Consulenze linguistiche

Triage

  • Miriam Di Carlo
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2020.4345

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Copyright: © 2020 Accademia della Crusca


Quesito:

Alcuni lettori ci chiedono delucidazioni circa la parola triage e i suoi derivati tra cui triagiare e triagiato.

Triage

A partire da fine febbraio 2020 abbiamo sentito e letto frequentemente la parola triage (pronuncia /tri′aʒe/ con la g “alla francese”) a proposito delle notizie riguardanti il nuovo coronavirus Sars-CoV-2. Si tratta di un francesismo non adattato, impiegato in testi in lingua italiana già a partire dai primi anni ’90 e registrato per la prima volta in un repertorio lessicografico italiano nel 2006 (Zingarelli 2007). Il fatto che la pronuncia sia tuttora francesizzante, come quella di garage, e non abbia subito l’anglicizzazione che è avvenuta per stage (pronunciata spesso impropriamente come /steidʒ/) si spiega sia col fatto che anche in inglese la pronuncia è triage, sia con una trasmissione anche parlata e non solo scritta della parola. Oggi triage è inserito in quasi tutti i maggiori dizionari contemporanei dell’italiano, come il GRADIT (2007), il Devoto-Oli 2020, lo Zingarelli 2021, ma è assente nel GDLI.

La parola triage deriva dal verbo francese trier che significa ‘scegliere, selezionare’ con l’aggiunta del suffisso -age ‘-aggio’ e indica “nel pronto soccorso, [il] metodo di selezione delle priorità degli interventi in base alla gravità delle lesioni e delle malattie” (GRADIT). La parola e la procedura a essa associata (con altri parametri rispetto a quelli odierni) nascono in Francia alla fine del Settecento e si diffondono pian piano al di fuori dei confini francesi, arrivando anche in Italia. Il termine indica una procedura applicata in ambito prettamente medico ma che ultimamente, come vedremo, ha finito per essere adottata anche altrove. Molto probabilmente la parola ha prima circolato nell’ambito specialistico medico per poi diffondersi anche al di fuori di esso: questo passaggio è stato agevolato dal fatto che il triage è una pratica che mette in relazione il mondo medico con il mondo dei pazienti, i quali devono essere coscienti del significato di alcune parole legate all’emergenza.

Specificazioni semantiche

Soffermiamoci sul significato della parola. Il triage è definito ‘metodo di selezione’ (stando al GRADIT e allo Zingarelli); in ambito specialistico si preferiscono ‘procedimento’, ‘processo’ come si legge nella definizione che ne dà il Glossario della Protezione Civile italiana il 31/7/2016:

Triage: termine francese che significa “scelta”, e che indica il processo di suddivisione dei pazienti in classi di gravità, in base alle lesioni riportate e alle priorità di trattamento e/o di evacuazione.

Altrove viene definito come ‘sistema’:

Il triage, termine francese che indica “cernita, smistamento” è un sistema utilizzato per selezionare i soggetti coinvolti in infortuni secondo classi di urgenza/emergenza crescenti, in base alla gravità delle lesioni riportate e del loro quadro clinico. (Luisa Carini, Enzo Cantarano, Federico Bizzarri, L’inventore del “triage”: Jean Dominique de Larrey, il chirurgo di Napoleone, Difesaonline.it, 16/5/2017)

In molti testi di carattere medico specialistico ma anche amministrativo il triage viene definito come un “percorso dinamico” o anche come “un insieme di azioni”:

I definizione: Percorso decisionale dinamico, basato sull’attuazione di un processo metodologico scientifico, capace di stabilire il grado di presunta gravità clinica presente in un soggetto, identificabile mediante l’utilizzo di un sistema di codifica indicante la priorità assistenziale.
II definizione: il triage è quell’insieme di azioni svolte durante l’accoglienza dei pazienti che accedono al pronto soccorso, che tendono a identificare la gravità clinica presunta e conseguentemente stabilire la priorità d’intervento. (Definizioni di triage nel Glossario della Regione Lazio)

