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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

C’è chi non si capacita della capacitazione

Kevin De Vecchis

PUBBLICATO IL 10 aprile 2024

Quesito:

Alcuni lettori ci hanno chiesto il significato della parola capacitazione e delucidazioni in merito alla sua legittimità come traducente del termine inglese capability.

C’è chi non si capacita della capacitazione

Nei principali dizionari della lingua italiana (ultima consultazione 28/9/23) il sostantivo femminile capacitazione ha il significato di “modificazione dello spermatozoo all’ingresso nella tuba uterina, per facilitare la fecondazione dell’ovulo” (Devoto-Oli online; GRADIT; GDLI nel Supplemento 2009, in cui occorre anche la definizione di “test che misura tale processo”; non è registrato invece nello Zingarelli 2024); in parole più semplici è il procedimento medico attraverso cui si rende uno spermatozoo “capace” di fecondare. Si tratta di un tecnicismo appartenente al linguaggio scientifico (il GRADIT lo riconduce alla biologia, il Devoto-Oli online alla medicina), attestato in italiano a partire dalla metà del XX secolo: il GDLI riporta un passo tratto da un articolo del 1995 del “Corriere della Sera”, ma è possibile retrodatare la voce almeno al 1957 con la seguente attestazione: “la capacitazione dei nemaspermi”, tratto da Telesforo Bonadonna (Nozioni di fisiopatologia della riproduzione e di fecondazione artificiale degli animali domestici, Milano, Raimondi, 1957, p. 412). Secondo i dizionari, capacitazione sarebbe un calco dell’inglese capacitation, appartenente all’ambito specialistico della fisiologia, con cui si indica “The process or change that a spermatozoon undergoes in the female reproductive tract rendering it capable of penetrating the zona pellucida of an ovum and so fertilizing it” (OED) [trad. ‘Il processo o il cambiamento che uno spermatozoo subisce nel tratto riproduttivo femminile e che lo rende capace di penetrare nella zona pellucida di un ovulo e quindi di fecondarlo’], parola attestata a partire dal 1951, a sua volta derivata da to capacitate che ha i significati di “to render capable” [‘rendere capace’], datato 1657, da capacity (prestito dal francese capacité), e “to cause (a spermatozoon) to undergo capacitation” [‘far sì che (uno spermatozoo) subisca la capacitazione’], attestato a partire dal 1957 (dunque qualche anno dopo rispetto al nome che ne sarebbe derivato).

Ebbene, anche in italiano è attestato il verbo capacitare col significato di ‘sottoporre lo spermatozoo alla capacitazione’, seppur non registrato dalla lessicografia (s.v. capacitare si ha il solo significato di ‘persuadere, convincere’, Devoto-Oli online, prima attestazione: 1690). Il termine è utilizzato in ambito specialistico medico almeno a partire dagli anni Sessanta del Novecento (l’espressione “spermatozoi da capacitare” compare in un articolo apparso sulla rivista “La clinica ostetrica e ginecologica”, 71 (1969), p. 144), non molto più tardi della prima attestazione di capacitazione. Dato ciò, è possibile che capacitazione derivi da capacitare usato in questa accezione piuttosto che da capacitation e che quindi capacitare non sia una retroformazione (sia pure soltanto sul piano semantico) da capacitazione (la stessa cosa potrebbe dirsi per il nome rispetto al verbo in inglese, in cui le prime attestazioni sono ancora più ravvicinate). Secondo questa ipotetica trafila, sarebbe allora capacitare il prestito (omonimico) dall’inglese to capacitate, e non capacitazione il calco da capacitation. Anche se in ambito medico, soprattutto a partire dal Novecento, la terminologia deriva spesso dall’inglese, in questo caso, risalendo indietro nel tempo e documentando l’esistenza della coppia capacitare e capacitazione già in passato, possiamo supporre che dall’inglese sia arrivato il solo significato settoriale e non il significante.

Il sostantivo capacitazione è circolato in italiano (e circola tutt’oggi) anche con altri significati, al di fuori dell’ambito lessicografico. Le prime attestazioni di capacitazione (tratte da Google libri) risalgono, infatti, a fine Settecento e hanno il significato di ‘convinzione’ [1], ‘persuasione’ [2]. Il termine, appartenendo alla famiglia di parole che fa capo al lat. căpere ‘prendere, comprendere, capire’, da cui capāce(m) ‘capace’ (cfr. RIF), deriva da capacitare (il suffisso -zione indica l’azione, l’effetto o il risultato espresso dal verbo), a sua volta derivato da capacità, formato da capace + suff. -ità o tratto dal lat. capacitāte(m).

[1] Così fa bene il Sig. Florindo che li titoli di sprezzo non tolgono la virtù del vero. D’Alcimenio so io pur l’istoria, che fu ben barbara; ma crede egli che abbino quelli in ciò acquistato onore? No: che la scienza dee star nel capo, e non altronde. Col scientifico doveano quelli garantir se stessi, e non con modi rustici. L’Anonimo è un uomo, e a un uomo rispondesi a sua capacitazione col dottrinevole. Nulla importa a noi di fanatici il titolo che li titoli non tolgono né la scienza né l’ignoranza all’uomo. (Antonio Foppoli, Risposta all’anonimo autore dell’opuscolo che ha per titolo Cosa è il papa?, Como, Francesco Scotti, 1782, pp. 20-21)

[2] Lam[bert]. Ma io che devo dirle? Tu vuoi bene a D. Luigi?
Ama[lia]. Come a fratel cugino, ma non come ad amante.
Lam. Adesso mi pare, che non ci sia altro bisogno di capacitazione. (Francescantonio Avelloni, Il matrimonio per equivoco, Venezia, s.n., 1792, p. 42; 1a ed. Napoli, Perger, 1789)

Nell’Ottocento capacitazione continua a circolare in testi di varia natura e diviene oggetto di riflessioni metalinguistiche da parte di diversi studiosi, i quali notano che il termine, pur esistendo e pur essendo ben formato, non è registrato nei dizionari, in particolare nel Vocabolario degli Accademici della Crusca.

[3] Affine ai verbi di Persuadere e di Convincere può apparir quello di Capacitare (Fare o Render capace) […]. Da Capacitare potrebbesi, in via di analogia, trarre il nome di Capacitazione, di cui manca il Vocabolario della Crusca. (Giovanni Romani, Dizionario generale de’ sinonimi italiani, Milano, Giovanni Silvestri, 1826, vol. III, pp. 95-96)

[4] Persuasione, Capacitazione, Convincimento, Riprova. (Giuseppe Matraja, Genigrafia italiana. Nuovo metodo di scrivere quest’idioma affinché riesca identicamente leggibile in tutti gli altri del mondo, Lucca, Tipografia Genigrafica, 1831, p. 136)

[5] Capacitazione sf. Il capacitare. Non lo abbiamo: ma chi lo usasse starebbe entro i limiti di una modesta e ragionevole analogia, e farebbe come coloro che da Convincere hanno tratto convinzione. (Lorenzo Molossi, Nuovo elenco di voci e maniere di dire biasimate e di altre che sembrano di buona ragione e mancano ne’ vocabolari italiani, Parma, Filippo Carmignani, 1839-1841, p. 87)

[6] L’essere una voce usata in composizione, non è documento sufficiente a registrarla nel Vocabolario anche nella sua forma semplice; essendo noto a tutti che certe derivazioni cadono bene, e son comuni, in congiungimento con altri elementi, e da se [sic] sole no. Ammesso il principio professato dal Critico, volendo esser logici, bisognerebbe porre nel Vocabolario le inusitate parole Abilitativo, Aspettabilmente, Aspettatamente, Aspettatezza, Capacitazione, perché anche queste sono inchiuse nel loro contrario Inabilitativo, Inaspettabilmente ec, e perché hanno, come tutte le antecedenti, derivazione legittima e naturale. (Giovanni Tortoli, Il vocabolario della Crusca e un suo critico, Firenze, Sansoni, 1876, p. 141)

Quest’ultimo esempio è particolarmente significativo. Giovanni Tortoli, infatti, segnalando la registrazione di incapacitazione “sost. femm. Il non capacitarsi, Il non farsi capace di checchessia” all’interno della quinta edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1863-1923), accompagnata da un esempio tratto dai Discorsi di anatomia di Lorenzo Bellini (Firenze, Stamperia di Francesco Moücke, 1744, p. 70), denuncia la mancanza all’interno dello stesso vocabolario del termine capacitazione. Dal punto di vista morfologico, infatti, incapacitazione deriva dalla voce capacitazione, a cui è stato aggiunto il prefisso negativo in- (es. abilitazione > inabilitazione; effettuazione > ineffettuazione). Si potrebbe anche ipotizzare che la forma capacitazione sia una retroformazione da incapacitazione, ma sarebbe insolito perché ciò vale soprattutto per gli aggettivi in -bile (cfr. Paolo D’Achille, Ci può essere qualcosa di inarrivabile, in “Italiano digitale” XIV (2020/3), pp. 54-55; Davide Ricca in Grossmann-Rainer 2004, pp. 422-429). Lo stesso rilievo potrebbe muoversi al GDLI, che lemmatizza incapacitazione ‘incomprensione’, ma non capacitazione, scrivendo (diremo noi oggi erroneamente) nella parte dedicata all’etimologia di incapacitazione che si tratta di un composto “da in- con valore negativo e da un non documentato [sulla base delle sue fonti, n.d.r.] *capacitazione, der. da capacità”.

Nella prima metà del Novecento capacitazione, ancora fuori dai circuiti della lessicografia, appare in diversi àmbiti, come quello della filosofia [7] e della critica letteraria [8], prima di approdare anche alla biologia, per probabile influsso dell’inglese e con altro significato, come abbiamo visto all’inizio di questa risposta:

[7] Da ciò la trascendenza vien posta come un principio di capacitazione che, tale essendo perché è trascendente, cesserebbe di valer come tale se lo si concepisse immanente. (Fausto Bongioanni, Esistenza e trascendenza, in Atti del Congresso internazionale di filosofia promosso dall’Istituto di studi filosofici (Roma, 15-20 novembre 1946), a cura di Enrico Castelli, Milano, Castellani, vol. II [L’esistenzialismo], 1948, pp. 101-112, a p. 110)

[8] “Sento ch’al tutto Consolarmi non so del mio destino”: questa facoltà di capacitazione, quest’ultimo barlume prima di cedere […]. (Piero Bigongiari, L’elaborazione della lirica leopardiana, Firenze, Marzocco, 1948, p. 10)

Verso la fine del Novecento il termine capacitazione viene usato anche come traducente del termine inglese capability, citato da alcuni nostri lettori, che appare nella locuzione capability approach, letteralmente ‘approccio tramite capacità’, apparsa intorno agli anni Ottanta nei lavori dell’economista e filosofo indiano Amartya Sen. Secondo il Lessico del XXI Secolo della Treccani (2012) con capability approach si intende la ‘libertà sostanziale di cui un soggetto gode all’interno del sistema’ e le capabilities sarebbero le capacità o le abilità che un soggetto ha sia in base alle sue qualità naturali sia in base alle opportunità e ai mezzi offerti dalla società. Amartya Sen e molti altri dopo di lui, in particolare la filosofa statunitense Martha Nussbaum, hanno approfondito in diverse pubblicazioni e studi successivi la nozione legata a questo termine, declinandola non solo all’interno dell’ambito della politica sociale e dell’economia, ma anche in quello filosofico e pedagogico (rimandiamo per un approfondimento a Beatrice Collina, Dalle risorse e alle opportunità. L’uguaglianza secondo il capability approach, aulalettere.scuola.zanichelli.it, 19/4/2022). Le prime attestazioni in italiano, riconducibili con sicurezza al concetto qui descritto, compaiono verso la fine del Novecento:

[9] l’idea regolativa di un’eguaglianza (così la intendo, con una formula forse un po’ forzata) nella capacitazione a funzionare come esseri umani. Ma non so se Amartya Sen sia d’accordo a definirsi di sinistra, o se non gli sembri più ovvio definirsi “liberale”. (“Iride: filosofia e discussione pubblica”, X [1997], p. 485)

[10] Io sono troppo scettico in materia di vita ultraterrena perché la terrena frustrazione di Maitreyī mi porti alle stesse conclusioni, ma c’è un altro aspetto di questo dialogo che ha un interesse abbastanza immediato per la scienza economica e per chi vuole capire la natura dello sviluppo: quello della relazione fra ricchezza e successo, fra merci e capacitazioni,* fra la nostra prosperità economica e il nostro poter vivere come desideriamo.
*Traduco così capabilities per distinguerlo da abilities (capacità) ma anche e soprattutto perché in questo lavoro il termine capability indica una capacità che la società dà (o nega) all’individuo. [NdT] (Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia. Traduzione di Gianni Rigamonti, Milano, Mondadori, 2001, p. 19)

Dagli anni Duemila il sostantivo capacitazione, grazie all’uso come traducente italiano del termine inglese capability, ha avuto una diffusione crescente. Ciò è visibile non soltanto sulle pagine in italiano di Google, che offrono 91.200 risultati al singolare e 5.640 risultati al plurale (ricerca eseguita in data 28/9/23), ma anche dal grafico ottenuto da Ngram Viewer, il motore di ricerca di Google che mostra la percentuale di diffusione di una parola nei libri scritti in un certo periodo, e da alcune attestazioni reperibili dalla stampa [12; 13] e da Google libri [14]:


[11] Queste attività fanno dei Csv dei veri e propri soggetti di capacitazione del volontariato in grado di aiutare le associazioni e i singoli volontari. (Elisabetta Cibinel, Gli «hub» locali dove si progettano e sperimentano le politiche sociali, “Corriere della Sera”, 29/1/2019, p. 20)

[12] È necessario intervenire sul sistema di welfare: abbandonare la logica dell’assistenza per abbracciare quella della capacitazione generativa. (Redazione politica, “L’Italia in surplace: ha grandi potenzialità ma è ferma”. Il Rapporto sugli obiettivi del Paese, repubblica.it, 12/1/2023)

[13] […] esigui livelli di partecipazione e capacitazione […] ostacolano la condivisione di politiche ‘positive’ di natura promozionale. La prospettiva delle capabilities proposta da Amartya Sen restituisce la complessità dei functionings e dischiude nuovi obiettivi per lo Stato sociale, a partire dall’assioma che l’autonomia pubblica concorre al benessere individuale. (Luca Corchia, Dall’espansione alla crisi del Welfare State. Una ricostruzione dei fattori critici nel modello italiano, in Sulla razionalità occidentale. Processi, problemi, dialettiche, a cura di Mario Aldo Toscano e Antonella Cirillo, Milano, Franco Angeli, 2013, pp. 319-332, a p. 330; si noti la co-occorenza dell’anglismo non adattato, in corsivo e con la -es del plurale)

Una riflessione ulteriore merita, però, la scelta di capacitazione come traducente di capability, che è un deaggettivale da capable ‘capace’, entrato in inglese dal francese capable, a sua volta dal latino tardo capābile(m). Una traduzione alternativa, dunque, era disponibile, e si sarebbe così recuperato un cultismo attestato in italiano nel Cinque-Seicento, capabilità, derivato da capabile, anch’esso riconducibile a capābile(m), ma questo sostantivo femminile in italiano è rimasto del tutto marginale: secondo il LEI (X, 1576, 46), infatti, la parola latina “esiste come cultismo soprattutto in area galloromanza”. Tuttavia, si possono rintracciare oggi, forse per la mediazione del francese, anche sporadiche occorrenze di capabilità come traducente di capability (634 risultati sulle pagine in italiano di Google) sul web e su Google libri [14]:

[14] […] la libertà positiva rappresenta tutto ciò che una persona è capace o incapace di compiere, aggiungendo così alla precedente idea di libertà “la capacità, di cui una persona può disporre, di condurre la vita che sceglie”, che, di conseguenza, da capacità diventa capabilità (Raul Buffo, Pensare dal riconoscimento. Paul Ricoeur e il sapere come evento intersoggettivo, Roma, Inschibboleth, 2023, p. 241).

La scelta di introdurre capacitazione viene, in un caso, esplicitamente motivata, almeno sul piano semantico:

[15] Il termine «capacitazione» è un neologismo che è impiegato raramente nella letteratura scientifica in lingua italiana, dato che si preferisce mantenere il termine inglese, dando luogo a non poche ambiguità: capability, infatti, si presta ad essere tradotto con capacità, che nell’ambito delle scienze sociali e giuridiche esprime un’attitudine propria del soggetto a fare qualcosa, definizione non adeguata a cogliere il significato del concetto e la sua potenzialità euristica. L’introduzione del neologismo capacitazione (Rigamonti in Sen 2000, p. 19) è giustificato dal fatto che, nel contesto del discorso elaborato da Sen, capability non denota una capacità che si riferisce esclusivamente al soggetto e alle sue abilità, poiché della connotazione entrano a far parte le opportunità e i mezzi che la società dà o nega all’individuo. (Laura Leonardi, Capacitazioni, lavoro e welfare. La ricerca di nuovi equilibri tra stato e mercato: ripartire dall’Europa?, in “Stato e mercato”, 85 [2009], pp. 31-61, alle pp. 31-32)

Da ultimo, vale la pena segnalare l’esistenza di un’altra (omonima) voce capacitazione, utilizzata all’interno del progetto Cantieri della Salute (qui il sito), ideato dalla Regione Toscana e coordinato da Federsanità Anci Toscana, con il significato di ‘capacità di fare azione’: l’obiettivo del progetto è di rafforzare le capacità del gruppo attraverso l’azione. Un uso di capacitazione in tal senso è stato fatto, ad esempio, per realizzare un servizio di mediazione per consentire a tutte le persone neurodivergenti di fruire appieno dei servizi sociosanitari nel territorio dell’area grossetana (si veda la nostra risposta All’interno della neurodiversità, in “Italiano digitale” XXIII [2022/4], pp. 158-165). In questo caso il termine capacitazione è una parola macedonia formata dalle parole capacità e azione, creata appositamente, evidentemente ignorando il termine omofono di ambito medico, per rendere il concetto inglese espresso dalla locuzione capacity building ‘costruzione delle capacità’, usata “per indicare un processo continuo di miglioramento degli individui in un ambito economico, istituzionale, manageriale” (Lessico del XXI Secolo – Treccani 2012).

In conclusione, possiamo sintetizzare così il quadro emerso: dal verbo capacitare ‘rendere capace’; ‘convincere, persuadere’ si è formato il sostantivo femminile capacitazione1 ‘il capacitarsi’; ‘convinzione, persuasione’, attestato a partire dalla fine del Settecento, ma rimasto escluso dalla lessicografia. Intorno alla metà del Novecento, per influsso dell’inglese, capacitare e capacitazione1 si caricano del nuovo significato medico legato alla modificazione dello spermatozoo. Negli ultimi anni del Novecento, il termine subisce un nuovo rilancio in quanto impiegato come traduzione di capability, concorrente (vincente) di capabilità (sostantivo peraltro già attestato nel Cinque-Seicento). Assume, così, un nuovo significato: ‘capacità o abilità posseduta da un soggetto in base alle sue qualità naturali e in base alle opportunità e ai mezzi offerti dalla società’. Da considerare un’entrata a sé capacitazione2 ‘capacità di agire’, parola macedonia formata dalle parole capacità e azione, usato nel contesto specifico del progetto Cantieri della Salute della Regione Toscana.

Le domande dei lettori ci hanno portato a ricostruire un quadro complesso, che ha sollevato riflessioni interessanti e posto interrogativi a cui non è facile dare una risposta. Non è chiaro, ad esempio, il motivo per cui sia rimasto escluso dalla lessicografia il termine capacitazione1, attestato già dalla fine del Settecento a fianco dell’antonimo grammaticale incapacitazione, registrato nella quinta edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca e nel GDLI, che dichiara capacitazione “non documentato”. Dobbiamo mettere in conto la difficoltà di reperire attestazioni di parole rare, assenti dai testi considerati (prevalentemente letterari e comunque non sempre sottoposti a spogli completi) oggi invece reperibili grazie alle nuove tecnologie. Un altro interrogativo è il motivo per cui l’inglese capability sia stato tradotto con capacitazione. Possiamo supporre che capacità sia stato ritenuto troppo generico e capabilità scorretto o desueto.

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