Temi di discussione

Nuova vitalità dell’antica tradizione delle “pale accademiche”

  • Claudio Marazzini
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2020.3302

Licenza CC BY-NC-ND

Copyright: © 2020 Accademia della Crusca



L’ambiente di maggior fascino, per coloro che visitano ai tempi nostri la Villa medicea di Castello, sede attuale dell’Accademia della Crusca, è la Sala delle Pale: si tratta di una grande sala rettangolare al piano terreno del palazzo, ancora oggi utilizzata per le riunioni del Collegio accademico. Alle pareti sono appese 152 “pale” antiche: erano gli stemmi personali dei membri cinque-settecenteschi dell’Accademia. Ogni pala lignea è dipinta, e porta in un cartiglio il nome accademico, sovrastato da un’immagine simbolica e da un motto; il tutto costituisce l’“impresa”. I motti sono tratti generalmente dalla Commedia di Dante e soprattutto dal Canzoniere di Petrarca. La “pala” dipinta ha forma identica a quella delle pale destinate a raccogliere il grano e la farina: infatti tutta la simbologia accademica gravitava attorno a questi elementi, la farina, la crusca, il pane. Non a caso il motto della Crusca era ed è “il più bel fior ne coglie”, dove il fiore è appunto il fiore della farina, la parte migliore, laddove la crusca è lo scarto. Questa metafora va applicata alla lingua, nella quale gli accademici si proponevano di compiere analoga selezione qualitativa. Il simbolo dell’accademia era il frullone o buratto, cioè la macchina secentesca che separava meccanicamente crusca e farina. La suppellettile tradizionale dell’Accademia si componeva di “gerle”, trasformate in sedie accademiche da cerimonia (le prime sono databili al 1642), realizzate con una sporta da pane rovesciata, con infilata una pala che fungeva da schienale. I “sacchi”, infine, erano mobiletti a forma di sacco dotati di uno sportello anteriore: all’interno si conservava una metaforica “farina”, cioè gli statuti, i regolamenti e altre scritture.

Nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento la tradizione delle pale si è interrotta, trasformandosi in un bel ricordo, che ha dato luogo a una collezione tipicamente museale, intesa come documento del passato. Spesso le antiche pale sono state esposte in mostre importanti (anche agli Uffizi) e hanno richiamato l’interesse degli studiosi d’arte, per la qualità pittorica, per i soggetti, per il legame con i personaggi che le avevano fatte dipingere. Non tutte le pale sono giunte a noi: quella di Galileo, per esempio, di cui conosciamo il bozzetto grazie a un disegno, non è attualmente posseduta dall’Accademia, e non sappiamo se sia sopravvissuta alla vicissitudini della storia. Però nel secondo Novecento si è avuta una timida ripresa dell’antica tradizione, e con maggior vigore la ripresa si sta manifestando nel nuovo millennio. Venerdì 24 gennaio, nella prima tornata accademica del 2020, sono state presentate ben quattro nuove pale “moderne”, che si aggiungono alle precedenti, tra le quali le due dei presidenti emeriti Francesco Sabatini e Nicoletta Maraschio, già da tempo collocate sulle pareti della prima stanza al piano terreno della villa, sul percorso che conduce alla sala delle pale “antiche”.

Abbiamo qui il piacere di presentare ai lettori queste quattro pale, così come sono state illustrate agli Accademici il giorno 24 gennaio (nella mattinata erano stati illustrati i lavori di restauro per la buona conservazione delle pale antiche, con interventi della dott.ssa Lia Brunori (Funzionaria della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato) e della restauratrice Chiara Mignani.


Appendice

La redazione di "Italiano digitale" allega al Tema le foto delle quattro nuove pale e le rispettive descrizioni, fornite dagli accademici stessi in occasione della presentazione.


Angelo Stella, Abscondito
Accademico della Crusca dal 2003. Allievo di Maria Corti, Cesare Segre, Lanfranco Caretti, ha insegnato Storia della lingua italiana all’Università degli Studi di Pavia.
Il nome accademico è Abscondito.
Il motto è tratto da Ognissanti di Alessandro Manzoni: nell’erba del campo / la spiga vitale nascose. La pala, nella sua semplicità votiva, vuole accennare, al di là del Lui a soggetto, con la spiga tra il velo degli steli, e il lontano profilo dei monti e del lago, con la memoria dei successivi novenari ("il fil di tue vesti compose, / de’ farmachi il succo temprò"), allo spirito e alla ragione profonda della estrema lezione linguistica manzoniana. Le spighe nascoste, crescendo in un campo socialmente naturale, attendono di poter donare un più bel fiore. Vorrebbero richiamare, sottovoce, nel contesto del rinnovamento di idee e di metodi in azione e fattuale, la civile e tenace lateralità, che è stata rimane e diventerà, in molte nazioni, un imperativo allo studio delle culture materiali e spirituali dei diversamente colti, a partire da quelli vissuti in Italia di parole spesso non scritte e forse non più pronunciabili, che la geografia e la storia linguistica pre- e ormai postunitaria, chiedono di sottrarre al silenzio.
Il pittore: Gian Carlo Carena, amico architetto pavese, nella libera professione ha collaborato con la Soprintendenza milanese nel restauro di castelli, chiese e palazzi custodi di immagini d’arte. Ha sempre coltivato la pittura, con olii, affreschi, acquerelli, acrilici; in una originalità reinterpretativa, dalla tradizione al postmoderno. Ha esposto in gallerie in Italia e all’estero, con mostre personali e collettive.



Silvia Morgana, Ariosa
Accademica corrispondente dal 20 novembre 1997, accademica ordinaria dal 25 maggio 2010, ha insegnato Dialettologia italiana, Storia della lingua italiana e Linguistica italiana nell’Università degli studi di Milano (in precedenza Storia della lingua italiana nell’Università di Udine).
Il nome accademico è Ariosa.
Il motto è un verso del Paradiso di Dante (XX, 73): Quale allodetta che’n aere si spazia. La pala rappresenta un’allodola in un campo di grano maturo, con una spiga nel becco, mentre nel cielo, alle prime luci dell’alba, è raffigurata un’altra allodola in volo. L’immagine evoca la simbologia tradizionale dell’allodola, protettrice dei campi e delle messi, che appena fa giorno si alza in volo cantando. Si riconosce sullo sfondo Milano, la città dove l’Accademica vive e lavora, con i grattacieli che ne caratterizzano il nuovo profilo. All’orizzonte si intravede la linea sfumata delle Grigne, del Resegone e delle Prealpi lombarde, ben visibili nei giorni limpidi da Milano e ritratte per la prima volta da Leonardo in alcuni celebri disegni. Il nome Ariosa si riferisce, oltre che alla simbologia dell’allodola, anche alla provenienza dell’Accademica, milanese d’adozione ma di origine pavese: "Arioso" che in Toscana vale anche borioso (chi si dà delle arie), in accezione gergale milanese ha tutt’altro senso. "Milanese arioso" dicesi ironicamente di chi è immigrato dal suburbio o dalla provincia, o da Cerignola d’Apulia, e vuol gabellarsi per cittadino "della cerchia antica" (Carlo Emilio Gadda in una sua nota a L’Adalgisa. Disegni milanesi).
La pittrice: Melissa Franklin Sanchez è nata nel Warwickshire. Dopo studi umanistici in Inghilterra si è diplomata in Pittura a Firenze alla Florence Academy of Art. Oggi è direttrice dei corsi intensivi alla FAA. Le sue opere sono esposte in gallerie e collezioni provate in Europa e negli Stati Uniti.



Claudio Marazzini, Boreale
Accademico dal 2011, Presidente dal 2014 a tutt’oggi. Ha insegnato nelle università di Macerata, Udine, Losanna e Piemonte Orientale.
Il nome accademico è Boreale.
Il motto, "Sotto la neve pane”, è la prima parte di un noto proverbio popolare toscano (“Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame”), presente con piccole varianti nella raccolta del Serdonati, in quella del Giusti, nel Giuliani, e registrato anche nel Vocabolario della Crusca, fin dalla sua prima edizione. La pala raffigura una delle più belle e celebri montagne piemontesi, il Monviso, coperto di neve, con la campagna ai suoi piedi fiorente di spighe, segno dell’abbondanza e del beneficio delle fredde nevi montane. Il Monviso domina la pianura, è visibile da tutto il Piemonte, in parte anche dalla Lombardia. Ogni piemontese lo ama, ne percorre i sentieri, sa che di lì nasce il Po, il fiume che bagna Torino. Anche Claudio Marazzini, primo presidente torinese dell’Accademia, l’ha sempre guardato come punto di riferimento inconfondibile nella catena alpina. Lo vede anche dal balcone della propria casa e ci va a sciare d’inverno, ogni volta che gli è possibile. Tra i campi di grano e la neve, corre un treno rosso: senza l’alta velocità, rappresentata da questo treno, sarebbe stato impossibile il continuo movimento pendolare tra la sua città, Torino, e la Crusca fiorentina. Il treno è stato il tramite necessario tra la Toscana, fiorente del grano di Crusca, e le terre boreali, vicine metis Ytalie, come disse Dante nel De vulgari eloquentia.
Il pittore: Gionata Alfieri, Loreto (AN) 1963. Diplomato al Liceo Artistico Statale di Novara e alla Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano, vive a Magenta (Mi). Illustratore e grafico per case editrici, agenzie di pubblicità e aziende private tra cui L’Erbolario di Lodi, Feltrinelli, Mondadori, Rizzoli, Carthusia. Insegnante di grafica, illustrazione e pittura dal 1987. Tra le scuole dove ha insegnato dal 2002 al 2008, la Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano. I suoi lavori sono stati esposti in Italia e all’estero (Kew Garden di Londra, The New York State Museum di Albany - NY) e fanno parte di collezioni private.



Paolo D'Achille, Integrale
Accademico dal 2011, insegna Storia della lingua italiana, Linguistica italiana e Dialettologia italiana presso l’Università Roma Tre.
Il nome accademico è Integrale. 
Il motto è il verso 7 del sonetto proemiale delle Poesie di Tommaso Campanella: Dentro ogni tutto, ed antico e novello. La pala raffigura una sala, dal pavimento a esagoni bianchi e grigi, in cui si alternano zone di luce e d’ombra. La parete di fondo, in rosso scuro, si apre su un paesaggio campestre; da essa parte, in basso a destra, un filo elettrico. Al centro della scena è un piano di pietra, sorretto da un rocchio di colonna, su cui poggiano un taccuino e una forma di pane integrale, con una fetta già tagliata. Il pane integrale è fatto di farina sottoposta solo parzialmente a setacciatura, in modo da farle conservare intatte tutte le sue naturali sostanze nutritive. Il nome, unito al motto (tratto da una poesia “filosofica” che parla anche di grano e di parole e che fu pubblicata nello stesso anno in cui la Crusca stampava la prima edizione del suo Vocabolario), vuole indicare un impegno nello studio sia della lingua antica sia di quella moderna, uno sforzo di integrare le dimensioni della diacronia e della sincronia.
Il pittore: Francesco Campese, nato ad Avellino, si è specializzato all’indirizzo pittura tenuto da Giuseppe Modica all’Accademia di Belle Arti di Roma. La sua ricerca si concentra sull’aspetto essenziale delle cose, riflettendo una poetica esistenzialista. L’ interesse per la materia pittorica lo porta a sperimentare tecniche del passato rivisitandole con materiali contemporanei. Nel 2018 ha inaugurato a Roma Spazio Urano, dove attualmente lavora.