DOI 10.35948/2532-9006/2020.5437
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Le voci vegafobia e vegefobia denotano una più o meno forte 'avversione nei confronti di vegetariani e/o vegani, che si manifesta mediante atti o atteggiamenti di stigmatizzazione, ridicolizzazione o svalutazione, specialmente in relazione alle ideologie antispeciste' (per "antispecismo" si intende, secondo la definizione del Devoto-Oli 2021, quel 'movimento che non riconosce la superiorità della specie umana sulle altre specie animali e, più in generale, rifiuta la discriminazione degli esseri viventi in base alla specie; contrapposto allo specismo').
Si tratta di neologismi di matrice straniera, nella fattispecie di prestiti che hanno fatto il loro ingresso nella lingua italiana in momenti diversi e che, rimasti confinati prevalentemente nella sfera d'uso di vegetariani e vegani, nonché in ambiti specialistici (sociologia, filosofia), soltanto in anni recenti hanno conosciuto una diffusione più ampia e trasversale, confermata peraltro dal Treccani online che inserisce vegafobia tra i Neologismi 2020.
Né vegefobia né vegafobia – di cui esistono molte varianti (vegaphobia, veganofobia, veganfobia, vegetofobia) – risultano registrate nei principali dizionari dell'uso.
Le due forme più diffuse, vegafobia e vegefobia, considerate in diacronia, mostrano percorsi etimologici paralleli, in quanto risalgono a neoformazioni straniere diverse, create indipendentemente l'una dall'altra: vegefobia è un prestito del francese végéphobie, che risale ai primi anni Duemila, mentre vegafobia è da ricondurre al termine inglese vegaphobia, apparso nel 2011. Secondo una prospettiva sincronica, invece, entrambi i prestiti, adattati al sistema fonomorfologico italiano, possono essere interpretati come composti neoclassici formati dal confisso -fobia (molto produttivo in italiano: anglofobia, tecnofobia, xenofobia ecc.), che sta per 'ripugnanza, avversione', e dai confissi moderni vege-/vega-, rispettivamente forme abbreviate di végétarien/vegetarian/vegetariano e végane/vegan/vegano, quindi letteralmente 'avversione per i vegetariani' e 'avversione per i vegani' (su vegetariano, vegano, veg, veggie e altre parole della stessa famiglia lessicale si veda l'articolo su "Italiano digitale. La rivista della Crusca in Rete", IX, 2019/2).
Diffusione
Dalle ricerche condotte nel grande spazio del web è emerso che, in Italia, la seconda forma per diffusione (ma cronologicamente anteriore rispetto a vegafobia) è vegefobia, che conta 1.180 risultati su Google (solo pagine in italiano) e 254 su Google Libri (diffusione al 14/10/2020); come già detto, il forestierismo trae la sua origine dal francese végéphobie, che è apparso per la prima volta nel 2001 sul manifesto del primo Veggie Pride francese, manifestazione antispecista di vegetariani e vegani. In italiano si registrano attestazioni di vegefobia a partire dal 2003:
Veggie pride 2003. 5 maggio 2003. Siete vegetariani o vegani per gli animali? VENITE AL VEGGIE PRIDE! (www.veggiepride.org). Appuntamento a Parigi, il 17 maggio 2003. Con questa manifestazione vogliamo: [...] Denunciare la vegefobia. Il vegetarismo viene negato, ridicolizzato, diffamato. Si comincia con la derisione. Preoccuparsi delle galline e delle mucche è, a quanto pare, ridicolo. Ridicolizzando, si possono reprimere le idee che disturbano senza avere argomenti per farlo. (da www.veganitalia.com, categoria "Animali", 5/5/2003)
Per vegafobia, invece, di uso più frequente ma di quasi un decennio posteriore rispetto a vegefobia, si rilevano 5.950 risultati su Google (solo pagine in italiano) e 265 risultati su Google Libri (diffusione al 14/10/2020); vegafobia deve la sua fortuna a un articolo inglese uscito sulla rivista "The British Journal of Sociology" nel 2011, in cui i due sociologi britannici Matthew Cole e Karen Morgan introducono e analizzano il concetto di "vegaphobia", dichiarando in nota che il termine è stato proposto dalla dottoressa Erika Cudworth (cfr. Cole M., Morgan K., Vegaphobia: derogatory discourses of veganism and the reproduction of speciesism in UK national newspapers, in "British Journal of Sociology", 62 (1), 2011). In italiano, la prima attestazione di vegafobia compare in un articolo del 2012:
La ricerca evidenzia altresì che il continuo aumento di vegetariani in Europa e negli USA desta preoccupazione alle industrie della carne, e da qui ne deriva questo tentativo di emarginare il 'problema', ridicolizzando il movimento (si parla di vera e propria vegafobia). (Andrea Romeo, Mangiar carne, un'abitudine indotta, ilcambiamento.it, 27/7/2012)
In base al significato etimologico, vegafobia e vegefobia dovrebbero denotare referenti diversi, in quanto vega- dovrebbe riferirsi solo ai 'vegani', mentre vege- soltanto ai 'vegetariani', ma nell'uso questa distinzione è tutt'altro che rispettata. A differenza di veganofobia e veganfobia, che indicano esclusivamente 'ostilità verso i vegani e il veganismo', la variante vegafobia prevede, infatti, un uso più esteso (sia in inglese sia in italiano): è usata ora come 'disprezzo per i vegani' (accezione più comune), ora come 'disprezzo per i vegetariani', ora come 'disprezzo per vegetariani e vegani'. Anche vegefobia viene impiegata col medesimo grado di promiscuità (quindi non col solo significato di 'ostilità verso i vegetariani'), e ciò è in parte attribuibile alla duplice accezione di vegetariano, che può essere usato sia in senso più ampio per indicare 'chi non mangia carne' – quindi come iperonimo di vegano – sia in senso più ristretto per designare 'chi esclude la carne, ma ammette prodotti di derivazione animale (latte, latticini, uova, miele)'. Se si considera, per giunta, che vegefobia e vegafobia sono molto simili anche sul piano del significante, si comprenderà perché non è insolito trovare casi in cui le due forme vengano trattate come varianti equipollenti perfettamente intercambiabili:
Vegefobia. Siamo venuti qui per il cenone di Capodanno, io sono vegetariana ed ho richiesto un menù speciale. Il cibo non mi interessa particolarmente [...] ma quello che mi hanno servito qui secondo me rasenta il razzismo verso i vegetariani... [...]. (Recensione su Tripadvisor, 31/12/2017)
È stato persino coniato un termine: la vegefobia, ovvero la diffidenza (o addirittura l'aggressività) nei confronti delle persone vegetariane e vegane. Può sembrare eccessivo, ma è un dato di fatto che nei confronti di chi sceglie di rinunciare alla carne – e, nel caso dei vegani, anche tutto ciò che sia di origine animale – ci sia spesso una vera e propria ostilità; [...]. (Giovanni Mauriello, Diventare vegetariani: una sfida da non temerei, Digi.to.it, 1/2/2019)
Con «vegefobia» si intendono fenomeni di rappresentazione demistificata ma anche discriminatoria degli individui vegani, al pari di omofobia e transfobia (Cole e Morgan, 2011). (Niccolò Bertuzzi, Una protesta senza movimento? L'animalismo in Italia e la centralità dell'advocacy individuale, in "Sociologia e Ricerca Sociale", 119/2019, p. 58, nota 4)
Cos'è la vegefobia, la fobia del vegano. Questo termine, anche detto vegafobia, fu coniato in Francia nel 2001 nel corso del Veggie Pride, e sta a indicare ogni tipo di ridicolizzazione, discriminazione, esclusione e violenza nei confronti dei vegani. (Ivana De Innocentis, Perché i vegani sono così odiati? Studi e sondaggi su questo fenomeno globale, lacucinaitaliana.it, sez. News-In primo piano, 7/2/2020)
Vegafobia è l'atteggiamento disapprovante che una parte della popolazione soprattutto dei carnivorani assume nei confronti del vegetarismo e dei non mangiatori di carne [...]. Carnofobia e vegafobia sono atteggiamenti che si assommano ad altri comportamenti d’intolleranza (omofobia, xenofobia ecc.) [...]. Complessi sono quindi i comportamenti sociali tra carnivorani e vegetariani e in queste relazioni s’inseriscono le due fobie della veganofobia e della carnofobia [...]. (Giovanni Ballarini, Vegafobia, carnofobia e consumi alimentari, Georgofili.info, 16/9/2020)
Tradizionalmente vegetariani e vegani adducono la propria scelta a motivi animalisti (fondati sulla difesa dei diritti delle altre specie animali), ma a questi, soprattutto in anni recenti, si sono affiancati anche motivi salutistici, ecologisti o di gusto, che hanno contribuito a rendere il vegetarianismo e il veganismo largamente popolari e, non di rado, a far spostare l'attenzione maggiormente sull'aspetto dietetico, a scapito di quello etico. Se è vero, infatti, che nel corso degli anni si è andati verso una netta apertura nei confronti di vegetariani e vegani (si pensi alla popolarità sui mass media o alla conquista di prodotti veg nell'industria alimentare, tessile e cosmetica), è altrettanto vero che a una simile crescita in termini di notorietà non sempre si sono accompagnati – e si accompagnano – pareri favorevoli da parte dei consumatori onnivori. Da un sondaggio condotto da Eurispes, ad esempio, è emerso che "gli italiani sono praticamente divisi a metà fra coloro i quali attribuiscono al veganesimo un'accezione positiva (50,6% in tutto) e quanti ne rilevano soprattutto gli aspetti negativi (49,4%)" (Rapporto Italia 2018, p. 291, eurispes.eu). Non dissimili i giudizi rilevati nella stampa italiana: secondo una ricerca del sociologo Nicola Righetti, il quale ha analizzato gli articoli di dodici quotidiani nazionali pubblicati tra il 2005 e il 2015, è risultato che il tema del veganismo, a differenza di quanto emerso dalla stampa inglese e da quella australiana, è trattato piuttosto positivamente sui giornali italiani; tuttavia, le percentuali non mostrano un'inclinazione pienamente favorevole, giacché gli articoli classificati come positivi ricoprono il 38,3%, i negativi il 37,3% e i neutri il 24,4% (cfr. Nicola Righetti, L'inchiostro digitale è vegano? La rappresentazione del veganismo sulla stampa, in "Cambio. Rivista sulle trasformazioni sociali", Anno VI, Numero 11/Giugno 2016).
Accanto a posizioni positive o neutre, dunque, non mancano reazioni antagoniste – talvolta moderate, talvolta estreme – in grado di alimentare il fenomeno della vegefobia; in particolare l'antispecismo, poiché viene a scontrarsi più esplicitamente col modello dell'alimentazione a base di carne, sembra essere il principale gancio a cui il fenomeno sociale si aggrappa; da qui la tendenza a mettere alla berlina il mondo di vegetariani e vegani con immagini stereotipate, strumenti di derisione e altre forme di disapprovazione, sia attraverso la stampa (pressione mediatica) sia nella vita quotidiana (pressione sociale).
Se osserviamo il periodo di diffusione iniziale dei termini, ciò che riscontriamo è una circolazione per lo più circoscritta. Da un lato, vegefobia e vegafobia si sono diffuse nei testi scritti e orali di vegetariani e vegani – siti, forum, blog, interviste, conferenze – per indicare quei comportamenti vòlti a osteggiare le loro scelte etiche e alimentari, come confermano gli esempi seguenti:
Il corteo romano ha visto anche l'inedita presenza di genitori e figli vegetariani e vegani, [...]. Insieme agli altri manifestanti, hanno denunciato la vegefobia, ovvero quell'atteggiamento che schernisce, discredita, criminalizza e accusa di estremismo chi rifiuta di mangiare gli animali. (Marco Reggio, Guarda negli occhi il tuo hamburger, terranuova.it, sez. News-Alimentazione naturale, 21/5/2008)
Perché questa testimonianza, per chi ha deciso di allevare i propri figli nel veg*ismo, mostra nella pratica la possibilità di sopravvivere e crescere bene (o anche meglio!) senza mangiare prodotti animali. Perché rivendicare apertamente questa scelta nella maternità e nella paternità è uno dei modi per opporsi alla vegefobia che ci vuole genitori indegni, che privano i loro figli delle gioie e delle virtù dell'alimentazione carnivora. (post di rossi25222778 sul forum di alfemminile.com, 25/3/2009)
Diversi commenti all'articolo sul sito del giornale ritengono ridicola, se non pretestuosa, la causa intentata da Pacifico: anche questa è una manifestazione di vegefobia, purtroppo molto diffusa tra i vegetariani stessi, che spesso minimizzano, o addirittura negano, le diverse forme di discriminazione di cui sono l'oggetto. ([s.f.], Vegefobia a Wall Street, vegephobia.info, 6/1/2010)
Da quanto detto emerge che il fine della vegefobia o vegafobia è quello di mettere a tacere [...]. Inoltre ad esempio raggruppare i vegani dentro il ghetto di un regime alimentare cosa significa? Significa neutralizzare proprio la forza sovversiva di questo rifiuto della dominazione umana. (Intervista a Silvia Molè sulla censura verso l'antispecismo e sulla vegefobia, radioradicale.it, 5/9/2016 [trascrizione nostra])
Credo che il termine “vegafobia” debba diventare più famoso, affinché si possa ottenere maggior riconoscimento del valore della nostra minoranza, troppo spesso etichettata dai media come una "moda", se non peggio, come una "setta". (post di Nicolas Micheletti, Facebook, 27/9/2017)
Dall'altro, l'interesse per il fenomeno sociale ha portato vegefobia – più raro l'uso delle altre forme – a innestarsi nei campi della sociologia, della filosofia e, più recentemente, in quello della psicologia:
Ma su questo versante del discorso la “vegefobia” dice invece troppo poco. Come abbiamo visto, infatti, non è il fatto di astenersi dal “mangiare carne” di per sé a provocare la reazione sarcastica, stizzita o autoritaria denunciata come “discriminatoria”. [...] La “vegefobia” non permette di spiegare il risentimento nei confronti di chi si oppone alla sperimentazione animale, di chi protesta contro una sfilata di pellicce o una sagra di animali. La teriofobia sì. (Marco Maurizi, Teriofobia, in "Asinus Novus. Rivista di antispecismo e filosofia", IV: maggio 2012 [rivista online])
Tutto questo, infine, si traduce nella diffusione sociale di quella che è stata chiamata vegefobia. Vegefobia che prende corpo nelle disposizioni dei tribunali che, in caso di divorzio, tendono a favorire il genitore «normale» rispetto a quello vegano, nei regolamenti delle mense pubbliche (soprattutto scolastiche) che rendono praticamente impossibile l’alimentazione vegana, in programmi di grande ascolto [...]. (Massimo Filippi, Questioni di specie, Elèuthera, 2017, p. 64)
Il termine "vegefobia" [...] indica il rifiuto di un comportamento di critica alla norma poiché implica aspetti politici. Allo stesso modo in cui l’omofobia rifiuta l’omosessualità, la vegefobia è il rigetto del veganismo o del vegetarismo adottato per motivazioni etiche. (Francesca Mininni, La rivoluzione parte dal piatto? Il veganismo tra identità, etica e stile di vita. Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2018, pp. 275-276).
A livello aneddotico non mancano esempi non solo di pregiudizi apparentemente innocui, e amplificati dalla rete (sono numerose le pagine e i gruppi antivegani su Facebook), che indicano un fastidio, ma a volte anche un odio profondo, tanto che si è iniziato a parlare di «vegefobia». (Nicoletta Cavazza, Margherita Guidetti, Scelte alimentari. Foodies, vegani, neofobici e altre storie, Bologna, il Mulino, 2020, p. 77)
Soltanto negli ultimi anni, vegafobia e vegefobia – come pure le altre forme menzionate in apertura – hanno cominciato a circolare più ampiamente su Internet: adoperate sia dagli stessi vegetariani e vegani sia da parte di terzi, le ritroviamo in discussioni di forum e blog, in vignette satiriche, in articoli di testate online, in post e commenti dei maggiori social media (Facebook, Twitter, Instagram) – esistono inoltre pagine e siti creati proprio per denunciare e combattere episodi di vegafobia (per esempio la pagina Facebook "Stop Vegafobia" o il sito http://it.vegephobia.info). Ecco alcuni esempi tratti dai social media:
Fino a che ti dici antifascista, antirazzista, antiomofobia, antisessista, bene. Quando ti dici antispecista (basandoti sullo stesso sentimento di giustizia e di rifiuto dell'oppressione), e conseguentemente vegano, per i più sei un demente #vegefobia (Twitter, 12/2/2018)
dopo l'omofobia, la transfobia, la xenofobia è tempo di aggiornare l'elenco con #Veganofobia http://manuelmarangoni.it/onemind/1132/e... (Twitter, 26/5/2018)
Che la delegittimazione della dieta vegana e di quella vegetariana sia funzionale al business delle grandi aziende e delle associazioni di produttori del settore zootecnico, chimico-farmaceutico e dell’abbigliamento, e che queste aziende e queste associazioni spendano soldi per alimentare la diffusa vegefobia, non è certo una novità. (Facebook, 24/9/2020)
Tg2 della sera "Hamilton è vegetariano", guardate che si può usare la parola vegano. #vegefobia #tg2 (Twitter, 15/11/2020)
Da ultimo non ci resta che osservare la fortuna dei nostri neologismi da un'altra prospettiva, quella della produttività: vegafobia, vegefobia e veganofobia hanno attecchito abbastanza da produrre i derivati vegafobico, vegefobico e veganofobo, usati sia in funzione sostantivale ('chi mostra ostilità verso vegetariani e/o vegani') sia in funzione aggettivale ('che esprime vegefobia/vegafobia').