Consulenza linguistica

Nun hai capito una cippa! (Ma speriamo non sia questo il caso)

  • Marzia Caria
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2024.34298

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Quesito:

Alcuni lettori hanno chiesto chiarimenti sull’etimologia del termine cippa, usato per esempio nell’espressione Non capire una cippa. Un altro dubbio riguarda l’esistenza e la correttezza del derivato cippare.

Nun hai capito una cippa! (Ma speriamo non sia questo il caso)

L’espressione non capire una cippa, suggerita dai nostri lettori, significa ‘non capire niente’. Il significato, figurato, del sostantivo femminile cippa è quindi quello di ‘niente’. Si tratta della terza accezione con la quale questa parola, di origine romana, viene lemmatizzata nel Vocabolario del romanesco contemporaneo. Le parole del dialetto e dell’italiano di Roma di Paolo D’Achille e Claudio Giovanardi (Roma, Newton Compton Editori, 2023; d’ora in poi VRC). Più precisamente – così si legge nel VRC – cippa assume il valore figurato di ‘niente’ nella locuzione una cippa, per esempio nella frase “nun hai capito una cippa!”, più o meno la stessa rispetto a quella proposta da un lettore. Tale espressione, seguendo ancora il VRC, può essere ulteriormente rafforzata dal sostantivo lippa ‘cosa da nulla, di nessun valore’ (es.: “Nun me ne frega una cippa lippa!”), voce onomatopeica infantile che in passato veniva usata per indicare un ‘gioco consistente nel far saltare un piccolo legno appuntito con un bastone e con un secondo colpo riprenderlo al volo per scagliarlo lontano’, e poi, per sineddoche, per chiamare ‘il pezzo di legno appuntito usato in tale gioco’ (cfr. il Nuovo De Mauro, che marca la voce come “regionale toscana”). La seconda accezione di cippa nel VRC è ‘membro virile’, anch’essa con valore figurato, mentre il primo significato registrato dal vocabolario del romanesco è ‘pezzo di legno’. Quindi, per riassumere la trafila dei significati di cippa, da ‘pezzo di legno’ si è passati al senso figurato di ‘membro virile’, da cui è derivato quello di ‘niente’, assunto da cippa quando si trova nelle frasi negative, in posizione posposta al verbo (e sempre preceduto dall’articolo indeterminativo).

In sostanza, si è verificato un meccanismo analogo a quello che ha riguardato altre parole usate volgarmente per indicare il ‘pene’, come cazzo (ma anche i vari cacchio, mazza, minchia), che possono per l’appunto essere impiegate nelle frasi negative con il significato di ‘niente, nulla’; si pensi a frasi del tipo di “non vedere un cazzo, non capire un cazzo, non dire un cazzo” (cui potremmo sostituire un cacchio, una mazza, una minchia, e il significato resterebbe il medesimo).

Nel VRC è registrata anche la variante ceppa, per la quale il vocabolario riporta l’accezione primaria di ‘membro virile’, cui segue la seconda accezione di ‘niente’ (anche in questo caso nella forma una ceppa posposta al verbo; ess.: “nun capì, nun valé una ceppa”). A questi due significati il VRC aggiunge un terzo valore (assente in cippa): ‘persona o cosa particolarmente brutta’, attestato nel linguaggio giovanile (es.: “Sei ’na ceppa!”). Una testimonianza di quest’uso offensivo di ceppa nell’italiano dei giovani (specialmente di Roma) la abbiamo, non a caso, anche in un glossario sul linguaggio giovanile realizzato da un gruppo di studenti dell’Università LUMSA di Roma (cfr. Bella ci! Piccolo glossario di una lingua sbalconata, a cura di Patrizia Bertini Malgarini, Marzia Caria, Alghero, Edicions de l’Alguer, 2023 [1a ed. 2017], s.v.).

Siamo quindi nell’ambito di quel gruppo di insulti che si sono irradiati dall’area semantica relativa all’apparato sessuale maschile, di cui fanno parte, oltre a ceppa, parole come bischero, cacchione, cazzone, minchione ecc., usate in modo spregiativo (ma anche scherzoso) per indicare una ‘persona sciocca, stupida, incapace’.

Per quanto riguarda la diffusione di ceppa, cippa con i significati di ‘membro virile’ e di ‘niente’, si tratta di forme che ormai sono utilizzate anche al di fuori dell’area romana, soprattutto tra i giovani (ma non solo), probabilmente grazie alla mediazione di film, canzoni, social media. Se diamo infatti un’occhiata ai principali repertori di linguaggi giovanili disponibili in rete, come Linguagiovani*, troviamo la forma registrata con il significato di ‘niente’ a Milano nel 2001 (es.: “Non me ne frega una cippa!”). Ma è curioso notare che Linguagiovani registra nel 2000 anche cippa con il significato opposto di ‘molto’ (es.: “In parco c’è una cippa di gente oggi”), anche in questo caso su segnalazione di un utente milanese. Già un anno prima, nel 1999, un utente di Torino aveva suggerito l’espressione cippa di minkia per ‘nulla, col cavolo’ (es. “Con sta cippa di minkia che vengo alla festa!”). Più recente è il volumetto dal titolo Colorami sta ceppa di minchia (Bigolandia Creations, 2020), stampato in una collana di “libri antristress” per adulti: una carrellata di “insulti da colorare”, per “sfogarsi con un po’ di insulti”. E, ancora, su Slengo, per il lemma cippa (e ceppa), letteralmente ‘cazzo’, o ‘niente’, si attesta pure il suo uso nell’espressione di questa cippa o di ’sta cippa, come variazione della locuzione di ’sto cazzo (es.: “Supereroe di ’sta cippa!”). Diverso è invece il significato che per ceppa è stato inviato a Slangopedia da un giovane utente veneto, che lo segnala come sinonimo di ‘sbronza’ (ess.: “Ho preso una ceppa da paura”; “Che ceppa!”), e, più in generale, con il significato di ‘batosta’.

Se dal VRC e dai repertori del giovanilese ci spostiamo ai dizionari, vediamo che la forma entra nel GDLI solo nel 2009, nel Supplemento di quell’anno. Più precisamente, il GDLI mette a lemma ceppa, seguito dalla variante cippa (posta tra parentesi). Il sostantivo, preceduto nel GDLI dalla sigla NA (“nuova accezione”) e marcato come “regionale” (di provenienza centr.), viene registrato per l’appunto sia con il significato di ‘pene, membro virile’ sia con quello di ‘niente, nulla’ (nelle frasi negative). Il primo significato è documentato dal GDLI (con rinvio a Scrostati gaggio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili, di Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno, Torino, Utet, 2004, 95) nel testo della canzone di Elio e le Storie tese del 1996: 

Sono un nuovo burattino con il mio legnetto novità. Sono ceppo con la ceppa, grazie a Geppo mio papà. (Burattino senza fichi)

Per il secondo significato il GDLI rinvia a un racconto del 2003 di Silvia Ballestra, scrittrice di origine marchigiana:

Il produttore mio s’è rivelato una sòla. Prima m’hanno illuso un casino, poi, alla fine, dai miei poveri materiali impestati pare proprio non si produca, né riduca, né traduca un’emerita cippa. (Prima che Young saluti il pubblico di Correggio, in Senza gli orsi, Milano, Rizzoli, p. 106)

Negli altri vocabolari, sia quelli storici sia quelli dell’uso, troviamo registrata solo la forma ceppa, ma con significati diversi rispetto a quelli indicati dal Supplemento del GDLI; il sostantivo cippa, invece, non compare affatto. Ad esempio, tra i dizionari storici, il TLIO riporta ceppa con il significato di ‘pezzo di legno usato per riempire una cavità’ (più o meno come la prima accezione di cippa nel VRC), la cui prima attestazione risale a un testo in volgare lucchese della fine del Duecento (Il libro memoriale di Donato). Il Vocabolario degli Accademici della Crusca registra la voce solo nella quinta impressione (1863-1923), con l’accezione di ‘la parte che è sotterra, e da cui spuntano le radici’. Ambedue le definizioni sono riportate per ceppa anche nel GDLI, che registra la voce pure come sinonimo di ceppaia per indicare la ‘parte tagliata del ceppo di un albero, dalla quale germogliano nuovi polloni’.

