Parole nuove

Forchiaio

  • Luisa di Valvasone
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2023.27907

Licenza CC BY-NC-ND

Copyright: © 2023 Accademia della Crusca


Forchiaio è una parola macedonia, cioè un termine formato dalla fusione di “parti” di due o più parole. In questo caso, le parti che compongono il termine sono la sillaba iniziale di forchetta e le sillabe finali di cucchiaio; la coincidenza tra la consonante della seconda sillaba di forchetta e la consonante della penultima sillaba di cucchiaio (nonché dell’acca, presente in entrambi i casi) ne ha probabilmente facilitato la fusione. L’esplicitazione della sua composizione suggerisce già molto dell’oggetto che il sostantivo maschile denomina: una posata multiuso che unisce forchetta e cucchiaio. In realtà, si possono trovare in commercio diversi tipi di forchiai, realizzati in forme e materiali diversi (legno, plastica, acciaio, ecc.). Il più noto è composto da una base concava, come quella di un normale cucchiaio, che presenta alle estremità piccoli rebbi da forchetta. Rientra nella categoria dei forchiai, però, anche la posata a doppia estremità, da un lato forchetta e dall’altro cucchiaio. In alcuni casi il forchiaio può includere, oltre alla forma curva del cucchiaio e ai rebbi della forchetta, anche una piccola lama laterale che funge da coltello, come la posata creata dallo chef stellato Davide Oldani, insieme a Schönuber-Franchi e KnIndustrie, e, però, denominata “Posata Passpartout”.

Attualmente la parola forchiaio ha in italiano una circolazione abbastanza limitata. Da una ricerca del 28/11/2022, tra le pagine in italiano di Google si rintracciano solo 1.690 risultati per il singolare e 234 per il plurale; su Google libri i risultati sono 234, di cui però solamente una decina sono pertinenti. Non stupisce, di conseguenza, l’assenza del sostantivo nei dizionari.

Come segnalato anche nel blog “Terminologia etc.” nel 2015, oltre al corrispettivo inglese spork, di cui parleremo più avanti, forchiaio ha un secondo concorrente italiano: la parola macedonia cucchietta (da cucchiaio + forchetta). La sua circolazione sembra, tuttavia, ancor più ridotta di quella di forchiaio. I 1.210 risultati tra le pagine in italiano di Google riguardano per la maggior parte il nome proprio di un ristorante fiorentino. Solo in pochissimi casi cucchietta viene proposto come possibile alternativa a forchiaio, come in questo post pubblicato dal profilo Facebook “Il Cucchiaio d’Argento” o nella seguente attestazione trovata in rete:

Nella sua terra Chef Scintilla ha finalmente trovato quello che gli mancava, la forchetta da Paella, metà forchetta e metà cucchiaio...l’arma definitiva, il forchiaio o la cucchietta (Da Valencia Scintilla alla ricerca del Sacro Graal della Paella, dal blog di “Bar Duca”, 3/7/2021)

La posata multiuso, tuttavia, sembra abbastanza conosciuta, almeno in rete e in determinati contesti; se ne trova traccia soprattutto in siti che vendono oggettistica per campeggio e blog che si occupano di escursionismo, ma anche in articoli che la consigliano come posata adatta ai primi pasti dei neonati, o ancora descritta come vero e proprio oggetto di design, noto nell’ambiente dell’alta cucina:

Io vi segnalo le posatine da svezzamento in bambù (8,45€), il forchiaio con cucchiaio in un verso e forchettina nell’altro (2,99€), e lo spazzolino in bamboo (4,19€). Adorabili! (Daniela De Pasquale, Pensierini di Natale per mamme e bambini a Cagliari, www.mammamarketing.it, 18/12/2019) 

Mangia con il “forchiaio”. Si usano come cucchiaio e forchetta queste mini posatine biodegradabili e compostabili in legno di bambù, uno dei più ecologici al mondo. (Gaia Giordani, Il picnic diventa green con gli accessori di design riciclabili e compostabili, “Cosmopolitan”, 01/4/2019)

Un pacchetto di forchiai; ne ottieni quattro al prezzo di tre. Forchiaio Spork: porta un pezzo di civiltà nei posti selvaggi, e un pezzo di deserto in civiltà. Un pezzo ibrido che contiene un cucchiaio, una forchetta e un coltello. (descrizione di un set di forchiai in vendita sul sito www.kikuba.it )

Le occorrenze di forchiaio risalenti ai primi anni Dieci del Duemila sono sporadiche, mentre si intensificano negli ultimi anni (purtroppo la ricerca su Google Trends non restituisce risultati, probabilmente a causa della scarsa diffusione). Un lieve incremento è probabilmente dovuto al successo del personaggio Forky (di fatto un forchiaio) presente nel film di animazione Toy Story 4, uscito nel giugno 2019, e successivamente protagonista di una serie animata rivolta ai più piccoli dal titolo I perché di Forky:

Forky, ultimo esponente del franchise di Toy Story, è il protagonista della serie I Perché di Forky e sembra incarnare proprio l’essenza del bambino curioso. Il piccolo forchiaio conosce ancora poco il mondo che lo circonda, ma la sua voglia di scoperta è enorme. (Annalisa Magnani, I perché di Forky recensione: la serie da Toy Story a Disney+, https://serial.everyeye.it,11/6/2020)

Le ricerche negli archivi presenti in rete dei quotidiani “la Repubblica”, “La Stampa” e “Corriere della Sera” dimostrano la scarsa diffusione del termine forchiaio (nessuna per cucchietta). Si rintracciano, infatti, solamente due occorrenze del 2008, ascrivibili allo stesso articolo pubblicato sul “Corriere” e in riferimento alla posata ideata dallo chef Oldani, che rappresentano anche la data di prima attestazione di forchiaio a cui siamo riusciti a risalire:

Per distendere il clima, Oldani ha disegnato nuovi utensili prodotti da Schönhuber-Franchi: un «forchiaio» adatto per ogni pietanza, da usare come forchetta, coltello e cucchiaio; […]. (Michela Proietti, La rivoluzione del forchiaio, “Corriere della Sera”, 22/5/2008)

È però del tutto plausibile che l’oggetto fosse noto da tempo in Italia, probabilmente anche grazie alla diffusione del corrispettivo inglese spork, sostantivo – anch’esso parola macedonia − formato da sp(oon) ‘cucchiaio’ + (f)ork ‘forchetta’. L’Oxford Dictionary lo registra come marchionimo [“A proprietary name for a piece of cutlery combining the features of a spoon, fork, (and sometimes, knife)”; trad. “nome commerciale di una posata che combina le caratteristica di un cucchiaio, una forchetta (e, talvolta, un coltello)”] ufficialmente brevettato nel 1970 nella Gazzetta ufficiale dello “U.S. Patent Office” (il brevetto di uno spork, sebbene non denominato tale, è documentato già nel 1874: si può vedere qui), ma segnala una prima occorrenza nel 1909, nel supplemento del Century Dictionary. L’anglismo circola anche nella lingua italiana; non vi sono attestazioni negli archivi dei principali quotidiani (tranne una del 2009, nella “Stampa”, in cui spork si riferisce al nome proprio del prodotto venduto da una nota marca che produce, appunto, forchiai), ma tra le pagine in italiano di Google si contano 24.300 risultati (i risultati di Google libri risultano inattendibili dato il frequente uso di spork in nomi e cognomi, reali o di fantasia), nei contesti già riscontrati per il corrispettivo italiano, di cui il primo rintracciabile in un libro del giornalista Carlo Bonini, pubblicato nel 2004:

In vaschette di stagnola da vuotare in venticinque minuti (il regolamento non concede di più) con lo spork (così lo chiamano), curioso arnese in plastica incrocio tra un cucchiaio (spoon) e una forchetta (fork), unico utensile ammesso perché inoffensivo su di sé e sugli altri. (Carlo Bonini, Guantanamo: USA, viaggio nella prigione del terrore, Einaudi, 2004, Torino, p. 38)

Non sono un grande appassionato dello spork, metà cucchiaio (spoon) e metà forchetta (fork): trovo che sia una forchetta troppo corta con un cucchiaio che lascia colare i liquidi. (Doug Dyment, I jeans? Scomodi e ingombranti, “Internazionale”, 27/11/2008)

Però, detto questo, lo spork è quel genere di oggetto che puoi tenere sempre nello zaino come nell’attrezzatura da campeggio anche in alternativa o assieme al coltellino svizzero multiuso, ma anche portare al lavoro insieme al lunch box, e che ti può risolvere molte situazioni con il vantaggio – non banale, anzi cruciale – di non usare più posate di plastica monouso (e con una spesa di una decina di euro l’investimento è presto ammortizzato). (Claudio Gervasoni, Perché comprare uno spork è una buona idea, www.sportoutdoor24.it, 3/8/2022)

Le occorrenze di spork potrebbero dunque suggerire che forchiaio non sia una formazione autonoma ma che si tratti piuttosto di un calco strutturale dell’inglese spork (come grattacielo, formatosi sull’inglese sky-scraper). Ma si noti anche che, a rigore, il calco strutturale di spork è cucchietta, più fedele al modello nell’ordine dei componenti (cucchiaio + forchetta) rispetto a forchiaio. In una discussione presente in un forum, risalente al 2014, gli utenti discutono sull’opportunità di usare forchiaio (o cucchietta) al posto di spork. Lo scambio di commenti parte da una domanda: “Lo spork, ovvero questo tipo di ‘forchetta/cucchiaio’ ha un nome in italiano?”. Oltre a “posata multi-uso” viene subito proposto il termine forchiaio, attestato nella stampa (il riferimento è all’articolo citato del “Corriere della Sera”), accolto positivamente, sebbene con qualche perplessità, e spontaneamente accostato a cucchietta (“In effetti ‘forchiaio’ è logico, ma è la prima volta in vita mia che lo sento. Se seguiamo la stessa logica allora anche ‘cucchietta’ avrebbe un senso!”); infine un utente dichiara che “nell’ambiente del design ‘forchiaio’ si dice (ma non chiedermi prove e riferimenti…! La mia è solo memoria sul campo!) più o meno dagli anni’80 […], mentre ‘cucchietta’ non ha mai attechito [sic]”. Al momento, non abbiamo trovato attestazioni che confermino tale datazione. Tuttavia, questa discussione, che pure rappresenta un caso isolato, suggerirebbe da una parte una circolazione dell’anglismo precedente ai corrispondenti italiani (che avvalorerebbe l’ipotesi del calco), dall’altra una possibile circolazione di forchiaio in italiano già a partire dagli anni Ottanta, almeno nel campo del design, di cui però non si rintracciano occorrenze.

Se l’origine della parola in italiano non può considerarsi certa, sull’“origine” della posata in sé ci affidiamo a questa ironica vignetta di Stephan Pastis pubblicata nella rivista “Linus” (anno LIII, n. 3, marzo 2017):