DOI 10.35948/2532-9006/2023.29037
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Alcuni lettori chiedono chiarimenti in merito all’aggettivo mandatorio usato con il senso di ‘obbligatorio’: se è ammissibile nella lingua italiana, se è proprio solo di determinati linguaggi specialistici, e se deriva dall’inglese mandatory.
L’aggettivo mandatorio è registrato nei dizionari italiani dell’uso a partire dal 2007 (il primo è il Garzanti 2007; poi lo Zingarelli 2016 e il Devoto-Oli 2017), con i significati di ‘relativo a un preciso e cogente mandato’ (marcato in tutte e tre le opere come proprio del linguaggio giuridico), e ‘obbligatorio, vincolante, imprescindibile’. Quest’ultimo valore è quello oggi prevalente, nonché il solo riportato dal GDLI (Supplemento 2009), il quale specifica che si tratta di “voce mutuata dal linguaggio scientifico, in particolare dell’informatica”, entrata in italiano come calco dell’inglese mandatory.
In realtà, già a partire dalla fine del III secolo nel latino è attestato l’aggettivo mandatorius (definito dal TLL come “id quod ad mandatorem pertinens”), che nel Medioevo e nell’Età moderna continua a circolare quale cultismo giuridico negli scritti in latino di gran parte d’Europa. L’aggettivo passa poi anche nel volgare: dallo spoglio del Corpus OVI e degli archivi Vocanet-LLI congiuntamente a Google libri emergono attestazioni del termine nel volgarizzamento delle Costituzioni egidiane del 1357, in cui si presenta la locuzione lettera citatoria o mandatoria:
E se lettera citatoria o mandatoria firà [sic] presentada per la parte o per altra persona, cum la rogatione del notaro chi de ciò faccia publico instrumento, chi contengna el tenore de tale lettera e le altre cose solempne a le carte et instrumenti, vaglia la citacione sença baylio e fia creduto de la citacione al predicto instrumento. (l. II, cap. XVII, citato dal Corpus OVI)
mentre, quasi due secoli dopo, negli Statuti della Città di Lucca del 1539 si ha lettera mandatoria o monitoria:
Et di ciascheduna lettera, mandatoria, o monitoria col sigillo, o senza il sigillo registrata, la quale procedesse dall'officio della ditta corte del Sindico, o a petitione di qualche communita, o particulare persona, possino pigliare soldi sei & piu perfine in soldi noue ad arbitrio del Sig Sindico, considerata la fadigha della ditta lettera. (l. V, pt. 2, cap. LV, Gli Statuti della Città di Lucca nuovamente corretti et con molta diligentia stampati, In Lucca, per Giouambattista Phaello Bolognese, 1539)
L’impiego del termine resta fortemente legato all’ambito giuridico-commerciale anche nelle attestazioni successive, che si presentano, tra i secoli XVII e XVIII, in testi tecnici – per l’appunto giuridici ed economici – di area siciliana (tra questi, l’Aritmetica di Onofrio Pugliesi Sbernia del 1670 e la raccolta delle Leggi e costituzioni prammaticali maltesi del 1724). In tali documenti a occorrere è quasi sempre la locuzione atto mandatorio, usata per designare documenti “in cui alcuno ordina ai governatori dei banchi pubblici di pagare o consegnare a qualche persona una certa somma di denaro o quantità di genere colla causa per tanti contanti ricevuti o altra causa che cagionasse obbligazione evidente di colui che fa l’atto” (Salesio Emmanuele, Progetto del codice per la parte che riguarda il rito nelle cause civili, Palermo, Reale Stamperia, 1813, tit. XLIX, § 5).
Tuttavia, a partire dal secolo XVIII, l’aggettivo comincia a ricorrere anche in alcune traduzioni dall’inglese di opere di carattere storico-giuridico. In queste, il termine non è impiegato nel suo significato proprio di ‘relativo al mandato’ (in cui parrebbe non comparire più dopo i primi dell’Ottocento), bensì nell’accezione di ‘prescrittivo, direttivo’, calcata sull’inglese mandatory (che, a sua volta, sempre dal latino mandatorius, aveva sviluppato il significato di “of, relating to, or conveying a command or commission” e poi quelli di “binding” e “obligatory, compulsory; not discretionary”: v. OED, s.v., §§ A.1 e 2). Così, ad esempio, nella traduzione italiana della Cyclopædia di Ephraim Chambers del 1749, a proposito dei tipi di atti pronunciabili dalla Court of Chancery inglese, si legge (s.v. cancelleria):
Le procedure di questa Corte sono o ordinarie […] con accordare e rilasare ordini e decreti provisionali e mandatorj, scritti di grazia, ec., ovvero straordinarie, secondo l’equità e la coscienza (Dizionario universale delle arti e delle scienze, ... di Efraimo Chambers ... Traduzione esatta ed intiera dall’inglese, tomo II, s.v. cancellaria (Chancery), p. 201, In Venetia, presso Giambatista Pasquali, 1749)
E nel 1831 il giurista Giovanni Carmignani, nella sua Teoria delle leggi della Sicurezza sociale, traducendo dal De cive (cap. 14 § 7), scrive che Hobbes
distingue nella legge garante della sicurezza due parti: l’una, che proibisce di offendere il dritto altrui, la quale è distributiva e parla a tutti: l’altra, che ingiunge a chi infrange la proibizione una pena, ed è mandatoria, e parla ai magistrati. (Teoria delle leggi della sicurezza sociale di Giovanni Carmignani, Pisa, F.lli Nistri e C., 1831, tomo I, p. 211)
Le attestazioni dell’anglicismo in italiano restano comunque sporadiche fino agli anni Settanta del Novecento, ed è soprattutto a partire dagli anni Ottanta che il termine si diffonde più stabilmente nella prosa tecnico-scientifica in special modo di area medica, nella quale gode di particolare fortuna la locuzione ventilazione mandatoria intermittente o, più di rado, continua (entrata in italiano quale calco sull’inglese intermittent – o continuous – mandatory ventilation).
La presenza di mandatorio, col valore di ‘vincolante, obbligatorio’, si riscontra dalla metà degli anni Novanta anche nel linguaggio giuridico comunitario (v. banca dati EurLex) e, dopo il Duemila, in quello nazionale (v. banche dati DeJure, One Legale, e ITTIG), in cui occorre soprattutto all’interno di pronunce giurisprudenziali in contesti di argomento medico.
Negli ultimi due decenni il termine si è diffuso anche in usi meno specialistici: lo si trova attestato, ad esempio, nell’ambito della comunicazione (nel 2005 viene incluso tra i “neologismi suggeriti dai lettori” del quotidiano “la Repubblica” per la categoria pubblicità/marketing: v. Dario Olivero, Copincolla, forwarda, non trezzare. Sono i neologismi scelti dai lettori, 5/10/2005), e, come risulta dal corpus NUNC, anche in newsgroup di argomento informatico e calcistico. L’aggettivo sembra tuttavia non essersi ancora pienamente affermato nel linguaggio comune, come dimostrano le scarse occorrenze del termine nei repertori della stampa quotidiana (“Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “La Stampa”).
L’aggettivo mandatorio potrebbe dirsi, in conclusione, un termine “patrimoniale rinforzato” (secondo la classificazione proposta da Daniele Emanuele Grasso per i calchi sintattici), in quanto “la sua origine [è] endogena, ma la sua espansione sincronica può essere ragionevolmente ricondotta ad un influsso dell’archetipo alloglotto” (Innovazioni sintattiche in italiano [alla luce della nozione di calco], tesi di dottorato, Université de Genève, 2007, p. 73). Difatti, esso è pienamente attestato nella storia dell’italiano (in diretta continuità con il latino mandatorius), ma con il significato – oggi in disuso – di “relativo al mandato”; la sua recente fortuna, soprattutto nei linguaggi settoriali della medicina e più recentemente del diritto, nel valore di ‘obbligatorio’ è invece da ascriversi senza dubbio all’influenza della lingua inglese, e in tale accezione il termine è da considerarsi un calco su mandatory*.
*Per maggiori approfondimenti si rinvia a Francesca Fusco, «Mandatorio»: la complessa storia italiana (ed europea) di un apparente anglicismo contemporaneo, in “Studi di lessicografia italiana”, XXXVIII (2021), pp. 5-24.
Nota bibliografica: