DOI 10.35948/2532-9006/2025.34378
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Alcuni lettori si sono rivolti al nostro servizio di consulenza chiedendo quale sia il rapporto tra forse e magari, a cui un lettore attribuisce valore ottativo; inoltre una lettrice chiede se in “italiano medievale” magari si poteva utilizzare come congiunzione concessiva.
È vero che la parola magari, che viene dal greco μακάριος (‘beato’), è tradizionalmente utilizzata con un significato ottativo, cioè desiderativo, come nell’esempio: “Magari ce ne fossero di più di amici veri e sinceri come te!”.
Tuttavia, l’uso ottativo di magari è oggi piuttosto raro: studiando un corpus di 600 occorrenze scritte e parlate di magari, abbiamo osservato che solo nel 3% dei casi questa parola ricorre, come nell’esempio precedente, in una frase esclamativa che esprime un desiderio.
Più comunemente, magari esprime un’eventualità, come nell’esempio: “Prova a chiamarlo sul fisso, magari è a casa”.
Questa eventualità può essere desiderabile (e quindi in qualche modo ricollegarsi all’originario valore ottativo), come nel caso citato da un lettore: “Magari un giorno conoscerò il mio cantante preferito”.
Ma l’eventualità può anche essere non desiderabile. Pensiamo, per esempio, alla premunizione retorica molto comune: “Chiedo scusa per alcune domande che magari sembreranno stupide”.
È chiaro qui che il parlante suggerisce l’eventualità che le sue domande siano stupide, ma certo non desidera questa eventualità. La stessa cosa si può dire per una frase come:
Se invece diamo un calcio a un cane, le cose cambiano: non possiamo aspettarci che l’animale voli dall’altra parte della strada e cada a terra come il sasso. Verosimilmente, il cane reagirà a questa azione e magari aggredirà l’uomo, oppure, spaventato, scapperà lontano e si rifugerà altrove. [Web]
Nello specifico, per rispondere alla domanda di un secondo lettore, ho ricercato nel corpus ItTenTen16, costituito da 5 miliardi di parole italiane presenti sul web, i casi in cui magari fosse seguito da piovere, e ne ho trovati ben 93. Un esempio è il seguente:
Francesca lavora in centro, alla Rinascente, e d’inverno lascia spesso il negozio quando è già buio pesto, in strada non c’è nessuno, magari piove. [Corpus ItTenTen16]
Ci interesserà notare che l’avverbio forse, invece, ricorre prima del verbo piovere solo 66 volte; eppure forse è in generale molto più frequente di magari (nel corpus ItTenTen ricorre 1.700.000 volte contro le 700.000 di magari).
Se, quindi, magari non porta con sé questo significato di desiderabilità, ci si potrebbe chiedere, in effetti, se questa parola non sia perfettamente intercambiabile con la parola forse. Ora, in alcuni contesti, magari e forse sono certamente intercambiabili, ma non sempre. Proviamo, ad esempio, a sostituire magari con forse nella frase:
Chiedo scusa per alcune domande che magari sembreranno stupide.
Otteniamo la frase:
Chiedo scusa per alcune domande che forse sembreranno stupide.
L’effetto è diverso: qui non abbiamo più l’impressione che il parlante stia premunendosi da eventuali critiche, ma che si stia denigrando, forse come captatio benevolentiae.
D’altra parte, se proviamo a sostituire magari con forse nella frase:
Francesca lavora in centro, alla Rinascente, e d’inverno lascia spesso il negozio quando è già buio pesto, in strada non c’è nessuno, magari piove.
Otteniamo la frase:
??Francesca lavora in centro, alla Rinascente, e d’inverno lascia spesso il negozio quando è già buio pesto, in strada non c’è nessuno, forse piove.
La frase, come indicano i due punti interrogativi aggiunti all’inizio, suona un po’ strana.
Queste differenze ci dicono innanzitutto che forse e magari non sono perfettamente intercambiabili, ma ci dicono anche perché non lo sono. Magari esprime un’eventualità, qualcosa che oggettivamente non si può escludere che accada. Forse, invece, esprime una probabilità, un evento di cui il parlante soggettivamente, in prima persona, si impegna a dire che ha delle possibilità di verificarsi.
È chiaro quindi che se si sostituisce magari con forse, possiamo parafrasare la prima frase con:
Chiedo scusa per alcune domande che io penso sia possibile che vi sembreranno stupide.
E possiamo parafrasare la seconda frase con:
Francesca lavora in centro, alla Rinascente, e d’inverno lascia spesso il negozio quando è già buio pesto, in strada non c’è nessuno, e io penso che sia possibile che piova.
Nella prima frase, sostituire magari con forse produce un effetto di autodenigrazione, poiché il parlante accetta la possibilità che le domande siano stupide. Nella seconda frase, invece, la sostituzione risulta inappropriata, perché il parlante non descrive un fatto, ma un evento abituale di cui traccia soltanto i contorni senza entrare nei dettagli. In questa rappresentazione, non può impegnarsi a indicare quanto sia probabile che piova.
In definitiva, quindi, possiamo dire che magari ha avuto in origine un significato ottativo. Questo significato è rimasto dominante fino agli inizi dell’Ottocento, ma negli ultimi due secoli magari ha acquisito il senso di “eventualità”.
Questo significato di “eventualità”, diverso dal significato di “probabilità” espresso da forse, è documentato nell’Ottocento da questi due esempi di magara nella letteratura dialettale milanese (Porta) e romanesco (Belli):
Là la se adatta anch con la bassa gent, / Magara la va a brazz col cangelee (Carlo Porta, La nomina del Cappellan 90. vv. 123-124, 1812-1820)
Se po’ striggne, e scommettesce magara, / che ttu ppe stammatina, brutto storto, / sei stato a ssentì mmessa a la Salara (Giuseppe Gioacchino Belli, La busscìa ha le gamme corte, 1833)
Aggiungiamo inoltre che l’eventualità indicata da magari può essere presentata come un’opzione tra altre, un caso estremo, una concessione, o persino un ordine attenuato, come nei seguenti esempi:
Magari un po’ debolina, magari me la sono immaginata, magari è solo un effetto ottico... Ma vi giuro che l’ho vista. [Web]
I film di oggi saranno stati approvati dall’alto tre, quattro, magari cinque volte. [“la Repubblica”]
Magari andrà per le lunghe, ma non finisce così. [“la Repubblica”]
Senti, questo teniamolo, magari vediamolo alle prime bozze! (Corpus LIP)
Sono questi attualmente gli usi più comuni di magari. E tutti prescindono dalla desiderabilità dell’azione focalizzata da questa parola.
Infine rispondiamo alla domanda sul possibile uso concessivo di magari, come nella frase
Ciascuna di queste vicende è, magari, piccola; ma la loro somma è un grande dramma
Nell’italiano contemporaneo, tale uso non è raro. In un corpus di 600 occorrenze di magari in contesti scritti e parlati, abbiamo rilevato che il 10% circa di queste corrisponde all’uso concessivo.
Si tratta, però, di un uso relativamente recente. Il primo esempio di uso concessivo di magari che ho trovato nella letteratura italiana risale al romanzo Malombra di Antonio Fogazzaro, pubblicato nel 1881. In quelle pagine, la fantesca Marta, che Fogazzaro definisce “petulante”, esclama:
Il mio signor padrone a me, magari, non dice niente; ma lui lo sa bene! (Antonio Fogazzaro, Malombra, 1881; a p. 423 dell’ed. Milano, Galli, 1896)
Per concludere, possiamo ribadire che, fino all’Ottocento, magari aveva significati molto limitati, confinati prima all’uso ottativo (in seguito divenuto raro), poi all’espressione di eventualità desiderabili. Nella prima metà del XIX secolo, è diventato più frequente con questo secondo significato e ha iniziato a comparire in contesti diversi, assumendo, verso la fine del secolo, anche valore concessivo.