Consulenze linguistiche

Pelandrone

  • Miriam Di Carlo
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW - IN ANTEPRIMA

DOI 10.35948/2532-9006/2023.29045

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Copyright: © 2023 Accademia della Crusca


Quesito:

Sono arrivate in Accademia molte domande che ci chiedono quale sia l’etimologia della parola pelandrone.

Pelandrone

L’etimologia, dal lat. etymologĭa, gr. ἐτυμολογία, comp. di ἔτυμον (etimon) ‘(significato) vero’ e -λογία (-logia) ‘discorso’, è una branca della linguistica che studia la storia delle parole cercando di ricostruirne l’origine e l’evoluzione di suono, di forma e di significato. Spesso la ricostruzione è molto semplice ed è molto intuitiva visto che la maggior parte del lessico italiano o deriva da quello latino oppure è costituito da neoformazioni tratte da parole già esistenti mediante i normali meccanismi di derivazione. Ma non sempre è così: la storia delle parole si rivela talvolta imprevedibile e l’etimologista deve servirsi, oltre che delle proprie conoscenze riguardanti le derivazioni fonologiche dal latino e da altre lingue, antiche e moderne. Quando i dubbi sono tanti e mancano le attestazioni necessarie per poter documentare delle forme antiche, ci si trova davanti a una cosiddetta crux disperationis, cioè davanti a un enigma insolvibile al quale si può porre rimedio solamente proponendo diverse possibili ipotesi di ricostruzione etimologica. Questo è il caso della parola pelandrone, che significa “scansafatiche, fannullone (con un’idea di viziosa pigrizia e trascuratezza)” (Devoto-Oli online, consultato il 9/12/2022). In questo articolo cercheremo di rispondere alle curiosità dei nostri lettori attraverso una sintesi delle più convincenti etimologie proposte: non si pretende quindi di trovare una soluzione all’enigma che ancora oggi, presso la comunità accademica, persiste riguardo alla parola in questione.

Anzitutto una piccola disamina dal carattere lessicografico: nel repertorio Migliorini-Duro (Bruno Migliorni, Aldo Duro, Prontuario etimologico della lingua italiana, Torino, Paravia, 1965) non viene fornita alcuna etimologia della parola pelandrone, lemmatizzata solo come voce settentrionale; nel Vocabolario etimologico di Prati non viene neppure inserita a lemma (Angelico Prati, Vocabolario etimologico italiano, Roma, Multigrafica, 1969); tutti gli altri repertori consultati, ossia il Dizionario etimologico di Olivieri (Dante Olivieri, Dizionario etimologico italiano, concordato coi dialetti, le lingue straniere e la toponomastica, Milano, Ceschina, 1953), quello di Devoto (Giacomo Devoto, Avviamento all’etimologia italiana. Dizionario etimologico, Firenze, Le Monnier, 1967), il DEI, il DELI, l’Etimologico, pur proponendo alcune alternative etimologiche, rimangono sempre cauti nel dare una ricostruzione definitiva e certa. Nel 2008 si è occupato specificatamente dell’argomento Mario Alinei in due saggi usciti sui “Quaderni di Semantica” (cfr. la Nota bibliografica). Spesso faremo riferimento al GDLI che, pur non essendo un dizionario etimologico stricto sensu, aiuta con le sue citazioni a ricostruire la storia della parola in tutte le sue varianti.

Da palanda + landrone

Il Dizionario etimologico di Devoto (cfr. sopra) propone una ricostruzione ripresa nel GDLI: anzitutto l’origine di pelandrone viene ricondotta all’area settentrionale e in particolare al piemontese pelandrùn. In questo caso, l’etimologia viene ricondotta all’incrocio di palanda-pelanda ‘veste da camera ampia e lunga’ con landrone ‘fannullone, malandrino’ a sua volta accrescitivo maschile di landra con cui si indica ‘donna di malaffare, sgualdrina’. Il GDLI lemmatizza, oltre che pelanda, anche la variante palandra (da cui palandrana), con cui si indica ‘veste ampia e lunga, un tempo femminile, per lo più di seta o di cammellotto, portata in seguito anche dagli uomini (come segno di prestigio sociale)’ anche ‘mantello, cappotto eccessivamente ampio’. Come vedremo, l’originalità di questa ricostruzione etimologica non sta tanto nel ricondurre l’etimo della prima parte della parola a palanda-pelanda-palandra (come fa anche Olivieri nel suo Dizionario etimologico) ma all’ipotesi che a questa parola se ne sia aggiunta un’altra e cioè landrone. Le attestazioni di pelandrone che riporta il GDLI in ordine cronologico sono tutte novecentesche; inoltre le prime occorrenze appartengono ad autori che, pur non essendo tutti settentrionali, sono originari di aree che hanno senz’altro contatti linguistici con l’area settentrionale (Nieri e Soffici sono lucchesi, Barilli di Fano, Bacchelli bolognese):

Pelandrone’: voce dell’Italia settentrionale, largamente diffusa, specie nelle caserme, per ‘disutile, scansafatiche’. (Idelfonso Nieri, Vocabolario lucchese, Lucca, Pacini Fazzi, 2020, 1a ed. 1902)

Anche in ‘Lacerba’, checché possano pensarne i pelandroni e i superficiali, la fondamentale italianità di Papini si manifestò per più versi. (Ardengo Soffici, Ricordi di vita artistica e letteraria, in Ricordi di vita artistica e letteraria. Ritratto delle cose di Francia. Battaglia fra le due vittorie. Appendice, Firenze, Vallecchi, 1959, p. 111)

Son tutti benestanti e tenaci lavoratori. Fra i nostri, da queste parti non ci son pelandroni né profughi. (Bruno Barilli, Il sole in trappola, diario del periplo dell’Africa (1931), Firenze, Sansoni, 1943, p. 180, 1a ed. 1941)

Malvasone s’accontentò di ridacchiare, ma era un tardo e sbadato pelandrone. (Riccardo Bacchelli, Il mulino del Po: Dio ti salvi, Milano, Mondadori, 1963, p. 343, 1a ed. 1938)

Dopo poco mi sveglio intirizzito e scuoto violentemente il corpo disteso ed immobile del soldato. – Svègliati, pelandrone. – Non si sveglia più il pelandrone. (Paolo Monelli, Le scarpe al sole: cronache di gaie e tristi avventure di alpini di muli e di vino, Milano, Mondadori, 1965, p. 74, 1a ed. 1921)

Questa signora... ha in piedi una scuola privata con convitto... fa promuovere qualunque pelandrone. (Alberto Arbasino, Le piccole vacanze, Milano, Adelphi, 2007, 1a ed. 1957)

Circolano sulle nostre scene... attori volenterosi e attori pelandroni. (Alberto Savinio, Palchetti romani, Milano, Adelphi, 2019, 1a ed. 1982)

Allora Nuto si era messo a gridare che nessuno nasce pelandrone né cattivo né delinquente. (Cesare Pavese, La luna e i falò, Milano, Mondadori, 2021, 1a ed. 1950)

Il GDLI mette poi a lemma, accanto al termine pelandrone, per il quale propone la suddetta etimologia, anche palandrone, non facendo alcun accenno a una possibile parentela tra le due parole. E mentre pelandrone sarebbe frutto di un incrocio, palandrone ossia ‘palandrana’ e “con metonimia: persona che indossa tale mantello”, sarebbe semplicemente accrescitivo di palandra.

Riconduciamo a questa ricostruzione anche la proposta dell’Etimologico, il quale, non contemplando l’incrocio con landrone, fa sempre derivare la parola piemontese plandrón ‘scansafatiche, perdigiorno’ (da cui poi l’italiano pelandrone) da pelanda-pellanda ossia ‘sopravveste ampia e lunga, foderata di pelliccia, in uso nei secoli XIV e XV’. Secondo Nocentini e Parenti, pelanda avrebbe come origine remota il germanico e sarebbe arrivata in italiano attraverso l’antico inglese hoppada ‘sopravveste’, da cui poi l’antico francese houppelande (che è anche il titolo del dramma di Didier Gold corrispondente al Tabarro dell’opera di Puccini basata su quel testo). La derivazione di pelandrone da pelanda viene comunque attenuata come “probabile”. Questa ricostruzione (ossia da palandra) sembrerebbe la più attendibile se confrontata con la voce del TLIO palandra-pelanda-pellanda ‘ampia veste foderata di stoffa o di pelliccia’, che viene ricondotta direttamente all’antico francese houppelande e per la quale viene riportato il modo di dire andare per la palandra con il significato di ‘girovagare oziosamente’. L’associazione della palandra con l’atteggiamento ozioso e “perdigiorno” si legge nelle rime di Francesco di Vannozzo, autore del XIV secolo dalla patina linguistica tosco-veneziana:

Ben conosc’io l’amor del mio signore,
ma tu via sempre come salamandra
de fuoco ti notrisci e di dolore;
di giorno in giorno vai per la pelandra,
poi mi correggi et io, per nostro honore,
te dico ch’el te piaccia uscir de mandra. (Le rime di Francesco Vannozzo [tesi di dottorato in Filologia romanza ed italiana, VI ciclo], a cura di Roberta Manetti, Università di Padova, 1994)

Attraverso questa citazione da Francesco Vannozzo possiamo ipotizzare che originariamente il pelandrone fosse colui che stava tutto il giorno in casa oziando, ossia indossando la palandra, cioè la veste da camera.

Da plandra

Un’etimologia affine ma differente viene proposta dal DEI e dal DELI, i quali sono comunque cauti nell’affermare con certezza la ricostruzione. Entrambi fanno derivare la parola, riconosciuta anche in questo caso come dialettismo piemontese entrato poi in italiano con adattamento fono-morfologico, da plandra ‘sgualdrina’. Anche il Repertorio etimologico piemontese diretto da Anna Cornagliotti all’entrata plandra colloca plandron, sinonimo “più colorito” di landra, rafforzato in questo caso da pe->pl-. Il DELI inoltre, rifacendosi al Dizionario etimologico del dialetto piemontese di Attilio Levi, riconduce plandra a palandra, con cui si indica una ‘piccola nave da carico’ ma anche una ‘veste ampia e larga’. Notiamo, dunque, che anche in questo caso l’etimo viene ricondotto a una variante di pelanda e cioè palandra con il significato di ‘veste’ ma, con una certa difficoltà nella ricostruzione, vengono contemplate trafile etimologiche farraginose dal punto di vista semantico.

Il DELI afferma che la parola pelandrone si è potuta diffondere attraverso l’ambito militare. Questa considerazione, che in passato poteva destare qualche perplessità (come afferma lo stesso Alinei nei suoi saggi), oggi è facilmente appurabile tramite la consultazione di Google libri, che ci conferma che le prime attestazioni del termine, tutte risalenti alla fine dell’Ottocento, appartengono a testi di argomento militare:

Non appena finita la campagna, il volontario fece formali proteste e reclami contro l’indecente contegno dei suoi capi, deplorò l’implausibile aristocrazia di cui l’esercito era invaso, ed ancora gli vanno sussurrando all’orecchio gli epiteti di pelandrone e brutto soldato. (Andronico Piacentini, Piaghe d’Italia ed i suoi rimedi, Firenze, Tipografia Garibaldi, 1864, p. 8)

Sapete, o cari, un pelandron cos’è?
Un tal che ha sempre sudicia la falda,
Che dentro o fuori, coricato o in piè,
Per niun evento se la piglia calda,
Tranquillo sempre ma pulito mai,
E il pelandrone non ha tanti guai.
V’è una revista? Egli è malato e dorme,
Passa il medico e i piedi non gli tira;
V’è passeggiata in bellicose forme,
Con ciondoli e bagagli? Ei non aspira
Virtù di lepre e quadratura d’omeri
Perciò sta in casa e sgocciola cocomeri.
(Giovanni Redaelli, Le mie gesta bizzarrie politico-militari, Livorno, Tipografia La Fenice di Giuseppe Meucci, 1867, p. 47)

Abbandonando infine quel disgraziato cascinale, ma in esso, pur troppo, anche dei nostri, che furon fatti prigionieri. Fra questi un provinciale, il maggior pelandrone della 2° compagnia, che rintanato in cucina, non volle sapere di venir con noi, malgrado le più vive esortazioni. (Giulio Adamoli, Da San Martino a Mentana, ricordi di un volontario, Milano, Fratelli Treves, 1892, p. 48)

Rispetto alla volonterosità, è assai probabile nei plotoni il medesimo inganno tra l’apparenza e la sostanza: nel plotone il soldato è volenteroso a benefizio proprio per conquistare il grado, e noi abbiamo invece bisogno nelle compagnie che il caporale sia volenteroso con sacrifizio proprio per coadiuvarci nel comando: per indolente che sia, un uomo facilmente fa uno sforzo d’operosità per diventar caporale, ma quando poi è diventato, allora sente il bisogno di riposarsi dallo sforzo fatto, e d’indolente che era diventa pelandrone addirittura. (La fabbrica dei caporali, in “La Rivista di Fanteria”, Roma, VI (10), 31/10/1895, pp. 689-720: p. 696)

Inoltre ci risulta anche una citazione che fa riferimento sempre all’ambito militare in Paolo Valera all’interno di Emma Ivon al veglione.

I vari autori di cui abbiamo appena citato alcuni brani sono per la maggior parte appartenenti all’area settentrionale: Valera è lombardo, Andronico Piacentini dovrebbe essere di origine veneta, Giulio Adamoli di Besozzo, nel Varesino, e Redaelli è un cognome con fortissima concentrazione in Lombardia. Comunque, pur non potendo accertare la derivazione di pelandrone dal piemontese, possiamo per lo meno dar quasi per sicura l’informazione per cui la parola si sia diffusa attraverso l’ambito militare considerando pure che nell’Ottocento l’esercito era per la maggior parte a base piemontese tant’è che molte sono le parole di origine piemontese diffuse nel gergo militare e da lì passate all’italiano colloquiale.

Dal lat. pulliter ‘puledro’

Citiamo, infine, l’ipotesi di Alinei, che risulta completamente diversa dalle ricostruzioni finora proposte. Nonostante vi siano punti poco chiari, la sua trattazione etimologica risulta essere interessante, soprattutto perché instaura un rapporto con le varietà meridionali, finora ignorate dagli etimologisti, e con l’ambito dell’allevamento. Il punto di partenza di Alinei è la carta 719 dell’AIS (Atlante italo-svizzero) in cui vengono registrate tutte le forme usate nelle varietà italo-romanze per indicare ‘pigro’. Il lessema, nelle sue varianti fono-morfologiche è registrato maggiormente in Piemonte ma anche in Liguria, nelle Marche e, secondo informazioni personali di Alinei, anche in Emilia-Romagna. Inoltre l’autore confronta anche l’ALT (Atlante lessicale toscano), rilevando la voce in gran parte della regione Toscana (ma dobbiamo considerare che l’ALT è stato compilato negli anni ’70/’80 del Novecento cioè quando già la parola si era diffusa su tutto il territorio nazionale). D’altra parte, nel Meridione è diffuso un tipo lessicale affine a pelandrone ossia pǝllǝtro(w)nǝ-pǝlǝtronǝ-pǝltronǝ in Abruzzo, Puglia, Campania e Basilicata; questo viene ricondotto da Alinei al lat. pullus ‘piccolo d’ogni animale’ > pulliter ‘puledro’ > *pŭllitrum e, con spostamento d’accento, pullĭtrum (da cui, secondo Alinei, deriverebbe l’it. puledro) + -onem che aveva come significato quello di ‘grande puledro’. Confrontando le voci affini a pǝlǝtronǝ con quelle settentrionali e rifacendosi ad alcune regole fonetiche di derivazione dal latino delle varietà italo-romanze, Alinei ricostruisce la stessa derivazione etimologica per pelandrone (e anche per il sinonimo poltrone), che, secondo il linguista, non sarebbe “un settentrionalismo che si è fermato in Toscana” bensì “un meridionalismo penetrato in Emilia e di lì diffuso in Toscana e al nord”:

Alla luce del quadro storico-culturale appena abbozzato, possiamo ora partire dall’archetipo meridionale del lat. PULLITR-ONE, introdotto dalla cultura pastorale dell’Appenninico proveniente dal Sud, che, come abbiamo visto, nel Bronzo Finale e nella prima età del Ferro, a seguito della crescente influenza della cultura Terramare in Emilia, e dell’emergere, in tutta Italia del Protovillanoviano, nell’area a nord del Tevere, prende la forma storica della cultura di Villanova, emiliana e tosco-laziale. (Mario Alinei, Pelandrone come allotropo di poltrone, da lat. *pullĭtrum < pŭlliter ‘puledro’, “Quaderni di Semantica” XXIX (2), 2008b, pp. 333-342: p. 338)

Le trasformazioni fono-morfologiche ricostruite dall’autore sono molte e molto complesse, in alcuni casi poco convincenti anche se supportate da prove di carattere semantico: secondo Alinei è propria dell’indole del puledro l’indolenza e accidia che la parola pelandrone vuole individuare. Inoltre, servendosi delle ricostruzioni etimologiche di manzo e vitello, avvalora l’ipotesi che molto lessico di base italiano si sia formato partendo dall’ambito dell’allevamento, secondo una metodologia che lui stesso chiama per primo Archeologia etimologica.

Conclusioni

In definitiva, confrontando queste tre proposte non possiamo permetterci di fare una dichiarazione certa circa l’etimologia della parola pelandrone. Non è escluso che il termine possa derivare dal piemontese e che abbia trovato successo anche al Sud grazie alla presenza del tipo lessicale concorrente pǝllǝtro(w)nǝ-pǝlǝtronǝ-pǝltronǝ. Non avendo attestazioni scritte della voce nella forma piemontese, l’unico dato certo a cui possiamo appoggiarci è quello delle prime attestazioni della parola, che, oltre ad essere di fine Ottocento, appartengono all’ambito militare e dunque sembrano smentire la derivazione “pastorale” che propone Alinei. Da considerare anche la derivazione, inserita nell’Etimologico, dall’antico francese houppelande da cui pel(l)anda ‘veste’, che avrebbe senso se la voce fosse realmente di origine piemontese. Concordiamo invece con Alinei quando sostiene che la voce si sia diffusa grazie al toscano, sebbene il Tommaseo-Bellini non lemmatizzi il termine (assente anche in tutte le edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca). Concludendo, la parola pelandrone rimane una crux etimologica, un enigma che potrà essere sciolto solamente grazie al reperimento di qualche documento antico che riporti il termine, attestandoci, al pari di una decisiva scoperta archeologica, almeno l’area d’origine geografica.

Nota bibliografica:

  • Mario Alinei, Dal {puledro} a poltrire e poltrone e da {vacca} a stravaccato: studio iconimologico, “Quaderni di Semantica”, XXIX (1), 2008a, pp. 27-34.
  • Mario Alinei, Pelandrone come allotropo di poltrone, da lat. *pullĭtrum < pŭlliter ‘puledro’, “Quaderni di Semantica” XXIX (2), 2008b, pp. 333-342.
  • Anna Cornagliotti (dir.), Repertorio etimologico piemontese, Torino, Centri Studi Piemontesi, 2015.

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