DOI 10.35948/2532-9006/2020.3151
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Perché "Il Foglio" vuole chiudere la Crusca
di Claudio Marazzini
Il 9 maggio 2019 Il Collegio degli Accademici della Crusca ha assegnato il premio “Benemerito della lingua italiana” alla professoressa Maria Agostina Cabiddu, l’avvocata che ha sostenuto i professori ricorrenti del Politecnico di Milano nella causa contro il Rettore Azzone e poi contro il Rettore ed il MIUR, colei che li ha aiutati a vincere il loro ricorso (un percorso durato dal 2012 al 2018). L’annuncio dell’assegnazione del premio è stato reso pubblico con un comunicato-stampa il 16 maggio (con un po’ di ritardo rispetto alla decisione del Collegio accademico), ma già il 23 maggio 2019 il giornale “Il Foglio”, in prima pagina, chiedeva a gran voce niente meno (si noti) che la chiusura definitiva dell’Accademia della Crusca, accademia colpevole di avere assegnato il premio a una professoressa, la quale, agli occhi del giornale citato, appare come una brigatista rossa, o un’assassina. La chiusura, dunque, provvedimento simile a quello adottato dal governo di Mussolini quando tolse alla Crusca il vocabolario! Notate poi le ragioni per le quali si dovrebbe procedere alla nostra chiusura: abbiamo premiato un’avvocata che ha vinto le sue cause a tutti i livelli di giudizio, dal TAR al Consiglio di Stato. Prendersela con l’avvocato degli avversari è già di per sé singolare, ma prendersela con chi ha dato un premio a un avvocato (un premio non in denaro, fra l’altro: si tratta di una semplice targa ricordo) lo è ancora di più. Quell’avvocato ha vinto: se aveva ragione (i tribunali gliel’hanno riconosciuta), premiamo la buona causa; se è stata bravissima, premiamo anche la sua abilità. Noi pensiamo che al tempo stesso abbia congiunto buone ragioni e abilità professionale, e che il premio sia tanto più meritato perché ha operato in un clima persecutorio, come dimostra vieppiù la grossolanità dell’attacco del vicedirettore del “Foglio”. A parte ciò, il fatto in sé, così come l’abbiamo raccontato, dovrebbe rendere tangibile il sentimento di odio a cui si è giunti sulla questione dell’inglese nell’Università. Dunque premiamo anche il suo coraggio. Si vede bene con quanto veleno questa materia viene trattata da certi giornali, e ciò dovrebbe far capire, soprattutto a chi ancora non l’ha inteso, che qui non stiamo giocherellando con quattro forestierismi più o meno gradevoli. C’è ben altro. Dietro alla questione dell’abolizione dell’italiano ci sono interessi economici ben consolidati, c’è un’idea (omologatrice e contraria al plurilinguismo) di università, società, nazione, Europa. C’è, soprattutto, e ben visibile, un atteggiamento intollerante e aggressivo, autoritario, che, com’è evidente nell’attacco rivolto dal “Foglio” alla Crusca, sembra esibire al tempo stesso disprezzo per le leggi e le sentenze dei tribunali, per le regole della convivenza civile e persino della verità storica, tanto è vero che il giornalista ci accusa di voler introdurre il dialetto nella didattica universitaria: se si desse retta alla Crusca, afferma costui, “oltre a vietare le lezioni in lingua inglese, prima o poi qualcuno imporrebbe il ritorno al milanes, tanto caro all’Ingegner Gadda”. La Crusca fiorentina che introduce il dialetto milanese nell’Università, dopo che la Crusca, nel 2016, ha polemizzato contro la legge regionale della Lombardia che ha dichiarato “lingua” il lombardo! Un’ultima precisazione: non ci si è mai mobilitati per “vietare” i corsi in inglese, come si legge nel “Foglio”, ma per evitare che il Politecnico di Milano vietasse totalmente i corsi in italiano nelle lauree magistrali e nei dottorati. C’è una bella differenza: questa è la causa vinta in sede giudiziaria dalla professoressa Cabiddu, e per questa vittoria ci congratuliamo con lei, augurandoci di avere con noi i giornalisti, anche quelli del “Foglio”, il giorno in cui si svolgerà la cerimonia di consegna della targa d’argento.
