bruno, su cui cfr. Paolo D’Achille, Maria Grossmann, I termini di colore nell’area BRUNO-MARRONE in italiano: sincronia e diacronia, in «Lingua e stile», LII, 2017, pp. 87-115, a p. 105, dove si segnalano anche esempi del composto rosso-bruno: totalitarismo bruno, leader rosso-bruni, alleanza rosso-bruna) e in generale con l’attuale dibattito politico sul fenomeno; non è tuttavia da escludere che l’uso di rossobruno e rossobrunismo possa un domani estendersi anche alla lingua comune, il primo per analogia con altri composti “cromatici” di significato politico di più ampia circolazione nell’italiano contemporaneo, e il secondo sul modello di altri sostantivi in -ismo indicanti ideologie e posizioni politiche affini o vicine a quelle espresse dalla nostra forma, e che sono ormai da tempo radicati anche nell’uso corrente (quali populismo, sovranismo, nazionalismo, ecc.).

*Si ringraziano per i suggerimenti e la lettura politologica Mauro Azzolini, Adriano Cozzolino e Giuseppe Andrea Liberti.