DOI 10.35948/2532-9006/2022.23819
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Ci sono pervenute diverse domande sul genere grammaticale di due nomi di animali: alce e istrice.
Prima di entrare nel merito del genere grammaticale di alce e istrice, affrontiamo alcune questioni di carattere più generale sull’attribuzione del genere, in particolare dei nomi di animale.
1. L’attribuzione del genere ai nomi (di animale)
Le regole di assegnazione del genere ai nomi sono basate, come rileva Thornton (2003), sul seguente assunto generale:
PROPRIETÀ X → genere α
Ciò significa che il genere viene determinato in funzione di una specifica proprietà del nome, sia essa di natura formale o semantica. La stessa Thornton, riprendendo la classificazione di Corbett (1991), distingue tra le regole semantiche, in base alle quali si può desumere il genere dal significato del nome, e le regole formali, secondo le quali si stabilisce il genere dalle caratteristiche formali. Queste ultime, poi, sono suddivise in regole fonologiche, “per le quali l’assegnazione del genere avviene in base alla forma di base del nome”, e regole morfologiche, “per le quali l’assegnazione del genere avviene in base a più forme del nome” (Thornton 2003, p. 467). Esiste, inoltre, la possibilità di attribuire il genere per default e in italiano in questo caso ricorre al maschile (usato, per esempio, per i nomi di preghiere).
In base alle regole formali fonologiche, salvo alcune eccezioni, quando una parola termina in -o viene ricondotta al maschile, mentre se finisce per -a al femminile: la desinenza contiene, in questi casi, l’indicazione relativa al genere del vocabolo. Nel caso dei nomi di animali, la terminazione in -o determina l’attribuzione del genere maschile, da cui si ottiene il femminile in -a: cavallo/cavalli e cavalla/cavalle, per esempio, indicano rispettivamente gli individui di sesso maschile e femminile del noto mammifero domestico. Lo stesso discorso, in sincronia, si potrebbe fare per gatta rispetto a gatto, ma va rilevato che in italiano antico il femminile gatta era utilizzato per indicare entrambi i sessi (cfr. Accademia della Crusca 2012). Diversamente da cavalla e gatta, che nell’uso linguistico attuale hanno una loro stabilità (come dimostra la marca AD [alta disponibilità] assegnata alla voce gatta nel GRADIT, che tuttavia marca gatto come FO [fondamentale]), esistono dei femminili occasionali, a cui si ricorre con molta minore frequenza, come pinguina da pinguino (cfr. Thornton 2004, p. 220, che segnala anche cammella, canarina, cangura e altri), ma anche, partendo da nomi femminili in -a, maschili come tartarugo o balenottero, rifatto su balenottera forse, come precisa il GRADIT, per “errata interpretazione di tale voce come dim[inutivo]”. Thornton rileva che anche da sostantivi maschili in -e si sviluppano femminili in -a, oltre che in -essa (per esempio bua, cappona e maiala, accanto a pavonessa, elefantessa).
Non sempre, però, il genere è assegnato sulla base della desinenza: lasciando da parte i nomi in -e, di cui si parlerà più oltre con riferimento ad alce e istrice, ci sono nomi che, contravvenendo alle regole fonologiche sopramenzionate, terminano in -a e sono maschili (molto più rari i femminili in -o). Thornton (2003) ricorda i casi di panda e koala, nomi che avrebbero dovuto essere femminili, ma che sono di genere maschile. Ciò si verifica perché l’attribuzione del genere grammaticale può essere determinata dal genere di una parola semanticamente affine, che, in questo caso, è orso:
GENERE DI UNA PAROLA SEMANTICAMENTE AFFINE (ma non iperonima, non traducente, non falso amico) → genere dell’assegnando
Caratteristica specifica di molti nomi di animali è poi quella di possedere un’unica forma, sia essa maschile o femminile) per indicare gli individui dei due sessi: è il caso di avvoltoio, balena e serpente. Tali nomi sono definiti epiceni (o nomi di genere comune o di genere promiscuo). Per la distinzione dei sessi si ricorre a delle strategie analitiche che consistono nell’aggiunta dell’apposizione maschio/femmina o di espressioni del tipo il maschio/la femmina di, del (per esempio, il serpente femmina o il maschio della volpe; Treccani 2012). È opportuno precisare che le suddette forme perifrastiche sono per lo più (ma non sempre) associate a nomi che presentano un genere opposto rispetto al sesso specificato. Un’altra strategia compositiva, menzionata da Thornton (2004, p. 225), è quella per cui “si creano composti che hanno come testa un nome dalla referenza sessuale definita e come modificatore un nome di professione o di animale epiceno, o viceversa” come mamma porcospino, papà marmotta, che si documentano, in particolare, nelle favole per bambini.
Nel caso di nomi che non terminano in -a o in -o, spesso l’individuazione del genere è possibile solo attraverso l’analisi dell’articolo o dei modificatori del nome (Grandi 2010). Ed è questo il caso di alce e di istrice.
2. Le indicazioni lessicografiche sul genere di alce e di istrice
Consideriamo preliminarmente che sia alce sia istrice sono voci di derivazione latina, rispettivamente da alcem e hystricem, che in latino erano entrambi nomi femminili (cfr. ThLL). I dizionari storici, etimologici e dell’uso contemporaneo consultati sono concordi nell’attribuire a istrice il genere maschile (DELI, DISC, Devoto-Oli 2022, l’Etimologico, Garzanti, GRADIT, TLIO); gli unici che indicano come raro il femminile sono GDLI, Vocabolario Treccani online, Zingarelli 2022. Allo stesso modo, tendono per lo più ad assegnare il maschile anche ad alce (DELI, DISC, Devoto-Oli 2022, GDLI, l’Etimologico, Tommaseo-Bellini, TLIO), a cui però il doppio genere, maschile e femminile, è riconosciuto in diversi casi (Garzanti, Vocabolario Treccani online, GRADIT, Zingarelli 2022).
Per saperne di più, ricostruiamo ora la storia dei due nomi, accomunati dal fatto che iniziano entrambi con una vocale: il loro genere grammaticale deve quindi essere ricavato dagli articoli anteposti alle forme plurali, visto che al singolare la frequenza dell’elisione negli articoli determinativi (e le oscillazioni sull’uso dell’apostrofo nell’articolo indeterminativo, normato solo in età postunitaria) rappresentano degli ostacoli per individuarlo.
3. La documentazione su alce
Alce è considerato un paleogermanismo, cioè un prestito germanico entrato in latino nell’età imperiale. Una delle sue prime attestazioni in latino (da cui si evince con sicurezza il genere femminile) si ha nel De bello Gallico (6, 27) di Giulio Cesare, il quale fornisce una descrizione fisica dell’animale, influenzata dalle credenze popolari:
Sunt item quae appellantur alces. Harum est consimilis capris figura et varietas pellium, sed magnitudine paulo antecedunt mutilaeque sunt cornibus et crura sine nodis articulisque habent.
La prima attestazione di alce in italiano è in un passo del Dittamondo di Fazio degli Uberti (c. 1345-67; cfr. DEI, GDLI, DELI, LEI, TLIO):
Robusti, grandi e forti a tutti affanni / gli uomini sono e ne le armi impronti, / leali altrui e buon, se non l’inganni. / Io vidi, per que’ boschi e per li monti, / diverse fiere e con nuovi costumi, / alce e uri, dico, e gran bisonti. / E vidi gli erquinei che fanno lumi / la notte, tal che mi fu maraviglia, / tanto mi risplendean le vive piumi.
Dal passo desumiamo anzitutto, visto l’accostamento a uri e bisonti, che alce è qui plurale (evidentemente invariato rispetto al singolare); lo nota il LEI (s.v. alcēs ‘alce’, vol. I, col. 21), che lo indica anche come maschile. Invece il genere non si evince dal contesto e il TLIO, sulla base di quest’unica attestazione, indica alce come s.f. (probabilmente rifacendosi al latino, e forse anche alla terminazione plurale in -e visto che nell’etimologia si richiama il plurale alces). Per il LEI alce (la prima attestazione al singolare è quella in Pulci, del 1470 riportata nel GDLI) è rimasto maschile fino a tutt’oggi; rare le attestazioni lessicografiche al femminile (la prima citata è quella nel Nòvo dizionario universale della lingua italiana di Petrocchi del 1891).
Grazie alla BIZ, ritroviamo nella raccolta di viaggi di Giovan Battista Ramusio (Commentari su Moscovia e Russia, 1550) un’attestazione di alce (o, meglio, del plurale alci), che appare insieme agli stessi animali ricordati da Fazio degli Uberti, ma che qui è certamente maschile, visto l’articolo gli:
Le fiere nella Litwania, oltre quelle le quali eziandio si ritrovano nella Germania, sono queste, cioè i bisonti, gli uri, gli alci, li quali alcuni asini salvatichi chiamano, e cavalli salvatichi.
Lasciando da parte isolate attestazioni posteriori, possiamo dire che, dall’Ottocento in poi, se la lessicografia opta per il maschile (così la V edizione del Vocabolario della Crusca; la IV, la prima a registrare il vocabolo, non dà indicazioni esplicite, ma riporta il sinonimo popolare gran bestia, anche lemmatizzato univerbato, che potrebbe aiutare a spiegare il femminile), l’uso non evidenzia una netta preferenza per uno dei due generi. In una ricerca in Google libri si possono, infatti, rinvenire numerose attestazioni sia di le alci/delle alci che di gli alci/degli alci.
Vediamo alcuni esempi di attestazioni del genere femminile negli ultimi tre secoli:
Solino pure parla dei bisonti frequentissimi nel settentrione della Germania, degli uri, delle alci che egli paragona, forse in grandezza, ai muli, e ripete la favola narrata da Cesare e da Plinio, della mancanza delle giunture dell’alce Scandinava. (Giulio Ferrario, Il costume antico e moderno di tutti i popoli dell’Europa, Milano, Tipografia dell’Editore, vol. IV, 1824, p. 376)
La qual trasformazione del regno vegetabile influì grandemente sui mammiferi, che sovr’esso appoggiano l’esistenza, traendone il lor cibo gli elefanti, i mastodonti, gl’ippopotami, i rinoceronti, e quindi gli animali in qualche guisa riferibili ai generi moderni delle giraffe, dei cavalli, dei buoi, dei cervi, delle alci, degli antilopi, delle gazzelle. (Francesco Costantino Marmocchi, Prodromo della storia naturale generale e comparata d’Italia, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 1853, pp. 171-172; si noti invece l’articolo maschile prima di antilope, su cui torneremo alla fine del paragrafo)
Fu allora che i mammouth e i rinoceronti invasero a torme il mezzodì d’Europa, che a mandre a mandre invasero le renne le basse regioni dell’Inghilterra e della Francia, e le alci la gran valle del Po. (Antonio Stoppani, Corso di geologia, Milano, Tip. Bernardoni di C. Rebeschini, vol. II, 1903, p. 857)
Alcuni di questi animali si sono qui rifugiati per sfuggire all’opera di sterminio dell’uomo; le alci per esempio nei secoli scorsi vivevano a latitudini più basse. (Gaetano Ferro, I continenti extra europei: L’America e l’Oceania, vol. 1, Roma, Bozzi, 1969, p. 41)
Le alci fuggirono lontano e furono abbattute a fucilate, e fuggirono ancora più lontano e l’ultima fu uccisa da un cacciatore in un motel di Chicago dove aveva cercato di nascondersi dando le false generalità di Wilbelk Mitchum, dentista. (Stefano Benni, Terra!, Milano, Feltrinelli, 1992)
Alcuni moderni studi sul comportamento sociale delle alci irlandesi hanno rivelato che, come per molte altre specie, le strutture maschili considerate di solito come armi da battaglia o ornamenti per ammansire le femmine erano usate invece per i combattimenti ritualizzati fra maschi. (Telmo Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, Roma-Bari, Laterza, 2014)
Numerosi, ovviamente, sono anche gli esempi al maschile (che nelle traduzioni dal francese potrebbero dipendere dal genere della voce corrispondente, élan o wapiti, nell’originale):
Forse ancora questa escrescenza è una malattia comune tra gli alci, una specie di gozzo, [...] (Conte di Lacépède, Le opere di Buffon nuovamente ordinate ed arricchite della sua vita e di un ragguaglio dei progressi della storia naturale dal MDCCL in poi, Venezia, Apollo, vol. XV, 1820, p. 81)
Essi mi risposero che non lo conoscevano punto, e che sarebbero contenti assai di sapere se egli avesse il potere di dare degli alci e dei castori. (Mathieu Henrion, Storia universale delle missioni cattoliche. Dal secolo XIII sino ai tempi nostri, Torino, Pomba e Fontana, t. II, 1849, p. 72)
Gran Dio, che governi il sole, la luna, le stelle, e creasti gli alci, le lontre e i castori, deh! cessa il tuo sdegno contro di me, contentandoti delle sventure che mi colpirono! (Marcellino da Civezza, Storia universale delle missioni francescane, Firenze, Ariani, vol. VII, 1894, pp. 427-428)
Però man mano che emergeva il suolo, questo si mostrava fecondato dal limo e sovr’esso crescevano le selve difese dalla catena delle Alpi, nelle quali correvano gli alci, cervi dalle alte corna (cervus alces) e gli uri (bos primigenius) dalla mole gigantesca, e l’orso delle caverne (ursus speloeus) si moltiplicava in sicurezza. (Carlo Romussi, Milano ne’ suoi monumenti, Milano, Sonzogno, vol. I, 1912, p. 6)
E fece lui per gli alci. Fece due alci femmine e uno maschio. (Raffaele Pettazzoni, Miti e leggende: America settentrionale, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1953, p. 102)
Nel tratto successivo, il ghiaccio si assottiglia prima del tempo e diventa una trappola per gli alci, i cervi e soprattutto i cinghiali, che credono di riuscire a passare il fiume e finiscono annegati nell’acqua gelida. (Giorgio Roggero, Lungo il Don. Fiume di guerra, fiume di pace, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 144)
Come gli alci giganti, che vivono nella tundra del parco Denali, in Alaska. (Riccardo Ruggieri, America. Un romanzo gotico. Cartoline da un impero in crisi, Venezia, Marsilio, 2017)
Aggiungiamo degli esempi in cui, secondo un meccanismo di mozione indicato sopra, il sesso viene espresso attraverso formazioni analitiche:
[...] laddove le femmine dell’alce, del cervo, del daino, del capriuolo non ne hanno: [...] (Conte di Lacépède, Le opere di Buffon nuovamente ordinate ed arricchite della sua vita e di un ragguaglio dei progressi della storia naturale dal MDCCL in poi, Venezia, Apollo, vol. XV, 1820, p. 62)
Ma il conte Buffon riflette a ragione che gli alci femmine sono senza il tumore, e che per conseguenza esso non è un carattere essenziale della specie; io non so se trovisi nel canna femmina. (Georges-Louis Leclerc comte de Buffon, Storia naturale di Buffon: Quadrupedi, Livorno, Vignozzi, 1830, p. 272)
Secondo la dottrina ch’io seguo, le corna dell’alce maschio si sono lentamente aumentate per elezione sessuale, [...] (Charles Darwin, Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, traduzione di Giovanni Canestrini, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1876, p. 668)
[...] i maschi dell’alce hanno un peso medio di oltre 550 kg e il palco (cioè solo le corna) più di 20 kg. (Alberto Molinari, Tutti i racconti e altro, Lecce,Youcanprint, 2019)
La suddetta Storia naturale di Buffon, poco prima, aveva usato il maschile nel riportare la definizione di alce fornita da Linneo:
Linneo dà questo tumore per un carattere distintivo dell’alce, da lui definito: alces, cervus cornibus a caulibus palmatis, caruncula gutturali.
