DOI 10.35948/2532-9006/2020.3330
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Ci sono arrivati vari quesiti che chiedono se è corretta una frase come qualora nulla osti, se sia preferibile ove nulla osti oppure ove nulla osta, se nulla osta “regge il complemento oggetto o il complemento d’agente”, se ci sono differenze di significato tra nulla osta, autorizzazione e concessione.
Nulla osta è un’espressione formata dal pronome indefinito nulla e dalla terza persona dell’indicativo del verbo ostare ‘essere d’impedimento’; si tratta d’una formula d’uso prevalentemente burocratico, modellata sulla corrispondente latina nihil obstat, che si usava anche in aggiunta o in alternativa a imprimatur come autorizzazione alla stampa di un testo da parte dell’autorità ecclesiastica e che si può trovare anche in contesti italiani. Esiste anche un’ulteriore alternativa, niente osta, che anche in passato è stata sempre minoritaria ed è ormai alquanto rara.
La locuzione nulla osta si è lessicalizzata tanto da diventare un nome, scritto anche nella grafia univerbata nullaosta (un esempio: “Mi fece un nullaosta perché il Comune mi anticipasse i soldi”, in Lucio Mastronardi, Il maestro di Vigevano, Torino, Einaudi, 1962, p. 85, dal corpus PTLLIN). Il significato di nullaosta lessicalizzato è quello di “dichiarazione scritta con cui la pubblica autorità competente attesta di aver accertato che non vi sono impedimenti a che un’altra autorità emetta un dato provvedimento o a che un privato cittadino esplichi una determinata attività: dare, attendere, ricevere un n.” (GRADIT). In questo senso, il nullaosta si differenzia tecnicamente dal sinonimo autorizzazione (ma anche da altri termini equivalenti come benestare, permesso, licenza, ecc.), in cui il riferimento all’esistenza di un possibile o ipotizzato impedimento all’autorizzazione assume minore importanza (senza dire che un permesso potrebbe anche essere fornito oralmente, o comunque con un atto meno ufficiale di una dichiarazione scritta qual è il nulla osta). Non si può considerare sinonimo di nulla osta, invece, concessione, che in ambito giuridico-amministrativo assume per lo più significati alquanto diversi, sebbene il verbo concedere cooccorra a volte con nullaosta lessicalizzato.
Il processo di lessicalizzazione si spiega col fatto che la dichiarazione oggi detta nullaosta si apre o si chiude normalmente proprio con la formula “Nulla osta”; nullaosta costituisce dunque, per dirla con Bruno Migliorini, un “nome cartellino”, di genere maschile e invariabile. Invero, in rete si trovano rarissimi esempi (due in testi burocratici!) di “i nullaosti” (quindi con inserimento del nome nella classe di poeta/poeti e non in quella di panda), e d’altra parte la terminazione in -a favorisce occasionali attestazioni al femminile (la nulla osta), documentate in rete prevalentemente in testi scritti da stranieri (del resto in francese e in spagnolo il termine, che è certo un italianismo, è usato al femminile).
Sul piano sintattico, la formula nulla osta costituisce una frase principale, che può essere usata assolutamente, seguita dalla firma dell’autorità, ma può anche reggere una completiva. Questa in passato poteva essere costituita dal semplice infinito preceduto dall’articolo (come avviene nel più antico esempio che ho trovato documentato: “Nulla osta perciò il vedere questi stessi Israeliti, sotto qualunque Governo cui soggetta esser potesse la Giudea, desiderare, e pregare l’Altissimo, autore di tale Costituzione, onde agevoli loro il mezzo per impetrare il bramato oggetto”; Continuazione della Raccolta dei documenti ufficiali ed autentici e di altri scritti e squarci storici analoghi al soggetto relativi alla Deputazione ebraica convocatasi in Parigi..., Mantova, Pazzoni, 1807, p. 31, in nota) o dalla preposizione di (“Nulla osta d’impiegare le fumicazioni in inverno, quando il malato nel ritornarsene a casa prende le necessarie precauzioni”; Annibale Omodei, Annali di medicina straniera, X, 1819, p. 87), oppure, come capita tuttora, da che + congiuntivo (“Ora nulla osta, che il legislatore faccia continuare, anche dopo la cessazione del possesso di fatto, i diritti conseguiti”; Francesco Saverio Nippel, Comento sul codice civile generale austriaco..., vol. III, Pavia, 1839, p. 161). Oggi la subordinata al congiuntivo è di solito introdotta da a che (“D’altra parte, nulla osta a che uno Stato membro, nel quadro di ispezioni che esulano dal campo di applicazione della presente direttiva, controlli i punti enumerati nell’allegato I in luoghi diversi dalle strade pubbliche”, da una direttiva dell’Unione Europea) o dipende dal sostantivo generico fatto, retto dalla preposizione articolata al (“Nulla osta al fatto che, ad esempio, per la stessa struttura edilizia sussistano parti private e parti condominiali”; Barbara Cusato, Il condominio, Milano, Key, 2019, p. 16). Naturalmente, al posto di fatto, si può trovare anche un nome semanticamente più denso retto da a (“Nulla osta alla costruzione di condutture elettriche o metalliche”, da un facsimile di domanda fornito dal Ministero dello Sviluppo Economico). Il complemento oggetto e il complemento d’agente ipotizzati da un lettore sono inammissibili, perché ostare è un verbo intransitivo.
Come nome, invece, nulla osta (o nullaosta) regge il complemento di specificazione introdotto dalla preposizione di, che indica il “soggetto logico”, chi rilascia l’autorizzazione (“c’eravamo velocemente procurati i documenti necessari, i nulla osta di non so quante autorità competenti vere o inventate”; Elena Ferrante, L’amore molesto, Roma, Edizioni e/o, 1992, p. 12, dal corpus PTLLIN), mentre l’oggetto del nullaosta è reso con un complemento (di scopo) introdotto da per (“abbiamo avuto il nulla osta per la tumulazione” (Michele Prisco, Una spirale di nebbia, Milano, Rizzoli, 1966, p. 287, dal corpus PTLLIN) o da a (“Il nullaosta allo svolgimento delle attività di lavoro nello spettacolo da parte degli artisti stranieri cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea, dunque, deve essere rilasciato [...]”; Francesco Lucrezio Monticelli e Pierluigi Rausei, L’abrogazione delle norme sul collocamento nello spettacolo, in La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, a cura di Michele Miraboschi, Napoli, Giuffrè, 2008, p. 399); per può introdurre anche una frase col verbo all’infinito (“ci voleva il nullaosta della Cassa del Mezzogiorno per poter spedire la comunicazione ufficiale”; Domenico Starnone, Via Gemito, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 218, dal corpus PTLLIN). Le preposizioni da, eventualmente presente dopo nulla osta (sempre riferita al soggetto che rilascia: hanno ottenuto il nullaosta dal Comune) e, in certi casi, a (che indica invece l’oggetto dell’autorizzazione: “E quell’altro l’ho visto io stesso prendere mazzette per rilasciare il nulla osta a interi vagoni di cavoli malati diretti in Germania”, sempre in Starnone, p. 21) dipendono in realtà dal verbo reggente.
Se l’uso più comune della formula in senso proprio (come frase dunque, e non come nome) è quello di costituire la principale di un periodo (dunque con il verbo al presente indicativo), niente impedisce (anzi, nulla osta...) che l’espressione si possa trovare, specie all’interno di testi burocratici, anche in frasi dipendenti (il verbo ostare, del resto, ha una sua pur limitata sfera d’uso: a questa sua ambizione osta il fatto che...). In tal caso il modo e il tempo del verbo ostare dipendono dal contesto: con congiunzioni come qualora e ove, che esprimono un’ipotesi, l’uso del congiuntivo è senz’altro corretto (anzi, è quello più corretto). Do due esempi letterari che presentano il verbo congiuntivo: “la domanda è, ancora una volta, assurda: non si fa tutto quello cui nulla osti” (Tommaso Landolfi, A caso, Milano, Rizzoli, 1975, p. 8, dal corpus PTLLIN); “il fatto che nulla osti a una determinata azione non è motivo sufficiente per compierla (ibid.).
Per completezza, segnalo che nulla osta come locuzione con valore nominale è datato 1869 nel GRADIT (ma si tratta di un’indicazione contenuta s.v. ostare nel Tommaseo-Bellini, come è precisato nel DELI, che riporta poi la data 1929-35, da Gramsci) e nel 1850 nello Zingarelli 2020, ma Google libri fornisce un esempio ancora anteriore, se pure di poco: “In questa seconda [edizione] vi è il nulla osta del maestro del s. palazzo apost., in data 5 giugno 1845” (“Bibliografia italiana ossia Elenco generale delle opere d’ogni specie e d’ogni lingua stampate in Italia e delle italiane stampate all’estero”, n.s., I, 1845, p. 279). Invece la frase è documentata in italiano almeno dai primi dell’Ottocento; la prima attestazione è quella del 1807 che ho già riportato, ma subito dopo ce n’è una seconda: “Nulla osta perciò, che gl’Israeliti stabiliti in varj punti del Continente, riconoscer non possano per patria l’attuale natio loro paese” (Continuazione della Raccolta dei documenti ufficiali ed autentici e di altri scritti e squarci storici analoghi al soggetto relativi alla Deputazione ebraica convocatasi in Parigi..., Mantova, Pazzoni, 1807, p. 31, in nota).
I gentili lettori mi concedono ora il nulla osta per concludere? Spero proprio di sì!