Aprite la mente, please
di Maria Luisa Villa
“Chiudete la Crusca please” è l’invito imperativo di un breve articolo comparso sul Foglio del 23 maggio. “Cosa succederebbe - si chiede l’articolista nel sottotitolo - se in Italia prendessero definitivamente il potere i passatisti culturali, quelli del sovranismo linguistico”.
A suo modo il testo batte molti record, poiché in tre semplici righe riesce a riproporre i principali luoghi comuni del pensiero cultural-politico corrente. Evidentemente informarsi bene e giudicare con la propria testa è troppo faticoso.
Se l’estensore dell’articoletto volesse accettare un invito a visitare la sede fiorentina dell’Accademia, potrebbe cominciare a stupirsi ancor prima di entrarvi perché nella piazza antistante si troverebbe di fronte a un cartello stradale dedicato non all’italiano, ma alle Lingue d’Europa: è un inno al plurilinguismo incardinato nella lingua locale. Le Piazze d’Europa sono state per secoli i luoghi dello scambio di merci come di idee, e giustamente il Presidente che volle questa denominazione dichiarava: “Occorre considerare le lingue dell’Unione non più come beni esclusivi delle singole nazioni, ma come patrimonio comune di tutti gli abitanti d’Europa, in modo simile agli altri beni primari da proteggere nell’interesse di tutti le fondamentali risorse naturali quali l’aria e l’acqua, da cui dipendono le condizioni dell’ambiente, e la sanità e la sicurezza”. Questo sarebbe il passatismo culturale e il sovranismo linguistico dell’Accademia della Crusca.
Inanellare parole ad un tempo brillanti e logore come quelle usate nell’articolo serve a catturare la benevolenza del lettore distratto ma rende un pessimo servizio a un seria informazione e getta molte ombre sull’autonomia della stampa.
Per difendere le decisioni del Politecnico di Milano non è bene distorcere i fatti, tanto più quando questi fatti fanno riferimento a una sentenza della Corte Costituzionale e a una decisione del Consiglio di Stato che non rifiutano l’uso dell’Inglese come lingua di insegnamento superiore, ma lo vogliono affiancato all’italiano, nei modi e nei tempi che ogni Ateneo deve individuare. Non sfiora l’articolista il dubbio che il Politecnico stia insistendo in un percorso assurdo che rifiuta di fatto il bilinguismo, invece di por mano a una transizione rapida e competente verso il suo prezioso uso. Non mancano in Europa esempi ai quali possiamo appellarci per regalare un adeguato bilinguismo agli studenti italiani e per accogliere fattivamente quelli stranieri permettendo loro di immergersi nella cultura del paese che li accoglie.
La corsa al monolinguismo anglofono nella didattica universitaria sta danneggiando ad un tempo la buona conoscenza sia dell’inglese che dell’italiano. La polemica dura ormai da quasi sei anni e viene spontaneo chiedersi quanti progressi nell’insegnamento plurilingue si sarebbero potuti ottenere se la pubblica opinione fosse stata coinvolta e sensibilizzata in modo corretto. Il plurilinguismo si può conquistare in tanti modi a partire dalla più tenera età, come avviene con la lingua madre, ma questo esige che le polemiche cessino e subentri una fattiva collaborazione con la società. È questa la collaborazione alla quale ha sempre fatto appello l’azione di Agostina Cabiddu, che ha ben meritato l’onore che l’Accademia della Crusca ha voluto renderle, non per passatismo ma per rispetto del futuro multilingue che attende noi tutti.