DOI 10.35948/2532-9006/2022.23809
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Con questo titolo scherzosamente in rima rispondiamo a quanti ci chiedono come mai la parola fonte, che nell’italiano di oggi è solo e sempre femminile, sia maschile nell’espressione fonte battesimale.
In italiano ci sono tre parole che iniziano con la lettera F che anticamente, e poi nella lingua letteraria, potevano essere usate sia al maschile sia al femminile: fine, fronte e fonte. Nei primi due casi l’alternanza nel genere grammaticale esisteva già nelle corrispondenti parole latine da cui quelle italiane sono derivate: finis (accusativo finem) e frons (accusativo frontem); invece fons (accusativo fontem) in latino era soltanto maschile. Nell’italiano di oggi, sempre nei primi due casi, alla differenza di genere grammaticale corrisponde una differenza semantica. Fine, come è stato già segnalato in una risposta precedente, è maschile nel senso di ‘scopo’ (il fine giustifica i mezzi; si veda anche la locuzione congiuntiva al fine di), femminile in quello di ‘conclusione’ (la fine di un amore; siamo arrivati alla fine; resta maschile nel caso di lieto fine, corrispondente all’inglese happy end). Fronte è femminile quando indica la parte del volto compresa tra i capelli e le sopracciglia (fronte alta, un bacio sulla fronte) e, per estensione, la parte anteriore di qualcosa (la fronte del palazzo; ma in geografia, secondo il Vocabolario Treccani, si usa sia la fronte sia il fronte di un ghiacciaio), maschile quando indica la linea lungo la quale due eserciti in guerra si combattono (Niente di nuovo sul fronte occidentale; partire per il fronte; ma in un passato neppure troppo lontano si poteva anche dire la fronte), una coalizione o un’alleanza (il fronte popolare) e in meteorologia (fronte caldo e fronte freddo) .
Nel caso di fonte, invece, la parola è oggi usata sempre e solo al femminile, tanto nel significato di ‘sorgente’ quanto nei diversi usi figurati (‘principio’, ‘testimonianza’, ecc.). Il maschile resta solo in qualche toponimo (Fontebuono, presso Camaldoli in provincia di Arezzo e in una via di Roma nel quartiere Montagnola; il santuario di Santa Maria del Fonte, in provincia di Cremona) e nell’espressione fonte battesimale, che indica (così come sacro fonte o anche, semplicemente, fonte, sempre al maschile) la vasca contenente l’acqua lustrale per il battesimo che si trova nelle chiese e nei battisteri (e anche, per metonimia, il battesimo stesso).
Anche se tutti i principali dizionari (il citato Vocabolario Treccani, ma anche il Sabatini-Coletti, il GRADIT, il Garzanti, lo Zingarelli 2022, il Devoto-Oli 2022) prevedono in questo caso l’uso esclusivo del maschile, l’opzione per il femminile resta possibile. Una ricerca in internet con Google condotta il 23 ottobre 2021 restituisce 78.600 risultati per la stringa “il fonte battesimale” e 26.200 per “la fonte battesimale” (che si trova anche in pubblicazioni recenti).
Ma facciamo un po’ di storia. Lo Zingarelli data fonte al 1193 (tuttavia deve trattarsi di un errore: a quell’anno risale la Carta picena, in cui la nostra voce non è presente), mentre per il TLIO la parola risulta attestata per la prima volta nel 1260-1261, in senso figurato, nella Rettorica di Brunetto Latini, dove è femminile (“L’autore di questa opera è doppio: uno che di tutti i detti de’ filosofi che fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fue Marco Tulio Cicero”); in senso proprio fonte è femminile in un passo di Andrea da Grosseto, del 1268 (“l’acqua de la fonte e del pozzo, per longa e continua usanza sempre si fa migliore”), e maschile in una poesia del fiorentino Monte Andrea, risalente alla seconda metà del sec. XIII (“Però non vo, s’a te ricorr’, a fallo, / ché, cui mister ha aigua, corr’al fonte, / s’i’ a te per conforto vegno”). Nel caso di fonte battesimale l’unico esempio riportato dal TLIO, dalle Esposizioni sopra la Commedia di Dante di Giovanni Boccaccio (1373-1374), non lascia percepire il genere (“[…] intendere: che esso [...], non essendo rigenerato secondo il comune uso de’ cristiani nel battesimo dell’acqua e dello Spirito santo, quell’acqua in fonte battesimale consecrasse […] a Iesù Cristo”). Ma nello stesso TLIO, s.v. battesimale, si riporta un esempio al femminile posteriore al 1325, in un testo pervenutoci in veste abruzzese, la Fiorita di Armannino da Bologna (“Avendo chostui già messo un piej con tucta la ghamba nella fonte batismale, custui se pentete coll’uno piei dentro e l’altro de fuore”). Per esprimere lo stesso concetto il TLIO riporta anche esempi di sacro o sacrato o santo fonte, dunque ancora al maschile, ma anche di sante fonti, femminile plurale.
Il genere maschile si ha in tutti gli esempi di fonte battesimale che si trovano sia nella quinta edizione del Vocabolario della Crusca (la locuzione è presente s.v. battesimo già nella quarta), sia nel GDLI (in uno dei quali, di Paolo Sarpi, torna la variante battismale già vista, con una sola t, in Armannino), compresi quelli che figurano all’interno delle definizioni fornite dallo stesso dizionario, tranne un unico caso in cui è usato il femminile, a proposito di fontinale: “agg. ant. che è situato presso una fonte (in partic., una fonte battesimale)”. Ma nel Tommaseo-Bellini una nota dello stesso Tommaseo apposta all’accezione 5 della voce fonte, relativa appunto al fonte battesimale, precisa: “Il sacro fonte, non La; Il fonte battesimale e La fonte battesimale” (vol. II, p. 861), ammettendo dunque anche il femminile, che figura inoltre, al plurale (Le fonti battesimali), s.v. battesimale (vol. I, p. 900). In effetti, le prime due attestazioni della locuzione che si possono reperire in Google libri, risalenti al sec. XVI, sono una al femminile e una al maschile:
All’hora esso figliuolo d’Iddio con la sua delicata mano benedisce tutta la pienezza di quel fondo, della maniera che si fa la fonte battesimale (Vita della beata vergine Geltruda…, Venezia, Giolito de’ Ferrari, 1562, p. 350)
Per tanto grappolo di lavamento nelle vigne Engaddine, cioè nella Chiesa, la quale ha seco il fonte della felicità, il fonte battesimale, sarete voi, anzi siete stato, all’anima mia (Gregorio Comanini, Degli affetti della mistica theologia, Venezia, G. Battista Somasco, 1590, pp. 167-168)
Sembra evidente che la prevalenza del maschile si debba al modello del latino. Tuttavia, grazie all’aiuto di alcuni colleghi (Alberto D’Anna, Mario De Nonno, Domenico Proietti), posso precisare che, come risulta dalla voce fons del Thesaurus Linguae Latinae (ThLL), nei più antichi testi della latinità cristiana si parla semplicemente di fons (maschile, come nel latino classico) per riferirsi sia al battesimo in generale (troviamo fons baptismatis in Priscilliano e fons baptismi in Rufino), sia al fonte battesimale come manufatto (in Isidoro di Siviglia e in una poesia di età vandalica dell’Anthologia Latina). Il ThLL non registra l’aggettivo baptismalis, che non ha una voce propria neppure nel LEI, che però, registrando battesimale s.v. baptismus/baptismum/baptisma ‘battesimo’ (vol. IV, coll. 1092-1101, a col. 1099), segnala nella nota 8: “Cfr. lat.med.longob. baptismalis (772, ArnaldiSmiragliaAdd [abbreviazione che corrisponde al Latinitatis Italicae Medii Aevi Lexicon (saec. V ex. - saec. XI in.)]. Quella che, al momento, risulta la prima attestazione di fons baptismalis si trova nella parte III della Summa Theologiae di san Tommaso d’Aquino:
Dicitur enim zach. xiii, in die illa erit fons patens domui David et habitantibus Ierusalem in ablutionem peccatoris et menstruatae, quod quidem intelligitur de fonte baptismali. (quaestio 68, articulus 4, argumentum 1, linea 3)
L’espressione è poi documentata in testi latini della fine del Quattrocento e, più spesso, posteriori al Concilio di Trento, successivamente quindi alle prime attestazioni italiane sopra citate. Eccone un esempio cinquecentesco (da cui si coglie il genere maschile):
Mandamus quod in qualibet plebe e parochiali ecclesia sit unus fons baptismalis, super quo sit unum ciborium […] bene clausum cum una clavi. (Gian Matteo Giberti, Constitutiones, Verona, apud Antonium Putelletum, 1542, p. 33)
Nei testi latini troviamo anche fontes baptismales, da interpretare come un pluralia tantum, di cui segnalo un paio di esempi del sec. XV (dal secondo si evince che si tratta di un maschile):
Non sunt fontes baptismales. (Marco Zaccarelli, La decorazione tardo-gotica della chiesa di San Martino ad Arnad-le-Vieux, Roma, L’“Erma” di Bretschneider, 1986, p. 39; si riporta il testo di una visita pastorale del 1416)
Quisque fontes baptismales lapideos habeat bene mundos; quos si non habere poterit, vas aliud ad hoc opus solum deputatum teneat. (Admonitio synodalis nova, quae post evangelium legebatur ab episcopo sedente in faldistorio. Ex Pontificali Romano Augustini Patricii de Picolominibus episcopi Pientini [1484-1495], in Patrologia Latina, vol. 132, col. 461C)
Ora, nella lingua francese – in cui il latino fons-fontem non ha avuto un succedaneo per indicare la sorgente (che è detta source), diversamente dall’italiano, dall’occitano (fon), dallo spagnolo (fuente), dal catalano (font) e dal portoghese (fonte) – si parla di fonts baptismaux, al maschile plurale: l’espressione è documentata dal 1524 secondo il TLFi, che ricorda anche il precedente funz della Chanson de Roland e l’erroneo singolare le font baptismal usato una volta da Flaubert. Questo plurale francese espone al rischio di una sua erronea traduzione in italiano: in effetti ricordo che, quando facevo parte della redazione dell’Enciclopedia dell’arte medievale, in una voce (ora non saprei più dire quale) si parlava dei “fonti battesimali” nella chiesa di una città d’Oltralpe: riuscimmo a correggere in “fonte battesimale” quasi in extremis, dopo aver ripreso il testo in francese mandato dall’autore (che era stato tradotto troppo affrettatamente) e aver consultato una guida della città.
Per tornare alle domande dei nostri lettori, possiamo concludere dicendo che l’uso di fonte come femminile nella locuzione fonte battesimale, documentato senza soluzione di continuità dal Trecento a oggi, non può certamente considerarsi errato, anche se è vero che la scelta per il maschile (indicata come obbligata da tutti i dizionari, Tommaseo a parte) è preferibile, in quanto corrisponde all’uso che da vari secoli è largamente prevalente.