Questa esemplificazione permette alcune riflessioni. In prima istanza, è evidente come sia storicamente attestata la possibilità di impiegare entrambi i generi. Che l’alternanza (o meglio l’incertezza) tra maschile e femminile perduri tuttora lo si rileva in un testo in rete in cui troviamo, accanto a l’alce, forme maschili come un alce, gli alci, ma anche femminili come le alci e perfino le alci maschi, che fa da pendant al testo della traduzione di Buffon sopra riportato.
Nelle definizioni lessicografiche di alce si fa spesso riferimento al cervo o comunque alla famiglia dei Cervidi (cfr. Devoto-Oli 2022, l’Etimologico, GDLI, Tommaseo-Bellini, TLIO, Vocabolario Treccani online). Lo sviluppo del maschile, a partire da una forma femminile latina, potrebbe essere dovuto proprio alla correlazione di alce al sostantivo maschile cervo; d’altra parte, a tener vivo il genere femminile, potrebbe essere stato l’influsso di renna. Al riguardo, riprendendo l’esempio di gli antilopi sopra riportato, si può rilevare come l’opzione per il genere femminile del nome di questo animale, unanimemente indicato in tutti i dizionari, potrebbe spiegarsi, oltre che col modello del francese, anche con l’influsso di gazzella.
4. La documentazione su istrice
Veniamo ora a istrice. Come già sottolineato, siamo di fronte a una parola che deriva da un sostantivo latino femminile. Il TLIO riporta come prima attestazione in italiano quella nelle Questioni filosofiche (prima del 1298), dove però il genere grammaticale (maschile) si correla alla terminazione in -o:
ora com’ène bello odilo innella Storia de s(an)c(t)o Bartolomeo, quando el demostroe al populo k’era come gheçço grandissimo, la sua faccia più nera de fuligine (et) acuta, li occhi como [ferro] di fornace stillante faville de fuoco, de la bocca uscia flamma solphuria e le spinose come istrico avia.
La forma istrico, con la /k/ si può spiegare come retroformazione (D’Achille 2005) dal plurale istrici e conseguente metaplasmo di declinazione. Lo stesso metaplasmo spiega la forma femminile istricia, registrata come variante disusata nel GDLI, che la documenta con il seguente esempio:
Sei suoi cani scopersero in un campo questa istricia; e siccome ella, avendo gambe cortissime, non poteva salvarsi colla fuga, razzuffarono per morderla, ma ne pagarono la pena; poiché l’istricia, trovandosi da loro assediata, cominciò a soffiare fortemente, gonfiando come un otre, e così rizzando le spine urtava con esse nel muso de’ cani che gli erano più vicini e molesti, sicché gli venne in più volte a ferire e traforare come vagli, con tanta forza che alcune spine restarono fitte in essi musi. (Giovanni Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Firenze, Cambiagi, vol. VII, 1774, p. 164)
Tornando all’italiano antico, tra le altre attestazioni nelle quali viene esplicitato il genere, sempre maschile, ricordiamo almeno quelle in Boccaccio (quella dall’Ameto è citata come prima in diversi dizionari: il Vocabolario della Crusca, il Tommaseo-Bellini, il DELI):
Ma con le punte agute in sé battenti / videro a loro un istrice vicino, / che ruppe loro i lor ragionamenti... (Giovanni Boccaccio, Caccia di Diana, c. 1334)
e le sue guance, per crespezza ruvide, e la fronte rugosa e la barba grossa e prolissa, né più né meno pungente che le penne d’uno istrice, più certa me ne rendono assai. (Giovanni Boccaccio, Ameto, 1341-1342)
Altre attestazioni si possono rintracciare nel Morgante di Luigi Pulci (1478, cfr. BIZ) e, attraverso Google libri, in testi cinquecenteschi (Cosimo Bartoni, Ragionamenti Accademici, Venezia, Francesco de Franceschi Senese, 1567, p. 49), dei secoli a seguire e contemporanei:
Fra queste, fra gli amori, le estati, gli inverni, i fuochi accesi, le vipere, gli istrici, i visitatori, i muratori, gli studenti, i colleghi, i fantasmi, il tribunale, c’è stato il teatro (Ginevra Bompiani, La penultima illusione, Milano, Feltrinelli, 2022)
Rispetto ad alce, abbiamo ora a che fare con una parola a cui, anche dai dizionari presi in esame, viene attribuito più nettamente il genere maschile. L’assegnazione di tale genere, invece dell’originario femminile, documentata ab antiquo, può essere stata determinata dallo stesso processo mostrato per alce, ossia dalle affinità semantiche con un nome di genere grammaticale opposto che, in questa circostanza, potrebbe essere riccio. Ricordiamo, in aggiunta, che sia l’istrice sia (impropriamente, secondo molti) il riccio sono indicati anche col nome di porcospino, la cui prima attestazione in italiano risale al già ricordato Dittamondo di Fazio degli Uberti (circa 1345-1367; cfr. DELI, Devoto-Oli 2022, l’Etimologico, GDLI, GRADIT, TLIO).
Comunque, il genere femminile presenta storicamente delle attestazioni (e infatti, come si è detto all’inizio, alcuni dizionari lo indicano, come raro). Sempre da Google libri si possono recuperare vari esempi dall’Ottocento a oggi:
Nelle selve e ne’ buscioni s’incontrano frequenti i leoni, gli elefanti, i cinghiali, i bufali, gl’ippopotami, i leopardi, le zebre, gli sciacalli, i lupi, le istrici, e capriuoli, cabri e gazzelle, e stuoli innumerevoli di scimie di molte specie; [...] (Francesco Costantini Marmocchi, Corso di geografia commerciale, Milano, Brigola, vol. I, 1854, p. 365)
A sera l’istrice andò sotto il sicomoro e trovò tante scimmie quante possono essere le foglie di una acacia, e tante istrici quante possono essere le genti di un rèr. Insomma le scimmie erano molte e le istrici poche. (Giuseppe Scortecci, Durka, Milano, Labor, 1962, p. 211)
La vecchia storia secondo la quale le istrici lanciano gli aculei come frecce non è esatta. (Gerald Durrell, Storie del mio zoo, Milano, Adelphi, 2022)
Il mantenimento del genere femminile latino a istrice potrebbe essere stato favorito, sul piano grafico, dalla terminazione in -trice, omografa al femminile del suffisso maschile -tore.
Riportiamo, infine, come era stato fatto per alce, alcune attestazioni di forme perifrastiche (non sono stati trovati esempi di il maschio dell’istrice):
Imperoché trovando voi appresso scrittori degni di fede, che l’istrice femmina come, che per altro savia stimata sia, in questo particolare è giudicata tuttavia esser altrimenti […] (Scipione Bargagli, Dell’imprese, Venezia, Francesco de’ Franceschi Senese, 1594, p. 122)
Per levarsi la briga di allattare, la femmina dell’istrice spesse volte uccide il parto, e se lo mangia. (Antoine François Felix Rosselly di Lorgues, Anteriore all’uomo e del peccato originale, Milano, Nobile, 1842, p. 166; in francese la voce corrispondete è maschile; porc-épic à crête)
“Fra i presagi che annunciarono ad Abû Du’ ayb la morte del profeta vi fu un istrice maschio (sayham) con una vipera che si torceva attorno; esso la mordeva, finchè l’ebbe inghiottita tutta”. (Malek Chebel, Dizionario dei simboli islamici. Riti, mistica e civilizzazione, Roma, Edizioni Arkeios, 1997, p. 177; si noti che qui maschio si aggiunge a una forma evidentemente maschile)
5. Conclusioni
In definitiva, sia alce sia istrice presentano storicamente un genere oscillante. La lessicografia privilegia per entrambi il maschile, pur riconoscendo, in particolare per alce, la possibilità di impiegare il femminile, il cui uso non si può quindi considerare errato, nonostante il maschile sia quello da preferire.
Nota bibliografica: