Temi di discussione

Molte componenti nella scelta difficile ma perfettibile delle prove di maturità

  • Rita Librandi
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW - IN ANTEPRIMA

DOI 10.35948/2532-9006/2023.29030

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L’esame di maturità, istituito per la prima volta dal ministro Giovanni Gentile, quest’anno ha compiuto cento anni, ma non è rimasto certamente identico a quello del 1923: molte cose sono mutate lungo questo secolo e molte riforme hanno modificato sia la costituzione delle commissioni sia la tipologia delle prove scritte e orali. Durante la pandemia, peraltro, sono state per due anni abolite le stesse prove scritte, giustamente ripristinate, però, fin dallo scorso anno e ora ritornate ai criteri fissati nel 2017 dalla ministra Valeria Fedeli.

Ogni anno, nei giorni che precedono la prova, si apre, tra gli studenti, sui media e sui canali social, una corsa alle previsioni, puntando sui testi letterari o sui temi che per i motivi più vari sono stati trattati e discussi nelle aule. Ancora più vivace, d’altro canto, diviene il dibattito che segue l’assegnazione delle tracce: è un appuntamento quasi rituale, che trova regolarmente spazio su molti quotidiani e periodici, ospitando, con interviste a docenti, giornalisti e studiosi, sia i consensi sia le polemiche. Le scelte di chi propone le tracce, del resto, non sono per nulla facili e, dovendo tener conto di componenti spesso distanti tra loro, comportano frequenti contraddizioni, che tuttavia si potrebbero, forse, evitare con pochi ma accurati accorgimenti. Non ritorneremo in questa sede su tutte le tipologie di tracce proposte per la prima prova: lasceremo da parte l’ultima e ci soffermeremo sugli aspetti delle altre che hanno suscitato maggiori perplessità, cominciando dai due testi letterari, in poesia e in prosa, tratti dagli scritti di Salvatore Quasimodo e di Alberto Moravia. La loro appartenenza alla prima metà del Novecento, o poco più, ha provocato reazioni opposte: da un lato, il disappunto per non essersi spinti verso anni ancora più recenti e, dall’altro, il timore che nelle classi non si sia avuto il tempo di studiare o approfondire tutti gli autori. Le scelte, tuttavia, tengono sempre conto di quanto compreso nei programmi e, almeno per quanto riguarda Quasimodo, si tratta di uno dei poeti più letti nelle scuole italiane: se anche non si fosse riusciti ad analizzare questo specifico componimento, tratto dalla raccolta La terra impareggiabile del 1958, il tema affrontato dall’autore avrebbe comunque potuto indirizzare l’analisi degli studenti. Quasimodo, infatti, prende spunto dal lancio dello Sputnik del 1957 per ragionare sulle sfide dell’umanità e sul rapporto tra la creazione di Dio e quella realizzata dagli uomini. Era, dunque, assicurata la possibilità di riflettere, anche in chiave interdisciplinare, sul progresso scientifico e sui risvolti delle sempre più numerose innovazioni tecnologiche, senza dimenticare i rinvii a Leopardi richiamato fin dal titolo del componimento. Non era neppure difficile la ricerca delle parole chiave, che ritornano con evidenza nei versi, mentre l’analisi metrica avrebbe potuto giovarsi di quanto già studiato durante l’anno per altre opere poetiche dello stesso periodo. A lasciare perplessi, però, è proprio la scelta di un testo così poco efficace sul piano dell’espressione poetica. Sembra, cioè, evidente che a prevalere sia stato il desiderio di aiutare gli studenti puntando sul contenuto dei versi, una scelta sicuramente legittima, che però mortifica tutto ciò che costituisce l’autentica essenza di un testo poetico. Più inaspettata è apparsa la decisione di proporre un brano degli Indifferenti di Alberto Moravia, non perché più vicino nel tempo (il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1929), ma perché si tratta di un’opera di solito poco analizzata a scuola. Anche in questo caso, tuttavia, supponiamo che sia stato il contenuto del testo a favorire la scelta, con l’intento di aiutare gli esaminandi a recuperare da altre letture e discussioni svolte in classe la possibilità di rispondere ai diversi quesiti. Il passo selezionato, infatti, mostra come i protagonisti della storia, di solito incapaci di provare sentimenti o passioni, siano assaliti dall’inquietudine solo di fronte alla prospettiva di perdere privilegi e benessere. Nessuna delle domande prende, tuttavia, in considerazione l’innovatività della lingua e dello stile chiaramente debitori nei confronti della scrittura di Luigi Pirandello.

Per quanto riguarda la seconda tipologia di prova, ovvero il testo argomentativo, non ci soffermiamo sugli scritti di Piero Angela e di Oriana Fallaci, dedicati rispettivamente al nesso tra creatività, innovazione tecnologica e ricchezza immateriale e alla valutazione, formulata in relazione alla minaccia nucleare, di una storia decisa da pochi. Ci limitiamo ad apprezzare, con la scelta del primo, la valorizzazione del suo modo rigoroso di stimolare il pensiero tramite una divulgazione scientificamente fondata, e con la seconda la presenza di un testo di mano femminile, anche se non selezionato tra quelli più convincenti della giornalista. Vogliamo invece trattenerci un po’ più a lungo sul brano tratto dal noto libro di Federico Chabod, L’idea di nazione, del 1961. Chabod, storico, politico e partigiano, è noto a tutti gli studiosi per l’impostazione di un metodo storiografico che, basato sull’esame di fonti scientifiche da rendere note ai lettori, è divenuto un modello ancor oggi irrinunciabile. Il brano proposto agli studenti ragiona sul significato autentico di nazione, cui la stessa storia italiana ha contribuito negli anni del Risorgimento, collegandolo non a un angusto nazionalismo ma, con Cavour, alle idee di libertà e indipendenza e, con Mazzini, ai principi di Europa e di umanità. Anche in questo caso non sono mancati pareri contrastanti, divisi tra il doveroso apprezzamento di Chabod e i dubbi sulla proposta di argomentare intorno all’idea di nazione. Sul significato e la storia del termine e del concetto di nazione regna purtroppo, nel nostro paese, molta confusione, soprattutto perché si genera, quasi sempre, una sovrapposizione indebita tra la nazione, il nazionalismo e l’interpretazione di entrambi durante il ventennio fascista. Ciò accade perché, come negli ultimi tempi si sente giustamente ripetere, l’Italia, nonostante la lotta partigiana e la sua ottima Costituzione, non ha mai fatto veramente i conti con il fascismo, con le sue parole, le sue leggi, i suoi crimini. Si ottiene, come curiosa contropartita, il non riuscire a separare i significati e le parole che hanno percorso la nostra storia precedente da quelli che hanno caratterizzato il regime fascista e la sua l’ideologia. Il termine nazione, secondo quanto apprendiamo dal Nuovo etimologico (Cortelazzo e Zolli 1999), entra nella nostra lingua già sul finire del XIII secolo, con il significato di ‘nascita, generazione’, rintracciabile negli scritti di Brunetto Latini; è solo nel secolo successivo, tuttavia, che Giovanni Boccaccio lo adopera per la prima volta con l’accezione di ‘insieme di individui legati da lingua, storia, civiltà, interessi, specie quando coscienti del comune patrimonio’. Con questo stesso significato (peraltro esteso spazialmente da una singola realtà cittadina a un intero Paese) la parola viaggia lungo i secoli, caricandosi di connotazioni particolari durante la Rivoluzione francese e legandosi, durante gli anni del Risorgimento, agli ideali di libertà e fratellanza ricordati da Chabod. Diverso, invece, è il senso di nazionalismo, che, fin dalla sua comparsa in italiano, nella seconda metà dell’Ottocento, è identificato con una ‘dottrina che mira al predominio di una nazione su altre’ o con una ‘esaltazione eccessiva di ciò che appartiene alla nazione’, concetti che saranno a base di tutte le più nefande deformazioni maturate nel corso del XX secolo. Invitare, dunque, gli studenti a riflettere sul valore assunto lungo i secoli dall’idea di nazione è senz’altro positivo, ma sarebbe giusto aggiungere una riflessione su quanto lontano dalla storia d’Italia sia stato il “nazionalismo”, se non per un infelice periodo con il quale sarebbe bene fare serenamente ma definitivamente i conti.