Consulenze linguistiche

Essere single non è un problema!

  • Claudio Giovanardi
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2022.21799

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Copyright: © 2021 Accademia della Crusca


Quesito:

In molti ci chiedono se in italiano esista una forma equivalente all’inglese single. Uno di loro domanda anche se sia ammissibile l’adattamento grafico singol, mentre un altro chiede se sia possibile usare il termine singletudine.

Essere single non è un problema!

I quesiti intorno all’inglese single e ai suoi corrispettivi italiani toccano aspetti diversi, ed è pertanto opportuno procedere con ordine. Innanzi tutto è bene sincerarsi che single, nell’accezione in cui lo si usa nella nostra lingua, non costituisca uno pseudoanglicismo; il dubbio è però fugato dall’OED, che al punto 5, lettera c della voce single recita: “An unmarried or unaccompanied man or woman; a person living alone. Frequently plural”. Da tale definizione dell’OED (non sarà peraltro inutile segnalare che la prima attestazione riportata del valore semantico che ci interessa risale al 1964) ricaviamo che in inglese single indica da un lato una persona (uomo o donna) non sposata, ma anche priva di un partner fisso; dall’altro una persona che vive da sola (come presumibile conseguenza della precedente condizione). Prima di passare alla lessicografia italiana, diamo un’occhiata al dizionario francese Larousse e a quello spagnolo Clave. Il Larousse (consultato in Rete) riporta l’anglicismo single (raccomandando di sostituirlo con simple), ma non contempla il significato che ci interessa; il Diccionario Clave (Hoepli 2012), viceversa, scrive: “1. Referido a una persona que no vive en pareja: un portal para gente single” (il secondo e ultimo significato registrato è quello di ‘disco singolo’).

Per quanto riguarda la lessicografia italiana, la voce single compare nel GRADIT di De Mauro come sostantivo maschile e femminile invariabile e con il seguente significato: “persona che vive da sola e senza un legame sentimentale stabile, spec. per scelta”; la data proposta come prima attestazione è il 1986, quindi circa vent’anni posteriore alla prima attestazione dell’OED. Lo Zingarelli 2021 anticipa di un anno (1985), ma la stessa data del GRADIT (1986) è indicata dal GDLI, che però registra la voce solo nel Supplemento del 2004: “s.m. e f. invar. Persona che vive da sola e senza un legame sentimentale stabile, anche per scelta. - Anche con valore aggett. o in posizione pred. e con valore avverb.”. Rispetto alla definizione del GRADIT, come si può notare, cambia solo l’avverbio che precede per scelta: anche invece di spec[ialmente]; inoltre il GDLI aggiunge l’uso del vocabolo anche in funzione aggettivale, predicativa e avverbiale. Chiudiamo la rassegna con il Vocabolario Treccani, che per single recita: “Uomo o donna non sposati, o che comunque vivono soli, senza un legame sentimentale, per lo più per libera scelta”. Dalle tre definizioni ricaviamo i seguenti elementi: 1) il sostantivo single in italiano è ambigenere (un single / una single); 2) può riferirsi a persona non sposata, ma indica piuttosto la condizione di chi è senza un legame sentimentale stabile e vive da solo; 3) implica, almeno nell’uso prevalente, la libera scelta della propria condizione di individuo non in coppia.

Tornando alla data di prima apparizione suggerita dal GRADIT e dal GDLI, le testimonianze di quest’ultimo sono tutte di àmbito giornalistico. Riporto la prima, tratta dal settimanale femminile “Grazia” del 15 giugno 1986: “Per ogni scapolo, bello o brutto che sia, ci sono ben sette donne ‘single’ (cioè sole) in caccia di preda e desiderose d’affetto”. L’esempio appena riportato evidenzia da un lato l’esordio di una parola “nuova” posta tra apici e accompagnata da una glossa esplicativa; dall’altro che, almeno in una fase iniziale, l’anglicismo non possedeva la connotazione positiva di una solitudine scelta se non addirittura rivendicata (gli altri esempi del GDLI, compresi fra il 1986 e il 1987, confermano l’assenza di un valore positivo della parola). Una considerazione che viene comunque di fare è che la presenza primigenia nel linguaggio giornalistico ha sicuramente contribuito al successo e alla diffusione della parola anche nella lingua comune.

Detto che il derivato singletudine può essere utilizzato solo nel registro colloquiale e scherzoso della lingua, passiamo ora ad analizzare i corrispondenti italiani di single al fine di valutare se ve ne sia uno (o più d’uno) in grado di aderire completamente alla sfera semantica dell’anglicismo. Per fare ciò è opportuno cominciare dai vocaboli riferiti al genere maschile e poi passare a quelli usati per il genere femminile. Al maschile l’italiano dispone di due vocaboli specifici, scapolo e celibe, oltre a una serie di altre possibilità per litote, come non sposato, non coniugato, non ammogliato, non accoppiato, non in coppia e simili. Scapolo è una voce che risale al latino medievale e che indicava originariamente (secolo XIII) i marinai che avevano finito il tempo dell’arruolamento. L’attuale significato “Che non ha vincoli coniugali, non ammogliato, celibe (un uomo)” (dal GDLI) si afferma nel corso del XVI secolo. Celibe è a sua volta una parola di origine dotta (dal lat. caelibem), la cui prima attestazione sarebbe, secondo il DELI, in Boccaccio; la definizione del GDLI ricalca quella di scapolo: “Che non ha contratto matrimonio; scapolo”. Se, dunque, il valore semantico è lo stesso, tra i due vocaboli vi è una differenza di registro: scapolo è proprio della lingua comune, mentre celibe è di livello elevato e formale, incrementato anche dal derivato nominale celibato, termine che nel codice ecclesiastico indica la condizione necessaria di ogni religioso. Andrà poi segnalato che in passato celibe poteva essere riferito anche a una donna (come del resto, seppur ancor più raramente, nubile poteva essere riferito a un uomo).

Per quanto riguarda i vocaboli riferiti al genere femminile, l’alternativa si pone tra nubile e zitella, oltre ovviamente (come per il maschile) alle definizioni per litote: non sposata, non coniugata, non maritata, non accoppiata, non in coppia ecc. Va però detto che la distanza diafasica tra nubile e zitella è nettamente superiore rispetto a quella tra celibe e scapolo: mentre queste due forme sono di fatto intercambiabili (pur considerando la maggiore o minore appropriatezza a seconda dei contesti), zitella non può sostituire nubile se non in un registro fortemente colloquiale e informale. La parola nubile è una voce di origine dotta, dal lat. nubilem, e si è diffusa nel corso del XIV secolo (DELI); questa la definizione del GDLI: “Che non ha mai contratto matrimonio (una donna) – Anche, che è in età da marito; pubere”. La voce zitella aveva originariamente il significato neutro di “Ragazza, giovane donna in età da marito, fanciulla; vergine” (GDLI); solo a partire dal XVII secolo assume il valore estensivo “spreg. o scherz., donna nubile non più giovane, cui, secondo un diffuso stereotipo, è attribuito un carattere acido e bisbetico” (GRADIT). Zitella è un derivato alterativo da zita ‘fanciulla’, a sua volta variante dialettale meridionale del toscano ci(t)ta, di etimo incerto. Nell’uso odierno zitella conosce solo l’accezione spregiativa appena ricordata, ancor più evidente negli alterati che ne derivano: zitellaccia, zitellina, zitellona; nell’aggettivo di relazione zitellesco; nel derivato nominale zitellaggine. La marcatezza disfemica fa dunque di zitella un vocabolo inservibile fuori del registro familiare e scherzoso; come pure confinato negli usi scherzosi è il maschile zitellone, per indicare uno scapolo di età avanzata, mentre scapolone conserva una connotazione positiva, come testimonia la definizione del GDLI: “Scapolo impenitente, anche di età avanzata”.

Veniamo, per concludere dopo questo necessario excursus lessicografico, ai quesiti che pongono il problema di come rendere single in italiano. Rinviando a quanto si è detto sopra, la semantica di single è articolata e abbraccia valori più ampi rispetto a tutti i corrispettivi italiani, che si riferiscono esclusivamente alla condizione di mancato coniugio, ma non implicano l’assenza di altri possibili tipi di relazione sentimentale stabile (fidanzamento, convivenza). A ciò si aggiunga, in favore dell’anglicismo, da un lato il vantaggio di poter usare una parola adatta a entrambi i generi; dall’altro la sua funzione di “eufemismo sociale”, anche come rispecchiamento delle mutate condizioni socioculturali in cui viviamo: se un tempo il non essere sposati costituiva una “menomazione” nella valutazione comune, oggi la singletudine (ci si passi l’uso giocoso) assume connotati se non positivi, certamente non stigmatizzati. L’eventuale resa con un semplice adattamento fonomorfologico (singolo / singola) comporterebbe un conflitto semantico con gli attuali valori del vocabolo italiano (si ricordi che in single è presente anche lo stato di chi vive da solo) e reintrodurrebbe il dualismo morfologico di genere. A sfavore di single giocherebbe la difficoltà di pronuncia: l’inglese /ˈsɪŋɡl/ non è facile da adattare, e non perché il gruppo consonantico -ngl- non sia possibile in italiano (lo dimostra lo stesso termine anglicismo), ma perché in inglese la /l/ costituisce il nucleo sillabico, che nella nostra lingua può essere occupato solo da una vocale; tuttavia, com’è d’uso nella pronuncia italiana di parole straniere, il problema si risolve con un adattamento fonetico, in questo caso introducendo una vocale piena d’appoggio (come in /'singol/ suggerita dal GRADIT), oppure una vocale evanescente (/ˈsingəl/); la retroazione della pronuncia sulla grafia ha anche diffuso, ma solo in grafie scherzose o trascurate, la forma singol. Sulla scorta di tutte le considerazioni svolte qui, possiamo dunque concludere che al momento single costituisce una risorsa lessicale difficilmente sostituibile con un semplice corrispondente italiano.

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