Consultando i dizionari dell’uso, per esempio il Nuovo De Mauro, sotto la voce ceppa (datata nel 1841) abbiamo due significati: ‘ceppo dell’albero’ e ‘cavità naturale che si forma nel ceppo dell’albero’ (con la marca BU “basso uso”). Sul piano etimologico, il DELI propone di risalire a ceppo, parola derivata a sua volta dal latino cĭppum ‘cippo, colonnetta’, di etim. incerta (con rinvio a cippo, che ne è l’allotropo dotto).

Tra i tanti significati di ceppo, i vocabolari dell’uso (come il Nuovo De Mauro) riportano quello tecnico-specialistico della botanica di ‘parte inferiore di un albero da cui si alza il tronco, si dipartono le radici e nascono nuovi polloni’, e quello comune di ‘grosso pezzo di legno da ardere, ciocco’. Con questo secondo significato la forma ricorre anche in alcune espressioni come “un ceppo brucia lentamente nel caminetto”; “sembrare, parere un ceppo, stare, rimanere lì come un ceppo”, cioè ‘senza muoversi, irremovibile, o anche sbalordito’. Per questa accezione, il Nuovo De Mauro inserisce un rinvio all’uso regionale toscano, in cui ceppo indica, per antonomasia (anche con l’iniziale maiuscola), ‘il ciocco benedetto che si brucia la notte di Natale’; da cui, per estensione, ‘il Natale stesso; le feste natalizie’ (per la trattazione sulla tradizione del ceppo in Toscana si rimanda alla scheda su questo stesso sito).

Sempre alla voce ceppo, il Nuovo De Mauro aggiunge il significato figurato (ma marcato come “obsoleto”) di ‘persona tarda, lenta nel muoversi o stupida’. Tecnico-specialistico è anche il significato di ‘blocco di legno o di altro materiale facente parte di uno strumento, di un meccanismo’; per esempio, nell’aratro è la ‘parte che serve come base’; nella marineria è, nell’ancora, la ‘trave di legno o ferro fissata perpendicolarmente al fusto’. Si tratta insomma, questa volta leggiamo dal GDLI (s.v. ceppo), di una ‘parte di congegni o di strumenti complessi; di un grosso manico, o di una grossa trave di sostegno’. Infine, specialmente al plurale, i ceppi erano ‘grossi arnesi di legno con cui un tempo si bloccavano i piedi ai prigionieri’ (per estens., le ‘catene’); come tale, compare spesso nei melodrammi (ricordiamo l’aria di Azucena “Condotta ell’era in ceppi” dal Trovatore di Verdi (libretto di Salvadore Cammarano).

Quanto a cippo, il termine si è specializzato, nell’ambito dell’archeologia, per indicare il ‘basso tronco di colonna o pilastro privo di capitello e basamento, eretto spec. come monumento funebre o commemorativo’ (es. cippo funerario, sepolcrale, onorario) o la ‘grossa pietra usata un tempo per segnare un confine’ (es. cippo terminale); e successivamente, per estensione, per definire il ‘blocco di pietra a forma di parallelepipedo, usato sulle strade per indicare le distanze chilometriche’ (cfr. il Nuovo De Mauro, s.v.).

A proposito dei cippi funerari e sepolcrali, un utile approfondimento può essere la voce dell’Enciclopedia Treccani dedicata a cippo, che ci permette di trovare un collegamento tra il cippo e il ‘membro virile’. Leggiamo infatti che, tra i tanti tipi di cippi usati dagli etruschi nelle loro necropoli, piuttosto comuni erano quelli “a sommità rotonda o rotondeggiante, liscia”, un tipo di cippo in cui si riconosceva una chiara “allusione, come simbolo fallico, al sesso maschile dell’inumato, o anche al significato apotropaico del simbolo stesso”.

Troviamo un collegamento tra le forme ceppa/cippa e il significato di ‘membro virile’ nel Lessico Etimologico Italiano (LEI). Nella voce cippus ‘palo, colonna appuntita’ (volume XIV, colonna 492) viene citato il sostantivo femminile ćéppa ‘pene’ nel dialetto laziale meridionale di Castro dei Volsci, e il derivato ćippóno in quello della vicina Amaseno. Con il medesimo valore semantico, il LEI riporta alcune varianti diffuse in altre aree geografiche, derivate anch’esse da cippus: ćíp nel basso piemontese (valsesiano), cip nel dialetto lombardo alpino orientale (valtellinese), ćippu nel dialetto umbro meridionale orientale (ivi, colonna 491).

In conclusione, dunque, è evidente che, come conferma anche il LEI, dal latino cĭppu(m) ‘cippo, colonnetta’ siano derivate in italiano sia ceppo sia ceppa nei vari significati che oggi i termini hanno assunto.

Passiamo ora al verbo cippare, di cui ci chiede un altro lettore. Diciamo subito che il legame con ceppo continua a esserci, ma si tratta di una parola dialettale dal significato particolare. La si usa infatti nel calabrese meridionale con il senso di ‘fare la domanda di sposarsi con una ragazza’. Deriva dal sost. cippu ‘ceppo’ e rinvia alla seguente usanza della tradizione calabrese: “il giovane pretendente colloca, di notte, nel limitare dell’uscio della giovinetta desiderata un grosso ceppo, che segna con un taglio di scure e fregia di nastri (Acri, San Lorenzo Bellizzi ed altri paesi). Se la madre della fanciulla, aprendo al mattino seguente la porta, tira dentro quel ceppo, vuol dire che il partito è accettato, il matrimonio si ritiene per conchiuso e la fanciulla dicesi accippata, o ’ncippata” (I dialetti italiani. Dizionario etimologico, di Manlio Cortelazzo e Carla Marcato, Torino, UTET, 1998, s.v. cippare). Analogo antico uso è all’origine del pugliese nceppunà, abruzzese ngëpp(un)à ‘fare la proposta di fidanzamento’ con il ceppo che in tali varietà è detto ceppunë (ibid.).

Il verbo cippare non risulta registrato nei vocabolari della lingua italiana, né in quelli storici né in quelli dell’uso. C’è però ceppare ‘mettere solide radici nel terreno’, detto di albero, derivato da ceppa con la desinenza verbale -are (cfr. il Nuovo De Mauro, che attesta la forma nel 1830).

Tra i Neologismi Treccani 2018 è registrato pure cippato, che però non ha niente a che fare con cippa/ceppa: si tratta infatti di un participio passato e sostantivo maschile adattato dal part. pass. ingl. chipped ‘ridotto in schegge, in trucioli’, usato recentemente in italiano per ‘legno di scarto o residuo di potature, ridotto in schegge e impiegato come materiale da combustione’.

Il GDLI (Supplemento 2004) attesta infine il sostantivo ceppatura ‘bloccaggio di una ruota di un autoveicolo parcheggiato in divieto di sosta per mezzo di un apposito ceppo metallico’, sviluppato da ceppo, nel significato meccanico del termine, cui si aggiunge il suffisso dei nomi d’azione. Lo stesso riferimento al concetto di  ‘blocco’, ‘impedimento’ si ha nel verbo parasintetico inceppare, usato soprattutto come pronominale (incepparsi) e nei suoi derivati (inceppamento, inceppato, inceppatura, inceppo).

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