Concretamente il triage consiste nella selezione dei pazienti a seconda dell’urgenza clinica con cui giungono al Pronto Soccorso. L’infermiere addetto al triage (triagista) si occupa di una prima “valutazione sulla porta” o anche “valutazione di stanza” in cui si individuano le cause che hanno portato il paziente al Pronto Soccorso. L’infermiere triagista compila una scheda in cui vengono registrati, oltre alle generalità, altri dati fondamentali del paziente, come ad esempio la causa dell’accesso al Pronto Soccorso; i segni e sintomi guida potenzialmente evolutivi, come ad esempio il dolore toracico; gli elementi anamnestici ovvero riguardanti i precedenti fisiologici e patologici (ipertensione, diabete ecc.), nonché lo stato generale del paziente. Vengono registrati, se necessari, i parametri vitali come la pressione, il polso e la glicemia, vengono adottate eventuali procedure di primo intervento (come immobilizzazione, medicazione o collare cervicale) e infine viene assegnato un codice di priorità che corrisponde all’azione pratica dello smistamento. Il triage infatti funge da filtro tra l’accesso inevitabilmente non regolamentato al Pronto Soccorso, e quello regolamentato e codificato in base all’emergenza, e l’assegnazione del percorso più adeguato per la cura di ogni paziente. I codici codificati nel triage possono corrispondere a una serie di colori o livelli aggiornati nel 2019 nel documento Linee di indirizzo nazionali sul triage intraospedaliero del Ministero della Salute (p. 9): si va dal livello 1 (colore rosso) per un’emergenza in cui il paziente presenta l’interruzione o la compromissione delle funzioni vitali per cui l’accesso è immediato, al livello 5 (codice bianco) associato alla non-urgenza. Recentemente, in alcuni ospedali, sono nati altri codici colori associati a tipologie differenti: il codice rosa per le donne incinte, il codice argento per le persone anziane e il codice lilla per le persone affette da disturbi dell’alimentazione. Il triage viene definito in ambito specialistico come un processo dinamico proprio perché non termina con l’assegnazione del codice ma, per i pazienti il cui accesso è stato rimandato, prosegue con una valutazione continua dello stato di salute e delle condizioni vitali.

Va specificato inoltre che il termine triage indica oggi una procedura di selezione basata su criteri completamente differenti rispetto a quelli delle prime applicazioni. Stando alla storia della medicina, la nascita del triage viene attribuita al barone Jean Dominique Larrey, che verso la fine del Settecento, durante le guerre napoleoniche, mise a punto un processo di selezione dei soldati feriti al fine di poter evacuare il campo di battaglia. Il triage di Larrey privilegiava i feriti meno gravi i quali venivano medicati immediatamente e richiamati di nuovo alla battaglia. I soldati con condizioni vitali più critiche e in fin di vita non venivano portati in infermeria e venivano lasciati morire perché considerati un impedimento. Come abbiamo visto, oggi il triage corrisponde a dei parametri di selezione completamente opposti, nati dall’esigenza di salvare più vite possibili ed evitare congestioni all’interno dei Pronto Soccorso.

Recentemente la parola triage si applica a situazioni differenti, individuando percorsi e pratiche parallele a quelle codificate nei Pronto Soccorso ma pur sempre riconducibili alla semantica originaria. Ad esempio, a proposito dello sbarco dei migranti sulle coste italiane, varie associazioni benefiche e la stessa Croce Rossa Italiana hanno applicato una procedura chiamata triage che consiste nel fermare ogni migrante all’arrivo su terra ferma per sottoporlo a controlli medici. La differenza rispetto al triage ospedaliero consiste nel fatto che in questo caso il paziente non si reca presso il punto di soccorso, ma è il medico che applica lo smistamento dei pazienti andando direttamente nel punto dello sbarco:

A Lampedusa: MSF si occupa del triage dei pazienti al porto e di seguire le successive fasi del soccorso medico presso i centri di accoglienza e detenzione. Ha anche il compito di valutare le loro condizioni di vita e accesso ai servizi sanitari nei centri dislocati in Italia. (Michele Davia, Lettera di MSF a Berlusconi e ai leader europei. Le testimonianze dei rifugiati accolti a Manduria, Repubblica.it, 19/5/2011)

Il triage dei migranti diventa una pratica di smistamento necessaria (effettuata spesso sul molo) soprattutto nel 2014 a proposito dell’epidemia di ebola:

Al porto, i profughi hanno trovato l'accoglienza di sempre. E due triage distinti per uomini, donne e bambini allestiti dal team dell'Asp 6. Al loro fianco i mediatori culturali e quaranta uomini e donne della Croce rossa. (Claudia Brunetto, Palermo apre ai migranti, posti letto nelle chiese, Repubblica.it, 10/6/2014)

Secondo quanto si è appreso, durante la navigazione sarebbero stati vissuti momenti di forte tensione perché tra i superstiti vi sarebbero alcune persone che hanno perso i loro cari. "Siamo pronti ad accoglierli – dice Antonio candela commissario dell’Asp 6 – Abbiamo tre triage per visitare e assistere i profughi". ([S.f.], Migranti, a Palermo i 39 superstiti del naufragio tra Libia e Sicilia, Corriere.it, 15/6/2014)

Anche nelle cosiddette maxi-urgenze e nelle zone di guerra si sente il bisogno di applicare la metodologia e il percorso di triage. In questo caso, l’Esercito o la Protezione Civile italiana assieme ad altre istituzioni e organizzazioni allestiscono delle tensostrutture o delle tende che fungono da punti di soccorso in cui si effettua lo smistamento dei pazienti:

Il terremoto, di magnitudo 5.5, con epicentro 2-3 km a sud est di Pinerolo, con una profondità epicentrale di circa 6 chilometri, è stato della stessa gravità di quello avvenuto nel 1808. [...] La Prefettura di Torino ha aperto il C.C.S (Centro coordinamento soccorsi) ed è stato reso operativo il modulo sanitario del 118 che sta montando a Pinerolo, dietro al Palacurling, le tende ospedale per il triage. (Antonio Giaimo, Terremoto di magnitudo 5.5 nel Pinerolese, ma è solo una esercitazione, laStampa.it, 14/6/2019)

Recentemente, a proposito del nuovo coronavirus Sars-CoV-2 la parola triage non individua più soltanto la pratica di cernita delle persone che presentano patologie ma uno smistamento per individuare soggetti potenzialmente infetti da coronavirus. Il triage viene dunque applicato negli aeroporti all’entrata e all’uscita ma è soprattutto in previsione dell’apertura dei centri estivi e degli asili nido che il triage diventa un filtro obbligatorio al quale si deve sottoporre ogni bambino che entra nella struttura educativa:

Passi per il triage all’ingresso, le mascherine e i lavaggi delle mani, i giochi e gli ambienti sanificati più volte al giorno ma si parla anche di spostare le giornate en plain [sic] air: gioco, pappa e nanna all’aperto. (Giula Vola, L’Italia che riparte ha bisogno di spazi per i bimbi: oltre ai piani servono risorse, laStampa.it, 13/5/2020)

Infine, a livello semantico va segnalata la presenza di un altro significato ormai spento mai registrato da nessun dizionario, che però ha mostrato una certa vitalità tra il 1998 e i primi anni del 2000. In questo caso il termine triage viene utilizzato per indicare un ‘apparecchio atto all’individuazione di droghe o altre sostanze in un soggetto’:

Così da quattro mesi la polizia stradale di Perugia ha deciso di eseguire un test sperimentale sugli automobilisti, uno strumento che in futuro potrebbe essere affiancato all’etilometro. Si chiama “triage” ed è un kit che consente al personale medico della polizia di accertare in 40 secondi se un guidatore è drogato e che tipo di droga ha preso. (Alvaro Fiorucci, Un test antidroga sulle strade contro l’ecstasy del sabato sera, Repubblica.it, 2/11/1998)

Il significato in questione, che registra 6 occorrenze sul quotidiano “Repubblica” tra il 1998 e il 2000, presenta una relazione semantica con il significato di ‘cernita’, ‘smistamento’, visto che l’apparecchio è stato messo a punto per distinguere i soggetti “puliti” da quelli che hanno assunto sostanze psicotrope.

Nei testi in lingua italiana istituzionali e non istituzionali

La parola triage dovrebbe aver cominciato ad apparire nei testi in lingua italiana alla fine degli anni ’80: il GRADIT e il Devoto-Oli danno come prima attestazione il 1987, mentre lo Zingarelli il 1992. Come già detto, in un primo momento il termine probabilmente circolava solo nell’ambito specialistico medico e poi ha finito per essere usato anche al di fuori di tale ambito.

La prima attestazione rilevata su internet risale al gennaio del 1990 all’interno di un articolo che riporta la parola ancora tra virgolette:

I medici del soccorso realizzano subito quello che chiamano “triage” vale a dire la distinzione fra feriti gravi e no. (Jenner Meletti, Bombe e spari nell’ufficio postale, “l’Unità”, 16/1/1990, p. 3)

Dovremo aspettare sette anni per rivedere triage su un altro quotidiano nazionale e sempre tra virgolette:

Questo dipartimento d’emergenza è il fiore all’occhiello della sanità laziale. Pieno come un porto di mare. Efficiente. Un’infilata di sale e salette alle cui porte sono affisse le targhette bilingue (Caposala-Ward sister; Medico di guardia-Doctor on duty...) dove vengono distribuiti i pazienti, il ‘triage’ che smista in base alla gravità del caso [...]. Se non fosse che la vicinanza tra la sala d’attesa prevista per il ‘triage’ e la sala di psichiatria è francamente inopportuna. (Giovanna Casadio, Ospedali d’estate: 6 meno, Repubblica.it, 20/8/1997)

Dall’anno successivo però, triage viene inserito sì senza virgolette, ma comunque con una glossa esplicativa:

Il Direttore ha il suo piano, come una parola “magica”, il triage: sia tratta, spiega, di razionalizzare l’accesso. Un infermiere professionale “smisterà” gli arrivi dividendo i più urgenti da quelli meno gravi. E, insieme, meno burocrazia da compilare, più computer, più corsi professionali e, entro la fine del mese, la conclusione delle gare d’appalto per i lavori di “una completa ristrutturazione del Dipartimento di emergenza e accettazione. (Simona Casalini, Pronti soccorsi, allarme rosso, Repubblica.it, 2/7/1998)

Monitorando il quotidiano “Repubblica” ci accorgiamo che triage viene quasi sempre accompagnato da una sorta di traduzione o di spiegazione del termine, almeno fino al primo decennio degli anni Duemila. Tra le varie spiegazioni/traduzioni, molte sono calzanti; altre appaiono improprie in quanto si basano solo sulla prima fase di quel processo complesso che è il triage: “prima visita”, “primo controllo”, “accettazione del paziente”, “sistema di accettazione”. In altre definizioni triage è usato in maniera estensiva o semplificandone il significato: “esami filtro per stabilire la gravità dei pazienti”, “diagnosi immediata”, fino ad assegnare al termine il significato di uno spazio fisico nell’ospedale: “l’ufficio accoglienza”, “lo spazio dove si inquadrano le condizioni del malato”, “il banco di prima accoglienza”, “l’area di accettazione”. Questa accezione non si può di certo considerare del tutto impropria, visto che nell’ospedale il luogo deputato alla cura di patologie afferenti a una branca della medicina finisce per assumere il nome della branca stessa (del tipo: “vado in ortopedia”). In alcuni articoli il triage è non solo “l’organizzazione per codici” ma pure lo stesso “codice di priorità” assegnato ai pazienti.

Sempre più spesso i giornalisti non fanno seguire al termine un’appendice esplicativa e ciò dimostra la progressiva acclimazione di triage, di cui nei primi anni del 2000 si registrano anche alcuni usi estensivi:

Adesso che gli uffici li hanno divisi per colore - pesca, verde, amaranto, giallo, blu, una specie di triage che segna di fatto l’interdizione dei daltonici dal Pirellone - qualcuno ha messo in circuito sapide battute: "L’unico colore che si sono dimenticati sono le luci rosse". (Paolo Berizzi, Il Decameron del Pirellone ‘Qui da noi sesso e matrimoni’, Repubblica.it, 30/8/2003)

La parola triage poi è stata inserita all’interno di una serie di provvedimenti varati dalle istituzioni italiane. Anzitutto una prima descrizione di come dovrebbero funzionare le varie parti di cui si compone il Pronto Soccorso e il Dipartimento d’Emergenza negli ospedali italiani si ha nel Decreto del Presidente della Repubblica del 27/3/1992: in questo decreto, nonostante vi siano chiari riferimenti al sistema di triage, il termine ancora non viene usato all’interno del testo. Il contenuto del decreto verrà ripreso nel 1996 ossia nell’Atto di intesa tra Stato e regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del D.P.R. 27 marzo 1992, che rappresenta il primo testo ufficiale che introduce il termine triage:

Funzioni di triage.
All’interno dei DEA deve essere prevista la funzione di triage, come primo momento di accoglienza e valutazione dei pazienti in base a criteri definiti che consentano di stabilire le priorità d’intervento. Tale funzione è svolta da personale infermieristico adeguatamente formato, che opera secondo protocolli prestabiliti dal dirigente del servizio. (“Gazzetta Ufficiale” n. 114, 17/5/1996, p. 52)

Il termine viene ripreso nel Decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio del 2000 n. 270 (“Gazzetta Ufficiale” n. 230, 2/10/2000 Suppl. Ordinario n. 165) ma è solo nel 2001 con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e province autonome di Trento di Bolzano che vengono descritte tutte le linee guida del triage intraospedaliero con una prima descrizione dei codici colore da associare ai vari gradi di emergenza (allora esistevano solo il rosso, giallo, verde e bianco). A partire sempre dal 2001, il triage diventa un percorso non esclusivo dei Pronto Soccorso ma adottato anche nei cosiddetti “ospedali da campo” per gestire i soccorsi nelle catastrofi. Si specializza nell’acquisizione e prestazione del servizio di triage anche il Dipartimento della Protezione Civile italiana nato per gestire i disastri e le calamità umane e naturali nonché le situazioni di emergenza. Sempre nel 2001 la Protezione Civile italiana divulga il Decreto ministeriale del 13 febbraio 2001: criteri di massima per i soccorsi sanitari nelle catastrofi, in cui la parola triage viene inserita più volte senza che si avverta la necessità di apporre una traduzione/spiegazione del termine. A partire dal 2001, le occorrenze di triage all’interno della legislazione italiana (ma anche nei provvedimenti ministeriali) sono moltissime, fino ai recentissimi decreti-legge (e conseguenti leggi) varati per arginare l’epidemia di coronavirus Sars-CoV-2 (ad esempio la Legge 24 aprile 2020 n. 27, “Gazzetta Ufficiale” n. 110, 29/4/2020, Suppl. Ordinario n. 16)

Composti e derivati

Nel 2009 circa, a proposito dell’influenza A da virus H1N1 nasce il cosiddetto triage telefonico ovvero una sorta di smistamento preventivo che avviene per telefono e che, limitando l’affluenza ai Pronto Soccorso, previene le possibilità di contagio e l’eccessivo affollamento:

E, per ultimo, conclude Cricelli, il triage telefonico: “I pazienti prima di venire in studio dovrebbero chiamarci al telefono per darci la possibilità attraverso alcune domande di renderci conto della situazione”. (Giuseppe del Bello, Nuova Influenza, previsioni degli esperti 12 milioni di contagi e 12 mila decessi, Repubblica.it, 19/9/2009)

A partire da fine febbraio 2020, proprio a causa della forte carica virale del nuovo coronavirus Sars-CoV-2 e dunque per evitare i contagi all’interno degli ospedali italiani, il triage telefonico è diventato obbligatorio:

A tutti i medici della medicina generale verrà fornita in queste ore una scheda di triage telefonico da utilizzare per porre ai pazienti, sospetti di un contagio da Covid-19, domande con le quali fare una prima diagnosi. (Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri - Provincia di Latina, Ecco la scheda per il triage telefonico dei pazienti sospetti per il COVID-19 predisposta da FIMMG-SIMG, OrdinemediciLatina.it, 22/2/2020)

L’urgenza e la necessaria applicazione del triage telefonico ha fatto sì che il sintagma venga tuttora ampiamente utilizzato, tanto da poter registrare nel solo periodo da febbraio a giugno 2020 ben 14.100 risultati su Google e ben 54 occorrenze sulla “Repubblica” (ricerche del 3/6/2020).

Negli ultimi mesi, inoltre, sempre in relazione all’epidemia di Covid-19, è nato anche un altro sintagma: triage digitale. Affine a quello telefonico ma non destinato prettamente ai pazienti potenzialmente affetti da Sars-Cov-2, in questo caso il triage digitale viene applicato a soggetti che presentano altre patologie e che, per precauzione, sarebbe meglio che non si rechino all’ospedale:

Malati cronici, spesso in terapia con farmaci che agiscono sul sistema immunitario, e per questo più indifesi davanti alle infezioni. In queste settimane di emergenza sanitaria, ci sono persone che rischiano più di altre, per esempio quelle con sclerosi multipla, malattia che colpisce il sistema nervoso in maniera progressiva, portando anche allo sviluppo di grave disabilità. In Italia si tratta di oltre 120mila persone, il 50% delle quali non ha ancora 40 anni.
Come fare a tenere sotto controllo questi pazienti e allo stesso tempo non sottoporli a inutili rischi? Grazie a un triage digitale. (Letizia Gabaglio, Sclerosi multipla e Covid: un triage digitale italiano fa il giro del mondo, Repubblica.it, 7/5/2020)

Pur nascendo in ambito italiano, è stato proposto per la prima volta a un gruppo di esperti statunitensi di Digital Health con il nome inglese di digital triage, ma si tratta di una metodologia non ancora largamente applicata: oggi infatti il sintagma triage digitale conta solo 2.850 risultati tra le pagine in italiano di Google (3/6/2020).

Affine nel significato al triage digitale è il composto neoclassico teletriage che conta nelle pagine in italiano di Google solo 1.010 risultati (10/6/2020); si tratta di una procedura nata recentemente (sempre in relazione all’epidemia di Covid-19) per limitare gli accessi nei Pronto Soccorso e che permette ai medici di famiglia di effettuare il primo triage ed eventuali visite successive attraverso un’applicazione sul cellulare.

Tra i derivati spicca il prefissato pre-triage (a volte anche scritto pretriage o pre triage) che registra nelle pagine in italiano di Google ben 145.000 risultati e nell’ultimo anno sulla “Repubblica” ben 83 risultati (sempre fino al 3/6). Oggi il suo impiego risulta molto vitale ma non è stato ancora registrato da nessun dizionario italiano contemporaneo. Di solito il pre-triage nasce nella gestione delle grandi emergenze che prevedono un grande bacino di pazienti da controllare, come ad esempio nelle catastrofi da terremoto o nel caso dell’epidemia di Covid-19. Il pre-triage è uno smistamento preventivo, una sorta di attesa contingentata e ordinata che porta i pazienti al percorso di triage. Di solito lo spazio deputato al pre-triage negli ospedali è assente (o se presente corrisponde all’accettazione) e dunque in casi straordinari, analogamente a quanto avviene in quelli da campo, vengono allestite tensostrutture o tende destinate a questa funzione preliminare. Nel pre-triage emergenziale viene offerto un primo soccorso e assistenza, e nel caso dell’epidemia da Sars-Cov-2 sono stati anche effettuati i tamponi al fine di individuare i soggetti positivi da condurre al triage o direttamente in ospedale. Accanto a pre-triage si segnala la vitalità del sintagma tenda pre-triage che nasce dall’omissione della preposizione di raccordo (tenda per il pre-triage (o anche tenda di pre-triage) > tenda pre-triage):

I presunti contagiati, infatti, in questi mesi sono arrivati attraverso gli operatori del 118, all’ospedale di Polla fermandosi nelle tende pre triage. Qui hanno incontrato gli operatori, che in prima linea, hanno fornito supporto e assistenza ed hanno effettuato i tamponi. Da qui, in caso di positività e di necessarie cure mediche, il passaggio nel reparto Covid di Polla. Quello nelle tende pre triage, all’esterno dell’ospedale, nei container, non è un lavoro facile come non lo è per nessun operatore impegnato in prima linea per affrontare il Coronavirus. (Federica Pistone, ESCLUSIVA – Gli operatori del Pronto Soccorso dalla tenda pre triage all’ospedale di Polla: “Travolti da un uragano, ma abbiamo reagito”, Italia2tv.it, 30/4/2020)

Esiste anche il prefissato post-triage, utilizzato prettamente in ambito specialistico: si tratta del percorso assistenziale differenziato in relazione al codice di triage assegnato. Il post-triage di un codice rosso, ad esempio, prevede la compilazione della scheda di triage perché l’urgenza della situazione interrompe qualsiasi azione che possa rallentare l’accesso immediato all’ospedale.

Tra i derivati esiste (e lo abbiamo già citato all’inizio) triagista (detto di ‘infermiere deputato al triage’) usato come sostantivo ma soprattutto come aggettivo associato appunto a infermiere, che, pur registrando una notevole vitalità in ambito specialistico e non, non è inserito in alcun dizionario italiano.

Ultimamente è uscito dall’ambito squisitamente specialistico anche il verbo derivato triagiare, nato dall’esigenza di evitare espressioni troppo complesse (e conseguentemente lunghe) soprattutto nel suo uso participiale (triagiato). Anziché fare, eseguire, effettuare il triage, in ambito medico e oggi sempre più nell’uso giornalistico si dice triagiare; i pazienti sui quali è stato effettuato, eseguito il triage, sono detti pazienti triagiati, cioè già smistati. Di sicuro la forma morfologica che trova maggiore impiego è triagiato (nelle forme passive di triagiare ma anche come aggettivo di paziente ‘smistato’) sia sui libri che sui commenti di alcuni forum, così come negli articoli di giornale (assente sulla “Repubblica”, ha 2 esempi sulla “La Stampa” e 1 sul “Corriere della sera”); non mancano però occorrenze di triagiare all’infinito:

Dal 1° ottobre 2014 al 30 settembre 2015 sono stati valutati in Pronto Soccorso 92.518 pazienti di cui il 2,6% è stato triagiato come codice rosso, 25% come codice giallo, 37% verde e 35% come codice bianco-azzurro. (Lorenzo Corbetto, a cura di, Hot Topics in Pneumologia Interventistica, Firenze, Firenze University Press, 2017)

Dopo 50 minuti veniva finalmente triagiato ma, dal momento in cui gli venne assegnato il codice prioritario, passò un’altra ora e venti prima che venisse trattato dal medico con flebo di insulina per poi essere ricoverato in medicina d’urgenza.  [...] solo dopo più di 50 minuti di attesa, perlopiù in piedi, veniva finalmente triagiato dall’infermiere di turno, il quale procedeva all’assegnazione del “Codice giallo per la riscontrata gravità”. [...] Ed invece, dopo essere stato triagiato e assegnato il codice giallo, il paziente è stato completamente abbandonato in una delle sale di attesa senza che nessun operatore sanitario abbia rivalutato le sue condizioni di salute. [...] Gli unici due infermieri presenti nella zona di triage erano impegnati nei box a trattare i pazienti gravi e nessuno di loro era disponibile per accogliere i pazienti urgenti; nessuno era cioè visibile nella zona di contatto al pubblico per triagiare i pazienti che si rivolgevano al pronto soccorso. [...] E’ [sic] evidente che almeno un triagista debba essere sempre visibile e libero da impegni per poter accogliere i pazienti [...] il paziente che rischia di morire si trova ad attendere l’esito della sua condizione della sala d’aspetto anziché essere prontamente triagiato e trattato. (Alfio Stiro, A.D.I: i pazienti non vengono triagiati immediatamente al Policlinico Umberto 1 di Roma, NurseNews.eu, 25/2/2017)

Precisiamo che quest’ultimo è stato correttamente triagiato al momento del suo ingresso in ospedale. (Alessandro Nasi, Coronavirus, l’Asl di Biella: “Medici e infermieri a contatto con il paziente positivo sono in isolamento, ma la situazione è sotto controllo”, laStampa.it, 5/3/2020)

Il crescente impiego del verbo derivato triagiare (specie al participio passato triagiato, usato anche come aggettivo) sembra comunque una evoluzione inevitabile dell’impiego del termine triage: l’immediatezza che deriva dal sintagma paziente triagiato giustifica la sostituzione di forme assai complesse come ad esempio “paziente su cui è stato effettuato il triage”. A maggior ragione in una situazione di emergenza che richiede spesso velocità nella comunicazione tra il personale medico, usare una forma sintetica, il cui significato è facilmente desumibile dalla somma delle parti morfologiche che la compongono, assolve a quel principio di economicità e immediatezza proprio non solo di una lingua specialistica, ma anche, in genere, della lingua parlata.

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