DOI 10.35948/2532-9006/2020.3258
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I dizionari etimologici dell’italiano concordano nell’indicare l’origine di picaro dallo spagnolo e nel segnalare come data di prima attestazione nella nostra lingua il 1606 (DELI; l’Etimologico, s.v.), anno attualmente confermato anche dall’immensa banca dati messa a disposizione dal motore di ricerca di Google Libri. Il termine appare per la prima volta nel titolo della Vita del picaro Gusmano d’Alfarace (Barezzi 1606), traduzione italiana del fortunato romanzo spagnolo di Matteo Alemanno, da cui il prestito è assunto senza alcun adattamento fonetico alla lingua d’arrivo. Anche in spagnolo, infatti, l’accento cade sulla terzultima sillaba, come conferma il Diccionario de la lengua española della Real Academia alla voce pícaro, -ra (DEL 2014, s.v.), per la quale il più autorevole vocabolario spagnolo fornisce significati coincidenti con quelli ancor oggi indicati dai dizionari italiani dell’uso. Nel DEL, tuttavia,i primi due significati sono attribuiti al termine in funzione di aggettivo riferibile a persona (‘listo, espablido’ e ‘tramposo y desvergonzado’), e segue, solo al quinto posto, quello del sostantivo connesso al personaggio della fortunata narrativa picaresca (‘personaje de baja condición, astuto, ingenioso y de mal vivir, protagonista de un género literario surgido in España en el siglo XVI’). I vocabolari italiani dell’uso registrano il lemma sempre e solo come sostantivo, a volte distinguendo tra l’accezione specificamente letteraria e quella traslata e di uso comune:
Da picaro è stato tratto picaresco, che tanto in italiano quanto in spagnolo funge da aggettivo di relazione collegato al genere letterario (romanzo picaresco, novelle picaresche, ecc.), anche se non sono mancate le estensioni generiche (comportamento picaresco ovvero ‘furfantesco, bricconesco’).
Anche l’aggettivo entra in italiano nella prima metà del XVII sec.: Beccaria (1968, p. 120) e L’Etimologico (s.v.) indicano la stessa data del sostantivo, il 1606; DELI (1999, s.v. picaro) e GDLI (1961-2002) correggono, ricordando che di Academia picaresca si parla nel titolo di un’altra traduzione di Barezzo Barezzi stampata nel 1635, di cui, tuttavia, esiste, come si ricava da Google Libri, già una stampa del 1622 (Barezzi 1622).
Non c’è dubbio, in ogni caso, che tanto il sostantivo quanto l’aggettivo sono arrivati nella nostra lingua a seguito del successo di questo genere letterario spagnolo, che tra XVI e XVII sec. trovò anche illustri e importanti imitatori in molti paesi europei. All’origine del fortunato filone si trova, come si è detto, l’anonimo romanzo Lazarillo de Tormes, la cui prima edizione nota risale al 1554, anche se l’opera è stata sicuramente composta alcuni anni prima. Nella gran parte dei romanzi di ispirazione picaresca prodotti in Spagna e altrove, il protagonista narra in prima persona le proprie disavventure, segnate da raggiri e trovate ingegnose: Lazarillo, infatti, pur non identificandosi mai con un autentico criminale, vive ai margini della legalità e cerca di risolvere la povertà e la fame con l’astuzia e l’inventiva, cambiando spesso padrone ma sottraendosi al tempo stesso a ogni lavoro stabile e duraturo. Salvatore Battaglia, filologo, studioso di letteratura e fondatore del GDLI, che è ancor oggi il più importante vocabolario storico della nostra lingua, già osservava, nella voce Letteratura picaresca compilata per l’Enciclopedia italiana, come l’intento satirico, la precoce tendenza al realismo e la rappresentazione antieroica del mondo cavalleresco segnassero l’originalità del genere e il suo contrasto con la letteratura tradizionale (Battaglia 1935). Grazie all’ampia diffusione in Italia del Lazarillo e, ancor più, del romanzo di Matteo Alemanno, che narrava la vita di Guzmán de Alfarache e che accentuava i tratti didattici e moraleggianti del genere, picaro, ormai identificato con una persona di bassa estrazione sociale, astuta, avventurosa e imbrogliona, si sarebbe affermato anche come epiteto per qualificare un individuo truffaldino ma non cattivo. Gian Luigi Beccaria (1968, pp. 120-121), d’altro canto, fa notare come la via colta, squisitamente letteraria attraverso cui è giunto il prestito, ne abbia frenato la diffusione popolare e l’ampia affermazione nell’uso vivo e comune.
Per quanto riguarda l’etimologia del termine in spagnolo, non si è mai arrivati a una conclusione sicura, tant’è che ancora oggi il DEL (2014, s.v. pícaro) la indica come “etimología discutida”. Il Diccionario critico etimológico di Joan Corominas (1984-1991, s.v. pícaro) propone più di una possibilità, una delle quali riconduce al verbo picar ‘pizzicare, beccare’, che poteva rappresentare alcune delle attività dei picari: Corominas fa notare, per esempio, che nel 1525 pícaro era apparso come sinonimo di sguattero delle cucine, per cui il verbo avrebbe finito con l’includere il senso di ‘rubacchiare’. La proposta, riproposta ancora oggi da Nocentini nell’Etimologico (2010, s.v.), era stata scartata da Battaglia (1935 e si vedano anche Nykl 1929 e Spitzer 1930), che vedeva nella ricostruzione solo un effetto della vicinanza fonetica e propendeva invece per una derivazione da picard (‘abitante della Piccardia’), termine che aveva assunto un senso dispregiativo nel Medioevo e che in Spagna era potuto arrivare durante le guerre in Piccardia e nelle Fiandre. Anche Corominas (1984-1991) prendeva in considerazione la possibilità di un incrocio con il francese picard, ma non trovava prove convincenti per sostenerne il contributo alla creazione del termine. Più prudentemente il DELI e il Sabatini-Coletti preferiscono indicare come “incerta” l’etimologia, analogamente a quanto fanno il GDLI e il Devoto-Oli 2019, che tuttavia segnalano anche la possibile derivazione dal verbo pícar.
Nota bibliografica: