Parole nuove

Remigrazione. Un’altra parola per orientare il pensiero sulle migrazioni

  • Raffaella Setti
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2025.40533

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Non è certo la prima volta che ci troviamo a trattare una parola con la quale si intende far passare come “normali” proposte e soluzioni a dir poco discutibili spacciate come rimedio alle crisi politiche e umanitarie che si manifestano concretamente nelle persone migranti che arrivano o sono ormai stabilizzate nel nostro paese. Dovrebbe essere evidente che la cosiddetta “crisi” o, peggio, “emergenza” migratoria non ha niente dell’eccezionalità di un evento occasionale e che si tratta piuttosto di un fenomeno strutturale che richiede, questo sì con estrema urgenza, un profondo ripensamento delle politiche in senso planetario (sul termine emergenza rimando a Paolo D’Achille, La nozione di emergenza sotto la lente del linguista, in L’emergenza, le emergenze La nozione e le sue declinazioni, a cura di Paolo Carnevale e Camilla Storace, Napoli, Editoriale Scientifica, 2025, pp. 1-10).

La direzione in cui vanno le politiche dei paesi detentori del potere e della ricchezza appare del tutto opposta: si riaffermano i principi della nazionalità, dei confini, delle radici culturali e religiose, si mettono in atto leggi che mirano alla discriminazione, alla divisione, all’espulsione, si costruiscono muri, ci si riarma e si fanno guerre. Tutto questo ce lo dimostrano anche le parole utilizzate, che non sono certo nuove, ma che vengono spesso consapevolmente manomesse e risemantizzate e rimesse in circolazione come del tutto trasparenti e adeguate. Si dimentica (o più probabilmente si fa finta di non vedere) che, proprio perché “note”, alcune parole richiamano scenari e fatti della storia passata e recente che dovrebbero essere radicalmente esclusi dalle possibili soluzioni ai problemi della nostra contemporaneità. In questi ultimi anni ne abbiamo già trattate molte: migrante, clandestino, profugo, rifugiato, respingimento, e recentemente proprio cittadinanza e nazionalità (quest’ultima “falsa idea chiara”, non specifica del lessico del diritto, diversamente da cittadinanza), solo per ricordarne alcune tra le più significative.

Anche remigrazione, dal punto di vista linguistico, mostra caratteristiche simili: si tratta infatti di un nome derivato dal sostantivo migrazione preceduto dal prefisso di origine latina re-, che aggiunge alla parola di base il significato di ‘ripetersi di un’azione in senso contrario’. Partendo, a ritroso, dalle attestazioni dei dizionari storici, va subito detto che la parola, benché non registrata a lemma, compare attestata nella variante reimmigrazione nel GDLI con la seguente definizione: “Rientro e ristabilimento di persone nel paese d’origine dal quale erano pre­cedentemente emigrate”. La citazione a corredo è tratta da un articolo di C. Tagliavini apparso sulla rivista "Oggi" (24/2/1955, 59) sulla questione dell’Alto Adige e sull’opzione data ai cittadini italiani di lingua e cultura tedesca di trasferirsi nel territorio del Reich come fossero immigrati che facevano ritorno nella loro terra d’origine: “In seguito agli accordi italo-germanici del 23 giugno 1939 fu data la possibilità ai cittadini italiani di lingua tedesca di queste regioni di optare per la cittadinanza germanica e di trasferirsi nel territorio del Reich; ma di questa, che le stesse autorità germaniche chiamarono Rückwanderung, cioè ‘reimmigrazione’, riconoscendo quindi il carattere di ‘immigrati’ dal nord a queste popolazioni, solo poco più di un terzo degli optanti approfittò”. Già da questa attestazione è palese il rapporto strettissimo tra le due varianti che, in tempi diversi, rivestono essenzialmente lo stesso concetto. Sul passaggio da reimmigrazione a remigrazione ha senz’altro influito la recente convergenza di immigrazione ed emigrazione (e quindi immigrato ed emigrato) sulla forma comprensiva di migrazione (e quindi migrante), che non pone più l’accento sulla direzione (dalla terra d’origine o verso il ritorno ad essa), ma si riferisce alle nuove forme di flussi migratori che tendenzialmente non prevedono traiettorie singole (dal paese di origine a quello di immigrazione appunto), ma spostamenti multipli (su questo si rimanda anche alla scheda Migranti e respingimenti). Nella nuova variante remigrazione il prefisso re- viene agganciato alla base lessicale migr- condivisa ormai nelle principali lingue europee (migrazione in italiano, migration in inglese, francese e tedesco, migración in spagnolo e migração in portoghese) che, anche in questo caso, non rende esplicita la direzione del “ritorno”, che può, sì, andare nella direzione della terra d’origine, ma può anche prevedere una destinazione “altra”. Una brevissima considerazione sul termine tedesco Rückwanderung inserito e tradotto con reimmigrazione nel brano citato: benché i dizionari recenti ne diano la traduzione di ‘rimpatrio’ (come il Grande Dizionario Tedesco Hoepli, Sansoni) senza altre precisazioni, si tratta di una parola piuttosto tecnica, che storicamente (tra XIX e XX secolo) è stata, e resta ancora oggi, il termine prevalentemente usato in riferimento al fenomeno migratorio di rientro (volontario o forzato); in effetti la parola è composta da rück- ‘indietro, di nuovo’ e wanderung ‘migrazione, viaggio a piedi’, dunque un ritorno, un viaggio all’indietro, ma che porta con sé le caratteristiche della migrazione. Il DWDS (Dizionario digitale della lingua tedesca) contempla come prima accezione di Rückwanderung quella di ‘Synonym zu Remigration’ (sinonimo di remigrazione) e come seconda quella di ‘Rückweg, der wandernd zurückgelegt wird’ (viaggio di ritorno che si effettua a piedi), anche se poi negli esempi citati i contesti prevalenti sono riferibili a situazioni di migrazioni di ritorno.

Ripercorriamo per sommi capi la storia della parola, che in italiano trova un diretto antenato nel verbo remigrare con il valore di ‘tornare al luogo d’origine’, attestato dal Cinquecento; l’attuale sostantivo è invece il prodotto di un calco sull’inglese remigration (a sua volta dal latino remigratio, -onis, attestato in inglese dal 1608, Cfr. OED) e, come abbiamo visto, un calco condiviso con le altre principali lingue europee. Se ci limitiamo alla sua veste formale, remigrazione assume, dunque, il significato letterale di ‘ritorno al luogo di origine in seguito a una precedente migrazione’. Vista in questa prospettiva la parola potrebbe apparire neutra, funzionale a descrivere la scelta di chi decide liberamente di rientrare nel suo paese di origine dopo un periodo migratorio più o meno lungo. Pur trattandosi di una forma del tutto in linea con le regole di derivazione delle parole in italiano, remigrazione non è stata ancora registrata in nessun dizionario e, al momento, resta poco frequente nell’uso. Ne abbiamo alcune prime sporadiche apparizioni sui quotidiani nel 2017 e la prima rintracciata, su “La Stampa”, riguarda l’irruzione alla conferenza Islam di Borgosesia di alcuni manifestanti che mostravano uno striscione con la scritta “Remigrazione contro l’islamizzazione” (Giuseppe Orrù, Conferenza Islam, blitz di manifestanti sul palco di Borgosesia, “La Stampa”, 14/1/2017) con un progressivo incremento di attestazioni che arriva al suo apice tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Proprio in questo stesso anno è stata inserita tra i Neologismi 2025 Treccani online nell’accezione di “ritorno forzato di persone immigrate nel loro Paese d’origine”, con l’annotazione che si tratta di un recupero eufemistico: tale precisazione intende richiamare l’attenzione sul modo in cui sono avvenuti, negli ultimi anni, la ripresa e il rilancio di questa parola. Anche Giuseppe Antonelli, più recentemente, in un articolo intitolato Remigrazione, una parola che pare neutra ma che nasconde un elefante, apparso sul “Corriere della Sera” il 18 maggio 2025, inserisce la voce nel quadro delle parole nuove pensate per rendere accettabili cose che non sono tali e accenna a episodi della storia italiana del passato: in particolare lo studioso nota come «la variante reimmigrazione, registrata come appena visto nel GDLI con citazione del 1955, appaia più volte – con il significato di ritorno alla patria – in pubblicazioni del ventennio fascista. “Della grandiosa opera di colonizzazione e di reimmigrazione dei tedeschi dall’oriente europeo” raccontano ad esempio gli Annali del fascismo nel 1940, notando “come il Führer, nel suo ultimo discorso, avesse già annunciato questa opera”».

Se cerchiamo di rimettere in fila le occasioni e i contesti in cui remigrazione è stata utilizzata recentemente e le dichiarazioni di coloro che l’hanno deliberatamente scelta e fatta passare come non connotata, mostrano l’evidente la volontà politica di infrangere un tabù rispetto a valori e principi che molti pensavano incontrovertibili: remigrazione è riemersa per indicare un piano di espulsione, di ritorno forzato in patria (ma neppure sempre) di persone immigrate, anche di seconda e terza generazione, “non assimilate” (come le ha definite Sellner, si veda di seguito); sostanzialmente un progetto di massiccio rimpatrio di tutte le persone non europee, con la giustificazione, nemmeno troppo velata, della superiorità della cultura europea (con implicito richiamo alla teoria del suprematismo). Tutto questo era già emerso grazie a un’inchiesta del collettivo di giornalismo Correctiv, che aveva reso noti i temi trattati in un incontro convocato segretamente a Potsdam il 25 novembre 2023 dall’attivista di estrema destra austriaco Martin Sellner in cui

Sellner ha esposto un piano per espellere dalla Germania e deportare in un’area imprecisata del Nordafrica, attuando così la cosiddetta “remigrazione”, tre categorie di persone: richiedenti asilo, immigrati con permesso di soggiorno e “cittadini non assimilati”, cioè tedeschi di seconda e terza generazione ritenuti non integrati. L’espulsione di rifugiati e migranti illegali è un punto programmatico di Alternative für Deutschland (AfD). Parlamentari come Matthias Helferich insistono ossessivamente sul concetto di “remigrazione”, pubblicando sui social locandine di propaganda, dalla vaga estetica neonazista, generate con l’intelligenza artificiale e redigendo sommari sui vantaggi delle deportazioni di massa, dai risparmi sul welfare state alla diminuzione dei prezzi degli immobili per effetto della riduzione della popolazione». (Jacopo Di Miceli, Deportazioni di massa di immigrati e tedeschi dissidenti: l’incontro segreto con AfD che svela i piani dell’estrema destra alleata con la Lega, “Il Fatto quotidiano”, 11/1/2024)

Lo stesso Sellner, poche settimane dopo, pubblica una sorta di summa delle sue sconsiderate proposte in Remigration. Ein Vorschlag [trad. it. ‘Remigrazione. Una proposta’], Steigra, Verlag. Antaios, 2024, che pare aprire la strada alla diffusione della parola con questa “nuova” accezione; il richiamo a deportazione non si ferma all’assonanza tra i due termini, ma si fa pericolosamente concreto nella descrizione del piano “risolutivo” alla questione migratoria (anche qui torna alla mente l’irripetibile soluzione finale) e si manifesta nelle foto dei migranti in catene riportati in Guatemala da El Paso, in Texas. In Germania l’emersione di questa parola viene notata e nel sito dell’Università di Kassel (nella sezione dedicata alla Semantica e lessicologia del nuovo alto tedesco) è trattata come “parolaccia” dell’anno 2023:

La giuria ha criticato l’uso del termine perché è stato utilizzato nel 2023 come termine di lotta di destra, un eufemismo e un’espressione che oscura le reali intenzioni. Il termine, che trae origine dalla ricerca sulle migrazioni e sull’esilio e riguarda varie forme di ritorno, principalmente volontarie (tra cui il ritorno degli ebrei dall’esilio dopo il 1945), viene deliberatamente appropriato [sic] ideologicamente e reinterpretato in modo tale da nascondere una pratica di deportazione e allontanamento disumana, richiesta politicamente”. (“Remigrazione” è la parolaccia dell’anno 2023, uni-kassel.de, 15/1/2024)

Sellner non solo dà straordinaria rilevanza al termine, promuovendolo a titolo del libro, ma ripropone un concetto tabù come fosse del tutto scontato. Non sembra casuale che in Germania la stessa casa editrice Antaios pubblichi con il titolo Verdrehte Welt, nel febbraio 2024, il libro Il mondo al contrario del generale Roberto Vannacci, che viene offerto anche in abbinamento con Remigrazione di Martin Sellner. Il richiamo a metodi discriminatori, razzisti e xenofobi non è mai completamente uscito dal dibattito europeo sulla questione migratoria e, anzi, è riemerso a più riprese: lo si intravedeva già durante la campagna elettorale per le elezioni regionali francesi del 1992, nello slogan “Quand nous arriverons, ils partiront!” (‘quando arriveremo noi, loro se ne andranno’), bandiera propagandistica del partito di estrema destra Front National. Sempre in Francia nel 2014 Laurent Ozon, allora collaboratore di Marine Le Pen, lancia la proposta di un Mouvement pour la remigration; contemporaneamente, in Germania il Bloc Identitaire (da cui poi è nata Generazione identitaria) organizza un convegno per la remigrazione in cui si definisce un piano dettagliato contro l’immigrazione di massa e la creazione di un alto commissariato per la remigrazione; si riporta una sintesi delle fasi di riproposizione e circolazione della parola, ripercorse da Leonardo Bianchi nel suo articolo “Remigrazione” è la nuova parola d’ordine dell’estrema destra globale (Facta.news, 14/10/2024).

La parola, insieme al concetto, circola quindi in Francia, Austria, Germania e poi, come vedremo, in Italia attraverso la propaganda di partiti e movimenti di estrema destra: viene pronunciata nei discorsi, passa nella stampa, è rilanciata in rete, si infiltra quasi fosse un termine già comune e consolidato nelle principali lingue europee. L’uscita del libro di Sellner funziona per i leader di movimenti e partiti di estrema destra come un “liberi tutti”: anche Trump, il 15/9/2024, nel pieno dell’ultima infuocata campagna elettorale, sul suo account di X pubblica un post in cui elenca una serie di promesse tra le quali: “return Kamala’s illegal migrants to their home countries (also know as remigration)”, approfittando proprio del termine remigration per sintetizzare il piano di rimpatrio degli immigrati clandestini che intende realizzare in caso di rielezione alla Casa Bianca.

La parola d’ordine, in linea con le promesse elettorali di Donald Trump, è remigrazione, l’ultima teoria nera che prevede la deportazione di massa di tutti gli “stranieri”.
E non è un caso che Fiore abbia commentato con queste parole l’elezione del neopresidente Usa: «Fine del gender, fine della transizione ecologica, fine dell’immigrazione e ripristino della libertà d’opinione in America, ma anche in Italia, con la inevitabile fine di leggi Scelba e Mancino. Abbiamo sostenuto Trump quando tutti, incluso il centrodestra, erano contro. Con la nostra forza ideologica dobbiamo lottare per un’Europa che torni ad esser libera, cristiana ed in pace con il suo polmone di destra, la Russia». (Marco Carta, Forza nuova chiama l’adunata dei neonazisti da Francia e Germania, “la Repubblica”, 23/1/2025)

E così una parola apparentemente neutra e formalmente analoga a molte altre (anche nelle diverse lingue europee) cela un’idea politicamente molto connotata a destra.
In Italia è la Lega a non lasciarsi sfuggire l’occasione di far proprio il termine e di mostrare la sua completa adesione riguardo alla soluzione che la parola ha assunto come significato. Nei primi giorni del 2025, commentando la notizia delle presunte violenze sessuali denunciate nella notte di Capodanno in piazza Duomo a Milano, il Capogruppo leghista Alessandro Corbetta si è così espresso:

Anche in Italia dobbiamo parlare di remigrazione, ovvero rimpatriare non solo clandestini e criminali, ma anche gli stranieri che scelgono di non volersi integrare. I fatti di Milano sono un segnale chiaro: non possiamo più cedere pezzi di città a bande di immigrati che commettono violenze e offendono il Paese che li ha accolti. Chi è venuto in Italia a lavorare e si è assimilato alla nostra cultura è il benvenuto, ma chi ha scelto di non integrarsi e di non rispettare il popolo che lo ospita va rimpatriato”. (post di Alessandro Corbetta, Capogruppo Lega in Regione Lombardia, su Instagram.com, 3/1/2025)

Pochi giorni dopo (il 9 gennaio 2025), il deputato Rossano Sasso, sempre in riferimento ai fatti di Milano, è il primo a pronunciare il termine remigrazione in Parlamento: “Dal Parlamento italiano un messaggio per chi odia l’Italia e viola la legge: remigrazione unica soluzione” (Tiziana Barillà, Si scrive remigrazione si legge deportazione di massa, articolo21.org, 11/1/2025). Vista l’accoglienza da parte di alcuni esponenti della Lega italiana, Martin Sellner, già allontanato da Germania e Svizzera per le sue posizioni considerate neonaziste e per i contenuti razzisti dei suoi interventi pubblici, a fine gennaio 2025 lancia l’appuntamento in Italia per un raduno internazionale promosso dall’estrema destra, il Remigration Summit, che, fin dal titolo, mette al centro la parola remigrazione, nella sua forma inglese, per definire una strategia comune che abbia lo scopo di espellere i migranti e i cittadini di seconda o terza generazione considerati non sufficientemente integrati. La notizia viene prima annunciata, poi resa ufficiale:

Ora c’è l’ufficialità, come anticipato da Fanpage.it l’incontro europeo dei sostenitori delle politiche di remigrazione si terrà in Italia, più precisamente a Milano il prossimo 17 maggio. L’annuncio è arrivato questa mattina, con la possibilità di acquistare i biglietti online a 25 euro”. (Valerio Renzi, Il raduno dell’estrema destra si terrà in Italia, parola d’ordine: remigrazione, fanpage.it, 28/1/2025)

A seguito di questa appropriazione da parte della Lega, il termine ha avuto larga circolazione anche in Italia, tanto che è stato pubblicato come Neologismo 2025 sul sito della Treccani. La voce è firmata da Valeria Della Valle, che, dopo aver riportato quella che lei ritiene la prima sporadica occorrenza della parola del 2017 («Davvero non ci sono armi sulla C-Star? Che cosa ci fanno i mercenari a bordo? Sono impegnati nel cosiddetto piano “remigrazione”: il rimpatrio forzato di tutti coloro che non sono in sintonia con l’“identità”. Essere identitari – spiegano sul loro sito quelli di “Generazione” – significa difendere l’identità etnica e culturale delle quali siamo detentori. Un’identità messa in pericolo dai migranti», Paolo Berizzi, “la Repubblica”, 7/8/2017, p. 8), dà conto del dilagare del termine fino al suo picco registrato all’inizio del 2025:

I leghisti hanno fatto propria la parola d’ordine lanciata da Alice Weidel, leader dell’ultradestra tedesca, designata candidata cancelliera dell’Afd alle elezioni di febbraio, che ha dichiarato “Abbiamo un piano per il futuro della Germania: chiudere completamente le frontiere, respingere ogni viaggiatore senza documenti, cancellare le prestazioni sociali per i non residenti e procedere a rimpatri su larga scala. Se si deve chiamare remigrazione, si chiamerà remigrazione”, riprendendo a sua volta la parola usata dal leader austriaco Martin Sellner, teorico della remigrazione». (Valeria Della Valle, «Remigrazione». Tutto sulla parola che piace all’estrema destra, avvenire.it, 28/1/2025)

Una conferma in questo senso ce la danno sia i risultati che possiamo ricavare dalla stampa, sia quelli che ci provengono dalla ricerca in rete. I principali quotidiani nazionali, pur con numeri complessivamente diversi (il “Corriere della Sera” ha solo 4 occorrenze, mentre “La Stampa” 26 e “la Repubblica” 22), mostrano un andamento analogo, con sporadiche apparizioni della parola a partire dal 2017 (solo “La Stampa” e “la Repubblica”) e un sensibile incremento tra la fine del 2024 e i primi mesi del 2025; su Google (sulle pagine in italiano, consultate il 14/4/2025) remigrazione registra 11.500 r. nell’arco temporale dal 1/1/1990 al 31/12/2024 e 27.700 r. solo in questi primi mesi del 2025 (dal 1/1/2025 al 14/4/2025), senza quindi retrodatazioni rispetto a quanto documentato da Valeria Della Valle.

Niente e nessuno impone l’uso di remigrazione in questa accezione, odiosa a parere di chi scrive: le parole vengono scelte per esprimere idee, valori, principi o per dare un nome alle cose nuove che ancora non sappiamo come chiamare. In questo caso il problema non è tanto quello di stabilire se si possa (o peggio, si debba) accogliere o non accogliere nell’uso la parola; quello che ci pare difficile riuscire a concepire eticamente, come esseri umani, è la proposta e la messa in atto di questa o di pratiche simili.