DOI 10.35948/2532-9006/2020.3199
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Alcune persone ci chiedono delucidazioni sulla parola millennial. In particolare, domandano se sia corretto usarla per riferirsi a chi è nato a ridosso del 2000, se sia entrata in italiano e registrata nei dizionari e quale sia il modo più corretto di formare il plurale.
Da quando la parola millennial, a partire dagli Stati Uniti, si è diffusa ed è stata adottata come nome di una generazione, non soltanto in italiano ma in gran parte delle lingue europee (e non solo), i suoi usi nei contesti più vari hanno generato una certa confusione nell’identificarne il referente: a chi si applica questo nome-etichetta? Chi sono i millennial?
Stando ai dati di Google Trends – che mostrano in percentuali relative quante volte un certo argomento è stato oggetto di ricerche su Google – in Italia, dal 2013 in poi, molti si sono posti questa domanda. A partire dal 2013, infatti, la stringa “millennials chi sono” è stata ricercata su Google da un numero crescente di persone, sebbene a fasi alterne e con picchi d’interesse che verosimilmente corrispondono a momenti in cui i millennial sono stati oggetto di qualche indagine, articolo o dibattito che ha avuto particolare risonanza sui media.
In effetti, di questa generazione si è parlato e scritto molto. Si consideri indicativamente che una ricerca della forma “millennial” o “millennials” sulle pagine in italiano di Google restituisce oltre un milione di risultati, a fronte dei poco più di 150.000 risultati che si ottengono digitando la stringa “generazione X”, con cui è designata la generazione precedente.
Se poi si accede ai documenti in cui la forma millennial (o millennials) è attestata, non è raro imbattersi in usi non univoci del termine, che giustificano la domanda iniziale.
Per fare chiarezza sul referente di millennial occorre rifarsi ai criteri definitori adottati nel campo delle scienze sociali.
Sociologi e demografi sono concordi nel definire la generazione millennial, ovvero ‘del millennio’, come quella di chi è nato dopo il 1980 ed è entrato nella vita adulta nei primi quindici anni (circa) del nuovo millennio. Fanno dunque parte di questa generazione le persone nate negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo.
Sul limite cronologico che definisce il confine iniziale della generazione gli esperti sono oggi ragionevolmente concordi, per cui i primi millennial sono i nati nel 1981-82. Meno univoca è la determinazione dell’anno di nascita degli ultimi millennial, i più giovani. In anni recenti, autorevoli istituti di ricerca, come il Pew Research Center negli Stati Uniti e l’Istat in Italia, hanno fissato la cesura fra i millennial e la generazione successiva alla metà degli anni ’90.
Le generazioni secondo il Pew Research Center (2018)
FONTE: Michael Dimock, Defining generations. Where Millennials end and Generation Z begins, Pew Research Center, 1/3/2018 prima versione, aggiornata il 17/1/2019.
Le generazioni secondo l’Istat (2016)
Istat, Rapporto annuale 2016, p. 47.
Molti ricercatori, tuttavia, estendono il confine della generazione millennial fino ai nati nel 2000 e, qualcuno, anche oltre (2004-2005).
Queste oscillazioni riguardano comunque il confine “ultimo” della generazione etichettata come millennial (quando/con chi termina la generazione), mentre non ci sono dubbi sul fatto che l’etichetta millennial sia stata pensata e adottata per indicare non chi è nato dal 2000 in poi, ma chi a partire quest’anno ha compiuto 18 anni. Risultano di conseguenzaimpropri gli usi in cui gli anni a ridosso del 2000 vengono considerati come anni di nascita dei primi millennial. Un esempio fra gli altri:
Nel discorso di fine anno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, li ha tirati direttamente in ballo: “Oggi i nostri diciottenni vanno al voto, protagonisti della vita democratica”. Già: per tanti ragazzi nati nel 1999, quelle del prossimo 4 marzo saranno le prime elezioni che li vedranno parte attiva. Almeno per quanto riguarda la formazione della Camera dei deputati, visto che per il Senato serve aver compiuto almeno 25 anni di età. Ma nel segreto dell’urna, come si orienteranno i millennials? (Giorgio Velardi, IL SONDAGGIO. La prima volta dei Millennials alle urne: Di Maio e Berlusconi piacciono più di Renzi, lanotiziagiornale.it, 9/2/2018)
Bisogna dire che, per quanto evocativa e di successo, l’etichetta millennial generation ‘generazione del millennio’ è semanticamente ambigua. È evidente, infatti, che con questo nome si intende fare riferimento alla ‘prima generazione del nuovo (terzo) millennio’, ma non è altrettanto chiaro a chi in concreto si applichi questa definizione: considerando che le generazioni si identificano a partire dagli anni di nascita dei suoi appartenenti, è possibile – e per il senso comune perfino più immediato – associare al nome il significato specifico di ‘generazione nata con il nuovo millennio’ oltre che quello inteso di ‘prima generazione giunta a maturità nel nuovo millennio’.
La questione si chiarisce se si ci si confronta con il concetto di generazione così come definito e usato nelle scienze storico-sociali. Se è vero che da un punto di vista demografico “il concetto sta a indicare tutti coloro che entrano a far parte di una popolazione in un determinato periodo di tempo” è anche vero che, in termini più strettamente sociologici, i tratti che definiscono una generazione (orientamenti, atteggiamenti, comportamenti, stili di vita) si plasmano negli anni cruciali della formazione – in quanto vissuti in un determinato clima culturale, caratterizzato da particolari eventi storici – e si mantengono poi relativamente stabili con il progredire dell’età (cfr. Alessandro Cavalli, Generazioni, in Enciclopedia delle Scienze sociali, Treccani, 1994, da cui è tratta la citazione, e gli altri riferimenti bibliografici indicati alla fine del testo). Una generazione dunque acquista una propria identità collettiva negli anni ricettivi della formazione e la manifesta in tutto il suo potenziale innovativo quando i suoi componenti cominciano a entrare nell’età adulta e cominciano a compiere in autonomia le proprie scelte di vita nella sfera pubblica e privata. In quest’ottica diventa comprensibile il fatto che la designazione di millennial sia stata attribuita alla generazione che ha sperimentato l’ingresso nella vita adulta (e non la nascita) all’inizio del nuovo millennio.
Quanto alla storia della parola, millennial è un anglolatinismo piuttosto trasparente formato a partire dal nome latino millennium con l’aggiunta del suffisso -al,che in inglese serve a formare aggettivi.
Il significato dell’aggettivo è originariamente quello di ‘millenario’ inteso dapprima (a partire dal XVII sec.) nel senso religioso di ‘relativo a dottrine, speranze, credenze millenariste’ e poi (dal XIX sec.) nel senso più generale di ‘che dura mille anni o migliaia di anni’. Con l’avvicinarsi dell’anno 2000 millennial acquista anche il significato di ‘relativo o caratteristico degli ultimi anni del XX secolo e dei primi del XXI’ (cfr. OED). Nel 1991, infine, viene coniata l’espressione millennial generation ‘generazione del millennio’ e, contemporaneamente, l’aggettivo viene usato anche in forma sostantivata per designare ‘chi appartiene a questa generazione’. Secondo la letteratura di settore e secondo l’OED, le prime attestazioni della locuzione millennial generation e del sostantivo millennial sono da ricondurre ai sociologi e storici americani William Strauss e Neil Howe. I due studiosi usarono infatti, per la prima volta, queste denominazioni nel loro libro Generations. The History of America's Future, 1584 to 2069, pubblicato nel 1991 quando la generazione così designata era ancora “in nuce”, dal momento che i suoi membri erano sotto i 10 anni d’età. Gli stessi autori hanno poi continuato a monitorare questa generazione, pubblicando nel 2000 una monografia intitolata Millennial Rising. The Next Great Generationche ha rilanciato, inizialmente su scala nazionale, il termine millennial.
Molte sono state, dopo il 1991, le designazioni concorrenti originatesi negli Stati Uniti e diffusesi anche fuori (generation next, net generation, echo boomers, Mtv generation, ecc.); fra queste sicuramente la più fortunata e longeva è quella di generation Y, facilmente adattata in italiano come generazione Y, cioè che viene dopo la generazione X. In realtà, la fortuna del nome generation Y, negli Stati Uniti e nei paesi anglofoni, è dovuta in parte anche al doppio senso che si genera considerando che la lettera Y in inglese si pronuncia /waɪ/ (inglese americano) o /wʌɪ/ (inglese britannico) e, cioè, più o meno allo stesso modo di why /hwʌɪ/, avverbio interrogativo che corrisponde all’italiano ‘perché’. La doppia allusione del nome generation Y (da intendersi come ‘generazione che viene dopo la X’ e al tempo stesso come ‘generazione-perché’) si perde nell’adattamento italiano, dal momento che la pronuncia italiana di Y /ipsilon/ non consente di riprodurre il gioco fra omofoni dell’inglese, ma il termine ha ugualmente avuto fortuna e diffusione anche nel nostro paese.
Lanciata negli Stati Uniti dalla rivista di marketing “Ad Age” nel 1993, la denominazione generation y si è affiancata e sovrapposta a quella di millennials/millennial generation, e per circa un ventennio le ha tenuto testa, finché il 20 maggio 2013 il “Time”ha dedicato il titolo di copertina alla me me me generation (‘generazione io io io’), identificata nel sottotitolo con i millennials:questo è appunto il termine adottato dalla testata americana per riferirsi ai “giovani-adulti” americani del nuovo millennio, provocatoriamente descritti come narcisisti, individualisti, pigri, poco autonomi. La copertina del “Time”e l’articolo correlato hanno fatto il giro del mondo, sollevando grandi dibattiti mediatici e contribuendo a far crescere notevolmente, anche in ambito internazionale, l’uso del termine millennial, che si è infine imposto sulle denominazioni alternative.
La fortuna del termine in Italia può essere ripercorsa osservando il netto incremento d’uso delle forme millennial emillennials nelle pagine dei quotidiani nostrani, proprio dopo il 2013.
Come si vede dalla tabella, la parola millennial, nei quotidiani italiani, compare anche prima del 2013, ma assai sporadicamente e, fino al 2008 -2009, è usata soprattutto (se non esclusivamente) in riferimento alla nuova generazione di giovani statunitensi, “nominata”, indagata e descritta negli Stati Uniti prima che altrove. Dal 2009-2010 anche oltreoceano si moltiplicano le ricerche di ambito nazionale e internazionale su orientamenti, comportamenti, consumi dei “giovani-adulti” del nuovo millennio (dei giovani diventati maggiorenni dopo il 2000). Di conseguenza, aumenta il numero di articoli che si occupano dell’argomento e aumenta la frequenza d’uso del termine millennial che, anche in Italia e in italiano, soprattutto dopo il 2013, viene “assimilato” e preferito ad altri, per etichettare non solo i giovani americani ma anche i coetanei italiani e di altri paesi del mondo.
Un’altra piccola ricerca, limitata alle pagine della “Repubblica”, mostra in parallelo come il nome concorrente di generazione Y, che fino al 2010 risulta essere la scelta lessicale più frequente, declini rapidamente dopo il 2013, cedendo il passo di fronte all’impennata di consensi ottenuta dalle forme millennial/ millennials.
Di fronte al netto incremento della frequenza d’uso di millennial nei testi di lingua italiana – specialistici e giornalistici, scritti e parlati – molti lessicografi hanno preso atto della forza di penetrazione di questo angloamericanismo e hanno registrato la voce nelle edizioni più recenti di alcuni dizionari dell’italiano. In particolare, la voce millennial è stata messa a lemma nel Garzanti 2017, nel Devoto-Oli 2018 e nello Zingarelli 2018. Le definizioni associate riflettono le discrepanze negli usi tecnici, non ancora stabilizzati, del termine. In altre parole, manca ancora una definizione univoca perché, come accennato all’inizio, sono ancora oscillanti i confini cronologici di volta in volta adottati dagli analisti per circoscrivere il referente di millennial (cioè per stabilire quanto è ampia, quando inizia e, soprattutto, quando finisce la generazione etichettata come millennial).
Alla voce millennial, infatti, nel Garzanti si legge:
chi è nato fra gli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta del Novecento, in quanto caratterizzato dal fatto di appartenere alla prima generazione ad avere acquisito grande dimestichezza con i media e le tecnologie digitali (detta anche generazione y).
Nel Devoto-Oli, la definizione è:
Chi appartiene alla generazione nata tra l’inizio degli anni Ottanta del sec. XX e l’anno Duemila nel mondo occidentale, caratterizzata dalla massima familiarità con i media e le tecnologie digitali.
Lo Zingarelli, infine, definisce millennial
chi è diventato maggiorenne o, in senso più ristretto, chi è nato tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo.
Per completare il panorama delle attestazioni lessicografiche aggiungiamo che millennial compare anche nel volume Neologismi. Parole nuove 2008-2018 (Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2018) con la definizione “i ragazzi nati tra il 1980 e il 2000” e nella sezione Neologismi (2013) del Vocabolario Treccani online, in cui la definizione è “persona nata tra il 1985 e il 2005”.
Un altro dubbio di chi ci scrive riguarda il plurale della parola millennial in italiano. Millennial è, come già detto, un anglismo, entrato in italiano come prestito integrale, non adattato. Dal momento in cui una parola alloglotta (cioè straniera) si integra nel lessico dell’italiano in forma non adattata, la regola per la formazione del plurale vorrebbe che la forma-base (al singolare) si mantenesse invariata anche negli usi al plurale, dunque: i millennial e non i millennials (cfr. scheda di consulenza). Di fatto, però, gli usi prevalenti vanno in direzione contraria alla regola: cercando la stringa “i millennial” nelle pagine in italiano di Google si ottengono poco meno di 120.000 risultati (al 27/6/2019), mentre digitando “i millennials” si ottiene un numero quasi doppio di risultati (220.000). Facendo una ricerca analoga nell’archivio della “Repubblica”, i risultati per “i millennial” sono 193, mentre per la variante “i millennials” sono il triplo (571).
Fra i dizionari che registrano la parola, lo Zingarelli sceglie di mantenersi aderente alla norma e nelle indicazioni morfologiche non dà alternative: la voce millennial è glossata come sostantivo maschile e femminile invariabile; anche il Devoto-Oli indica come “regolare” la forma invariabile al plurale ma, tenendo conto degli usi prevalenti, aggiunge “(anche pl. ingl. millennials)”; il Garzanti, infine, adotta una prospettiva descrittiva e non prescrittiva, per cui segnala entrambe le varianti: “pl. millennials o inv.”.
La prevalenza nell’uso della forma plurale millennials in italiano si spiega tenendo conto del fatto che la parola funziona, in generale, come una sorta di nome collettivo: è usata, cioè, anche in inglese prevalentemente al plurale, per descrivere un gruppo, una molteplicità di individui accomunati da caratteristiche demografiche e identitarie. Nel contatto con i testi di lingua inglese, molti scriventi italiani (giornalisti e specialisti) hanno semplicemente e “acriticamente” riprodotto, anche nei testi in italiano, la stessa forma plurale incontrata nei testi inglesi.
Niente di grave se la forma millennials è usata coerentemente come nome maschile o femminile plurale (i millennials, le millennials), soprattutto se quest’uso è figlio di una scelta consapevole dovuta al fatto che la parola è sentita come straniera e non pienamente integrata nel lessico italiano.
Risultano invece poco accettabili, perché agrammaticali, gli usi in cui la forma plurale millennials viene considerata come forma-base invariabile e viene usata anche al singolare (per un caso in parte simile cfr. scheda su murales; cfr. anche scheda su stakeholder). Si consideri, a titolo di esempio, la seguente attestazione:
“Essere un Millennials è stato uno sprono [sic] a cercare qualcosa in più e andare oltre quello che poteva darti semplicemente la tua nazione”, spiega Federico, da tre anni avvocato in Asia, che non sa se tornerà mai in Italia, né se la Cina sarà la meta finale del suo viaggio. (Silvia Renda, Generazione Millennials: "Siamo digitali, mangiamo bio e usiamo la sharing economy. E all'estero abbiamo trovato lavoro", HuffingtonPost.it, 27/03/2016)
Quanto agli usi aggettivali, quando si usa millennials in combinazione con un nome plurale (mamme millennials, artisti millennials, medici millennials ecc.) si crea un ibrido morfosintattico: in inglese, infatti, la forma millennial in funzione di aggettivo è invariabile per cui, come tutti gli aggettivi, non si declina al plurale e va premesso al sostantivo (millennial generation, millennial students); in italiano invece l’aggettivo può collocarsi anche dopo il nome, con cui in ogni caso si declina e si accorda per numero e per genere: se si sceglie di usare per il plurale la forma inglese millennials le due regole si incrociano.
Si genera infine un cortocircuito grammaticale quando la forma plurale millennials viene usata come aggettivo per determinare un nome singolare, come nei titoli riportati di seguito:
Job hopping, tendenza millennials, cambiare lavoro spesso motiva e riduce lo stress. (Ansa.it, 20/11/2018)
Scocchia (Kiko), cresce la redditività [.] Strategia millennials. (“Corriere della Sera”, 9/11/2018, p. 39)
In definitiva, consigliamo di usare la forma millennial invariabile, per semplicità oltre che per conformità alle regole.
Dubbi possono sorgere anche imbattendosi in altre varianti e oscillazioni grafiche della forma. Una di queste è la variante millenial/millenials (con una sola n) che può apparire come un refuso – e, nel caso di singole occorrenze, non è detto che non lo sia – ma si danno esempi in cui la grafia con una n sola ricorre sistematicamente nello stesso testo, indicando che verosimilmente si tratta di una scelta e non di un errore materiale. Nel testo scelto come esempio compaiono tre occorrenze dalla parola tutte nella grafia ora descritta (si osservi, a margine, l’oscillazione nella resa del plurale):
Tra secondi matrimoni e spose millenials sono molte le novità sul mercato [...]. Quanto e come si agisce sul rinnovamento del prodotto? «I cambiamenti sono circa del 15%, si lavora sui dettagli, i volumi, le scollature – aggiunge Rinaudo – ad ogni collezione presentiamo 90 modelli più 40 di couture, inoltre c'è una capsule per le millenial che non è solo romantica ma anche provocatoria per un matrimonio di tendenza». […] «Un tempo le nozze erano tutte tradizionali, ora c'è il secondo matrimonio o il matrimonio tardivo, entrambi colorati e con tanto rosa e nero, quindi il mercato delle millenials è molto intrigante perché le ragazze hanno rivoluzionato lo stile chiedendo abiti leggeri, morbidi, perfetti per ballare». (Irene Maria Scalise, Il sogno bianco è diventato un business, “la Repubblica”, 29/4/2019)
La forma millenial (con -n-), in realtà, è stata importata anch’essa dall’inglese nonostante sia, già in inglese, una variante minoritaria e nonostante l’OED la descriva come forma attualmente “nonstandard”.
La spiegazione della sua esistenza è data dall’OED nella nota etimologica che accompagna la parola millennium (alla base di millennial) a cui lo stesso dizionario rimanda. Secondo l’OED la forma millennium è un prestito dal latino medievale (av. 1210), entrato in inglese nella seconda metà del ’600, composto da mīlle + -ennium sul modello di biennium, triennium, già attestati nel latino classico. La variante millenium, da cui millenial, si sarebbe formata per analogia con le forme millenary, millenarian derivate dal latino postclassico millenariu(m) ed entrate in inglese prima di millennium (già nel ’500 la prima, all’inizio del ’600 la seconda).
In inglese, però, le forme che si sono stabilizzate e che sono registrate a lemma nei dizionari sono millennium e millennial, non c’è dunque ragione per scegliere di adottare in italiano una variante giudicata minoritaria e non standard nella lingua-fonte.
Altre oscillazioni grafiche su cui fare chiarezza riguardano l’uso dell’iniziale maiuscola o minuscola e del corsivo.
L’alternanza di iniziale maiuscola e minuscola per la parola millennial è presente anche in inglese. Per questa, come per molte altre parole, in inglese non esiste una norma precisa, ma la tendenza è quella di usare l’iniziale maiuscola molto più spesso che in italiano. Nella tradizione ortografica dell’italiano la maiuscola è richiesta essenzialmente per i nomi propri e in pochi altri casi (cfr. scheda sull’uso delle maiuscole e tema del mese sui derivati dei nomi propri). Per quanto il confine fra nomi propri e nomi comuni non sia netto, millennial non si riferisce univocamente a un singolo individuo – come fanno i nomi propri di persona (Maria, Giovanni) o i toponimi (Firenze, Tevere, Vesuvio) – ma a una classe di individui, ed è quindi più propriamente classificabile come nome comune che come nome proprio (allo stesso modo di marxista, democristiano, femminista, futurista e simili). L’uso della maiuscola quindi non è necessario né richiesto.
L’uso del corsivo, infine, è giustificato solo se si vuole segnalare che la parola è considerata come forma straniera e non come prestito (sia pure non adattato) già acclimatato in italiano.
Nota bibliografica: