DOI 10.35948/2532-9006/2023.29040
Licenza CC BY-NC-ND
Copyright: © 2023 Accademia della Crusca
Questo articolo prende spunto da una serie di domande poste al servizio di Consulenza linguistica dell’Accademia intorno al termine stravento: lettori di area piemontese, sorpresi di non trovare la voce, molto diffusa nella loro regione, nei più diffusi dizionari monovolume dell’italiano, chiedono se si tratti di un termine dialettale o di un tecnicismo; una lettrice catanese è invece stupita dal fatto che nella sua regione il termine abbia due significati opposti. Cercando di dare una risposta ai nostri lettori, siamo stati “rapiti” dallo stravento: quanto segue è il risultato a cui siamo approdati.
Stravènto è parola dall’origine “trasparente”: è infatti facilmente interpretabile come derivata da vento (latino ventum) e dal prefisso stra- (latino extra) che in questo caso indica, secondo l’interpretazione più diffusa1, ‘eccesso’, ‘superamento di un limite’; il termine si riferisce dunque a un vento con caratteristiche inconsuete che possono riguardare la direzione, ma anche l’intensità. Non si tratta di un caso isolato; si veda in proposito la lista di termini riferiti a fenomeni atmosferici di area veneta riportata in Mastrelli 1986: «stralèca “turbine, scionata, nodo o groppo di vento, temporale, tempesta”, stratèmpo “tempo cattivo, impetuoso, insolito”, stravènto “nodo o gruppo o buffo di vento, turbine, turbo, folata di vento”» (p. 54); «bellun. starlúc, stralúc “lampo”, e starlucár “lampeggiare”» (ibid., nota 41); «venez. stralèca “turbine, nodo di vento”» (p. 58, nota 58).
La voce, come segnalato da coloro che hanno scritto alla Crusca, non si trova nei dizionari sincronici contemporanei, né nei dizionari che costituiscono, per così dire, le basi della nostra lingua, ovvero le cinque edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca e il Tommaseo-Bellini. È però presente in due grandi opere lessicografiche abbastanza recenti, il GRADIT e il GDLI, con il significato di “folata di vento che spira di traverso; scroscio di pioggia che, spinta dal vento, cade obliquamente” e glossata come voce di area settentrionale. Entrambi i dizionari, GDLI e GRADIT, registrano anche la locuzione avverbiale a/di stravento “di traverso, obliquamente”.
Per il sostantivo, il GDLI dà come prima attestazione un passo dalla Piazza universale di tutte le professioni del mondo (Venezia, 1601, 1a ed. 1585), di Tomaso Garzoni “da Bagnacavallo” (nel Ravennate): “C’intervengono per legni dolci... le tavole communi da chiudere i straventi” (p. 871); lo stesso passo è riportato parzialmente s.v. anche nel Dizionario di marina della Reale Accademia d’Italia, questa volta con la glossa “Venez[iano]” e con il valore di “nodo di vento, folata di vento”. La seconda attestazione citata dal GDLI è in una lettera del milanese Gian Gaspare Beretti (1660-1736) pubblicata nell’Edizione nazionale del Carteggio di Ludovico Antonio Muratori (a cura del Centro di studi muratoriani di Modena, 46 voll., Olschki, Firenze, 1975-, vol. VI, 1983, p. 355) “Due finestre senz’ante, esposte a tutte le piogge e straventi”.
Le altre attestazioni del GDLI, comprese quelle rintracciabili sotto altre voci, sono tutte novecentesche. La più antica, s.v., è dalle Risultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (Firenze, Vallecchi, 1966, 1a ed. 1915) di Piero Jahier, genovese, ma di famiglia valdese originaria del Piemonte − “Li raggiungese [sic!] la passata d’acqua di stravènto” (p. 109); la seconda in ordine cronologico da A vento e sole (Torino, Soc. Subalpina Editrice, 1939) di Carlo Linati, comasco: “Quasi improvvisamente la notte ci fu sopra e con la notte l’urlo della pioggia e dello stravento che ci ricacciarono difilato sotto la tenda” (p. 153; GDLI s.v. ricacciare § 3). Il vocabolo compare anche in due testi del milanese Carlo Emilio Gadda: Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (Milano, Garzanti, 1958, 1a ed. 1957) – “Infuriando uno stravènto equinoziale de’ più strulli con pioggia in traverso, aveva mandato un calesse a ritirare quel ciarpame” (p. 175; GDLI s.v.) e La cognizione del dolore (Torino, Einaudi, 1963): “Percorsa da pedoni radi, la strada: e talora, in discesa, da qualche ciclista di campagna con bicicletta-mulo; o risalita dal procaccia impavido, arrancante sotto pioggia e stravento” (p. 216; GDLI s.v. procaccia1). Al luogo abbiamo poi una citazione dalla Centuria (Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1980, 1a ed. 1979) di Giorgio Manganelli, milanese: “Solo, quando piove a stravènto, si affaccia da una stradina, spera che l’uomo di gesso si sfasci, vada a pezzi, si sciolga, lui e le sue cacche ai piccioni” (p. 70; anche s.v. sciogliere § 72). Come si vede gli autori riportati nel dizionario sono tutti settentrionali e provengono da un’area che va dalla Liguria, alla Lombardia, al Veneto (stando al Dizionario di Marina), all’Emilia-Romagna.
Ampliando la ricerca alla forma non “italianizzata” stravent ed eventuali derivati, nei corpora disponibili online si rintracciano altre attestazioni, la più antica delle quali risalirebbe alla metà del XV secolo, in un testo in volgare cremasco. In esso è impiegata la locuzione a la straventa con il significato metaforico di ‘per la vita’ che sarebbe legato appunto a stravent “vento di traverso”, “turbine”, secondo l’interpretazione di Grignani 1987 (p. 107, nota 5). Occorre però precisare che nel Quattrocento in area lombarda è testimoniato anche l’aggettivo stravento ‘molto stretto’ che nulla ha che fare con il vento, ma piuttosto con il lat. vincīre ‘legare’ (cfr. Bianchi 1966, p. 16; Ceruti Burgio 1988, p. 105).
La seconda attestazione reperita è successiva alla Piazza del Garzoni: risale infatti alla seconda metà del secolo XVII ed è la prima di una serie di testimonianze in composizioni in dialetto di area settentrionale:
Ma gnam ò s’triga la tempesta, e ’Vent, / Da mèt in confusió Barachi, e Fili, / E dall’impét dell’Eigua, e dol Stravent / Pizi neghun lúm nò s’ púl tegnili; (Il Goffredo del Signor Torquato Tasso travestito alla rustica Bergamasca da Carlo Assonica, Appresso Nicolò Pezzana, Venezia, 1670, c. VII, ottava 123, vv. 1-4)
Nella nota 22 al testo la voce è spiegata come “vento gagliardo”.
Troviamo poi la voce nella commedia Il falso filosofo di Carlo Maria Maggi, datata 1698, e pubblicata nelle Comédie e Rime In Lingua Milanese (vol. II, Milano, per Giuseppe Pandolfo Malatesta, 1701), in cui, nella V scena del II atto, la loquace Tapella racconta al giovane Ardelio che un “usellin” le ha detto che tra sua sorella Ninfa e il consorte Pomponio “s’è levaa […] On tantin de zighera” (zighera ‘nebbia, nube’ qui vale metaforicamente ‘contrasto, dissapore’; cfr. Commedie e rime di Carlo Maria Maggi, vol. II, Milano presso Giovanni Pirotta, 1816, p. 58, nota 1). Alle parole di rincrescimento di Ardelio, Tapella ribatte:
Bisogna aver pazienza; hin cert stravent che no se ponn schivar. [… ci sono certe tempeste che non si possono schivare].
Ancora, nella trasposizione di versi del Tasso della Gerusalemme Liberata “Travestita In Lingua Milanese” (Milano, Appresso Gio. Batista Bianchi Regio Stampatore, 1772), da Domenico Balestrieri, stravent “traduce” l’originale turbo inusitato2; e all’inizio del XIX secolo, in un “brindisi” di Carlo Porta, è di nuovo associato alla scighera:
Che ve staga lontana la guerra, / Che i tempest, i stravent, la scighera / Vaghen tucc a pestass in brughera. (Carlo Porta, Brindes de Meneghin a l’ostaria per l’entrada in Milan de sova S.C. maistaa I.R.A. Franzesch Primm in compagnia de sova miee l’Imperatriz Maria Luvisa, 1810, in Carlo porta, Poesie, a cura di Dante Isella, Mondadori, Milano 1987)
A partire dalla metà del XVIII secolo si rintracciano attestazioni lessicografiche, la prima delle quali testimonia in area lombarda l’uso figurato della locuzione introdotta dalla preposizione de:
De stravènt. Per la non pensata. [=“Improvvisamente, inaspettatamente”; cfr. I, II e III Crusca, s.v. per] (Bartolommeo Pellizzari, Vocabolario bresciano e toscano: compilato per facilitare a’ bresciani, col mezzo della materna loro lingua, ritrovamento de’ vocaboli modi di dire e proverbj toscani a quella corrispondenti, in Brescia, Per Pietro Pianta Stampator Camerale, 1759, s.v. de)
Il sostantivo si trova anche nella Raccolta de’ proverbii, detti, sentenze, parole e frasi veneziane scritta tra il 1765 e il 1771 dal patrizio veneziano Francesco Zorzi Muazzo3.
Nei repertori dialettali ottocenteschi abbiamo testimonianze per le aree piemontese4, lombarda5, veneta6 ed emiliano-romagnola7; sul finire del secolo, per quest’ultima area, troviamo una sorta di riepilogo delle attestazioni negli Studj filologici, Strenna pel 1881 di B[artolomeo] Veratti (“Opuscoli religiosi, letterarj e morali” n. 25, gennaio e febbraio 1881):
STRAVENT. È termine non ispregevole del dialetto modenese e de’ finitimi. Fu dichiarato bene dall’autore del Vocabolario Reggiano-Italiano. «STRAVÈINT. Acquivento, Pioggia con vento (Bart. [“Opere del P. Daniele Bartoli”, (Ferrara 1608 - Roma 1685)]) Si dice della pioggia portata obliquamente dal vento.» – E dottamente dal Co. Gio. Galvani nel suo saggio d’un Glossario Modenese: «STRAVÉNT. Acquivento, Contravento. — Lo Stra-vento è per noi tra-vento colla s intensiva iniziale, cioè oltre vento, più che vento, in quanto che è ventipiovolo, od acquivento, ossia vento che accompagnando la pioggia non la lascia cadere a piombo, ma la strania di traverso e la rende più battente e impetuosa» – Se non che Contravento (parola non accolta ne’ Vocabolarj) parmi non potere indicar pioggia, ma soltanto o una opposta direzione del vento, o un vento che venga quasi a conflitto con altro producendo un moto composto e disordinato nell’aria. Un altro Vocabolarista che io stimo assai, spiega «STRAVENT Ventata, Turbine. » [Eusebio Meschieri]. Ma Ventata è semplicemente Colpo forte di vento, (e parmi debba essere di corta durata, se no, diventerebbe vero Vento) e può farsi sentire anche quando non piove: e Turbine è Tempesta di vento impetuoso e vorticoso; il quale anche può essere solo commovimento d’aria senza pioggia. Sicchè equivalenti al nostro stravént restano Ventipiovolo, e Acquivento; ed in vero è d’uopo che s’abbia nel medesimo tempo la pioggia ed il vento perchè quella cada obbliquamente, che è quel che noi diciamo Piovere di stravento, o Venir l’acqua di stravento.
I benevoli lettori di Toscana mi faranno grazia avvisandomi quale sia il termine proprio del loro popolo; e se fa differenza dalla maggiore o minore obbliquità ed impeto della pioggia. La risposta che mi sia data farò conoscere a’ lettori non toscani nella Strenna avvenire, se sarà in piacere di Dio ch’io possa compilarla. (p. 71 sg.)
Più recenti le testimonianze per la Liguria: abbiamo rintracciato un’unica attestazione a carattere lessicografico in Meteorologia popolare nel dialetto della Mórtola, frazione di Ventimiglia, di Renzo Villa (1979)8, in cui aiga de straventu viene “tradotto” con ventipiovolo (“Vento che mena pioggia, Vento da acqua, o Pioggia dirotta accompagnata da vento” in Tommaseo-Bellini). Nella Regione la voce è viva ancora oggi sia nei nomi di locali posti sul mare (c’è uno Stravento Café a Finale Ligure), sia nella produzione di versi in dialetto:
Resta de mi su pecin refiögiu / c’u s’aìssa de chi, dae mie raìxe... / e u ven ciù düru de cögiu, ciù tostu / du belu de mi a tegne u straventu: / L’è in ben... / Che ghe fasse prestu postu! Cramentu... [traduzione a fianco: Resta, sì, di me questo piccolo rampollo, che si alza da qui, dalle mie radici, e viene più duro di scorza, più tosto assai di me ad opporsi al vento che infuria. È un bene... che gli faccia presto posto! Accidentaccio!]. (Elio Maccario, Nuvembre (Non omnis moriar...), 2007)
Sul fronte della lingua (una lingua che presenta tratti regionali, come la locuzione in sguinzo), la prima testimonianza reperita, comunque successiva alla Piazza del Garzoni, si trova in un testo di area veneta della prima metà del XVIII sec., riconducibile all’àmbito agrario:
…alle quali finestre, e in particolar a quella da tramontana, si doverà far fare li suoi para pioggia di tavola di larese posti in sguinzo, acciò portino fuori della finestra la pioggia, e stravento; (Giacomo Agostinetti [trevisano], Cento, e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa, In Venezia, per Domenico Lovisa, 1749, Ricordo XXVII Del conservar le entrate, e prima li grani, pp. 91-98: p. 91)
Nello stesso secolo si trovano altre attestazioni relative al mondo agricolo: nella Nuova maniera di seminare e coltivare il formento9 del veneto Francesco Griselini e negli Elementi di agricoltura del signor Ludovico Mitterpacher [...]10, in cui il traduttore (il testo di Mitterparcher è in latino) Carlo Luigi Riccardi, “Torinese”, testimonia la diffusione della voce anche in Piemonte parlando del “così detto fra noi stravento, che potrebbe gettare l’acque contro i muri, e finestre”. In particolare per area l’area emiliano-romagnola, la voce è testimoniata anche in àmbito marinaro, come documentato in questa dichiarazione rilasciata al porto di Rimini:
41. Costituto di paron Gaetano Bianchini, conduttore del tartanone Perilli, e dei membri dell’equipaggio (14 unità compresi 2 ragazzi) Vincenzo Gennaro e Pietro Venturini (19 marzo 1787).
Partimmo con detto tartanone da questo porto venerdì dell’antecedente scorsa settimana 9 corrente verso le ore 12. Tutto il giorno e la notte andammo sempre a vela. Sabato mattina essendo stravento alla via di Veruda a mezzo mare circa lontano 30 miglia da terra calammo il ferro per assicurare la barca. Stemmo in detto luogo sempre sorti insino la domenica. (Maria Lucia De Nicolò, Rimini Marinara, I Istituzioni, società, tradizione navale, Secoli XIII-XVIII, Gradara, BCC Banca di Credito Coperativo Gradara, 2008, p. 205)
Nell’Ottocento la voce tende a uscire dai confini del linguaggi settoriali di origine (è presente in un testo pubblicato in una rivista milanese di architettura11) e già nella prima metà del Novecento, è impiegata, seppure in relazione a usi tecnici, anche in testi istituzionali; si parla per esempio di acqua penetrata “per stravento” in una sentenza del Tribunale civile di Como del 1910 pubblicata sulla rivista quindicinale di “dottrina, giurisprudenza, legislazione ed amministrazione ferroviaria” “Le ferrovie italiane” (anno 1910, p. 209); di “infiltrazione avvenuta per stravento” in un testo pubblicato nel “Bollettino ufficiale delle ferrovie dello Stato”12 del 1913. Probabilmente grazie alla sua presenza nel Dizionario di Marina, edito nel 1937, il termine è documentato anche in testi che riguardano la marina militare, sia di poco successivi all’uscita del dizionario, sia più recenti13.
L’uso sussiste ancora oggi nel lessico tecnico, nello specifico in un testo specialistico di architettura di area piemontese, anche in un titolo di paragrafo:
Protezione del supporto murario dall’acqua di stravento
Il problema del contributo che può offrire l’intonaco nella difesa dell’edificio dalla penetrazione della “acqua di stravento” (acqua della pioggia associata alla penetrazione del vento) si pone in modo singolare nel caso delle rappezzature realizzate nel quadro di un intervento di conservazione.
[…] Nei periodi di pioggia sulla fronte intonacata esposta allo stravento, si verrebbero ad evidenziare le parti rappezzate come più chiare o più scure a seconda dei casi. […]
A proposito delle situazioni di esposizione alla “pioggia di stravento” la vigente norma europea più volte citata…..
[…]
Il problema della difesa degli edifici dall’acqua di stravento è stato oggerto di importanti studi… (Paolo Scarzella, Marco Zerbinatti, Superfici murarie dell’edilizia storica. Ediz. italiana e inglese, vol. II, Firenze, Alinea Editrice, 2010, p. 246; nel testo le occorrenze sono 8 in tutto)
In area emiliano-romagnola il termine appare spesso nel linguaggio dei media online, in cui viene associato nei titoli a bomba d’acqua (Bomba d’acqua e stravento nella Bassa Imolese e a Medicina, danni all'agricoltura, Bomba d’acqua e stravento, alberi caduti, strade interrotte, auto danneggiate) o a pioggia battente: Pioggia battente e stravento, cadono alcuni alberi sulle strade14. E sicuramente il termine è vitale nella lingua dei pescatori della regione:
Nelle testimonianze rilasciate dai conduttori dei navigli per spiegare improvvisati cambiamenti di rotta o le manovre effettuate per fronteggiare venti contrari e mare in tempesta, il ricorso ad espressioni tipiche del loro gergo quali “ordine contrario”, “stravento”, “strasorno”, “mare in sconcerto” è una costante […]. (Maria Lucia De Nicolò, Microcosmi mediterranei Le comunità dei pescatori nell’età moderna, Bologna, CLUEB, 2004, Cap. VI: La pesca “a pelago” p. 168)
Lo stravento che soffia al Sud
Voce di area settentrionale, dicevamo. Eppure una delle domande rivolte al servizio di Consulenza arriva da Catania; in essa si dichiara: “noi siciliani usiamo spesso la parola stravento italianizzata da o stravientu”; quindi anche in Sicilia si conosce la forma come tradizionale. La domanda riguarda in particolare il significato: a parere di chi scrive, nell’Isola stravento potrebbe riferirsi sia a un luogo esposto al vento (coerentemente con dati finora esaminati), sia (al contrario) a un luogo riparato dal vento.
Per quanto riguarda la presenza della voce in area siciliana, la ricerca di stravientu / straventu nel corpus di Google libri, testimonia la voce già a metà del XVIII secolo, in un’opera lessicografica e indica un ‘luogo riparato dal vento’15; qualche decennio dopo un altro dizionario siciliano dà una definizione analoga, fornendo anche un’interpretazione etimologica basata sugli stessi componenti latini, extra e ventu(m), ma che dà a extra il valore di ‘fuori’, rovesciandone quindi il significato:
Straventu, posto avverbialm. col verbo mettirisi ec. a lu straventu, vale mettersi in un luogo riparato da’ venti, v. Biddossu. Da extra e ventu, exstraventu, straventu. (Michele Pasqualino, Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino, vol. IV, Palermo, Reale Stamperia, 1790)
La locuzione a lu straventu riportata da Pasqualino è presente anche nei versi, pressoché contemporanei, del poeta palermitano Giovanni Meli (1740-1815):
Urvicati ’ntra la nivi / Li capanni a lu straventu, / Si distinguinu a gran stentu / Pri lu fumu chi cc’è ddà. (Giovanni Meli, Uraniu canta, ottava 7, “Archivio Nisseno”, Anno VII, n. 13, luglio-dicembre 2013, pp. 59-61: p. 60)
Di recente i versi, coerentemente con la lessicografia coeva, sono stati così trasposti in italiano da Giorgio Santangelo in Poeti del Settecento (a cura di Raffaella Solmi, Utet Libri, 2013; senza indicazione delle pagine): “Sepolte nella neve, le capanne nei luoghi riparati dal vento, si distinguono a gran stento per il fumo che c’è là”. Mentre il poeta bellunese Antonio Lamberti (1757-1832), contemporaneo di Meli, li aveva così tradotti in veneziano:
Le capane nela neve / Xè sepolte dal stravento / Se le vede squasi a stento / Per el fumo che le fa (Poesie siciliane del celebre abate Giovanni Meli trasportate in versi veneziani da Antonio Lamberti, Belluno, Tipografia Tissi, 1818, p. 32)
Nel XIX secolo la lessicografia siciliana continua a registrare la voce con il valore di ‘luogo riparato dal vento’ (così per esempio nel Nuovo dizionario siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, Palermo, Tipografia del Giornale letterario, 1838-1844 e nel Vocabolario manuale completo siciliano-italiano, Palermo, presso la stamperia Carini, 18653, di Giuseppe Biundi), ma è documentata anche una diversa accezione:
A lu stravèntu, posto avverb. all’aria fredda ed aperta. (Rosario Rocca, Dizionario siciliano-italiano compilato su quello del Pasqualino; con aggiunte e correzioni, Catania, Giuntini, 1839, p. 24)
Altri autori (Antonino Traina, Sebastiano Macaluso Storaci, Vincenzo Nicotra)16 danno per la locuzione avverbiale il valore di ‘all’aria aperta (fredda)’; inoltre sia Macaluso Storaci sia Traina, nel Vocabolarietto, registrano per il sostantivo due diversi (e quasi opposti) significati: ‘luogo difeso dal vento’, ma anche “riscontro o altro luogo aperto in casa onde spiri vento” (Macaluso Storaci) e “luogo di riscontro17 o aperto all’aria nella casa” (Traina). Anche testimonianze lessicografiche più recenti18 e attestazioni in rete19 mostrano un’analoga situazione.
Nel V volume del Vocabolario siciliano20, curato da Salvatore Trovato, troviamo, al lemma straventu, un’articolata serie di significati corredati da fonti scritte, tra cui i repertori già citati, e da eventuali testimonianze recenti di parlanti locali, che, se presenti, riportiamo:
Dalle testimonianze fornite dal web sappiamo poi che nel Catanese «“U’ straventu” è un vento di forte intensità, con raffiche molto potenti, che provoca nell’immediato lacrimazione agli occhi e mal di testa» (Mascalucia DOC, 2017), che a Trapani Stravento, o meglio StraVento, è il nome di un ristorante che si affaccia sul mare in un luogo in cui il vento è “l’elemento dominante” secondo lo chef siciliano che lo ha creato22.
Il termine, testimoniato spesso nella locuzione avverbiale a lu straventu e varianti, oltre a non avere significato univoco, non appare diffuso sull’intero territorio siciliano o almeno in subaree di estensione discreta (non ci sono attestazioni nell’AIS per la regione, né lo si trova nel repertorio ricavato dalle inchieste dell’Atlante linguistico siciliano relative alla meteorologia23), ma piuttosto risulta distribuito in modo discontinuo in località costiere o poco lontane dalla costa: potrebbe forse essere un elemento “arrivato dal mare”?
Situazione analoga a quella siciliana troviamo in Calabria; anche in questo caso la prima attestazione reperita è di carattere lessicografico, più tarda rispetto a quella relativa alla Sicilia:
Stravièntu, solatio: *extraventus (Francesco Scerbo, Sul dialetto calabro: studio, Firenze, Tipografia Coppini e Bocconi, 1886, Rist. anast. Bologna, Forni, 1985, p. 144)
Anche in questo caso, il valore semantico è diverso da quello tipico dell’area settentrionale e coincide con alcune testimonianze di quella siciliana. Stravientu per ‘luogo riparato dal vento’ è testimoniato nella prima metà del Novecento per la provincia di Catanzaro da Gerhard Rohlfs nel suo Dizionario dialettale delle Tre Calabrie (Halle Saale - Milano, Niemeyer - Hoepli, 1932-1939). Nello stesso periodo abbiamo conferma del medesimo significato anche in un detto raccolto a Casole Bruzio (Cosenza):
Quannu chiova e mina vientu, / amaru iu, cumu aju ’e fa’? / e nu mintu a stravientu (biscondola), / lassa chiovere o nivicà... (Luigi Prato, Gente e cose di Calabria, “Archivio per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari italiane”, marzo 1940, XVIII, pp. 41-52: p. 51)
Prato glossa stravientu con biscondola, voce di area toscana (cfr. GRADIT s.v.) registrata nel Tommaseo-Bellini per “Luogo non piano ed aperto, ma piccolo spazio di terreno che abbia dietro o casa o ciglione che ripari dal vento e col riflesso della luce ne renda più vivo il calore”.
Abbiamo poi una testimonianza recente della stessa opposizione già riscontrata in Sicilia, nel Dizionario dei dialetti della Calabria meridionale di Giuseppe Antonio Martino e Ettore Alvaro, (Vibo Valentia, Qualecultura, 2010) in cui stravèntu è sia “posto al riparo dal vento”, a Gasperina CZ, non lontano da Soverato24, sia “luogo esposto al vento”, a Melicuccà RC.
Risalendo la costa a ovest, abbiamo solo due testimonianze in area campana, entrambe in componimenti poetici, allo stato attuale delle nostre ricerche rimaste pressoché isolate25; la prima si trova in un componimento in dialetto riconducibile all’aera salernitana in cui la locuzione pu’ straviento pare interpretabile come ‘controvento’ o anche ‘di traverso’:
CHISTO... […] chisto Ca’ t’accoglie e te porta inda u core, chisto Ca’ se odia se vive e se more, chisto Ca’ cammina ma sempre liento come nu viecchio che saglia pu’ straviento, chisto […], chisto è u paisi mio quanno ge stao e quanno stao luntano, […] (Nicodemo Angelo Hardeghen, Narrativa, poesia dialettale sanzese [Sanza è in provincia di Salerno])
La seconda, nella forma stravient, appare nei versi di Silvio Canapè (“Quant’acqua ven’a ciel / stammatina /scenn’a stravient” ...Va murenno pe sta via, vv. 8-10, poetare.it, 11/1/2018)26.
Per il versante orientale abbiamo un’attestazione nel Vocabolario dei dialetti salentini: Terra d’Otranto di Gerhard Rohlfs (Muenchen, Beck, 3 voll., 1956-1961, vol. II, N-Z, 1959; ristampa Galatina, Congedo, 1976) che attesta stravindǝ per Taranto, con il significato “tutto marinaro” ma, per quel che ci risulta, unico, di “fune che mantiene l’albero di una paranza”27. Lo stesso Rohlfs aggiunge “identico al ven. stravento ‘nodo di vento’”.
Il collegamento (nelle due direzioni, ascendente e discendente) attraverso il mare tra le coste pugliesi e Venezia, e in generale il Nord (lungo la cosiddetta “linea adriatica”) è del resto ampiamente studiato e documentato fin da testi antichi; per quanto riguarda lo specifico marinaresco si può consultare Valente 1997 (in cui stravento peraltro non è registrato).
Più a nord troviamo il termine, nella forma štravèndǝ, per Loreto Aprutino, centro collinare nell’entroterra di Pescara, con il significato di “vento gagliardo” nel Dizionario abruzzese e molisano di Ernesto Giammarco (Roma, Edizioni dell’Ateneo, 4 voll. 1968-1979). Si potrebbe quindi ipotizzare una “discesa” lungo il mare Adriatico della parola che ha toccato in modo discontinuo la costa, e che è arrivata anche alla Calabria e alla Sicilia, penetrando saltuariamente all’interno e sviluppando talora significati opposti.
Anche dove il mare non si vede si possono prendere le cose di stravento
Oltre ad essere approdata sulla costa, la voce sembra aver raggiunto anche porzioni di territorio più interne: in Umbria, regione priva di affaccio sul mare, ritroviamo la locuzione a stravento a Perugia nel significato di “nel senso del vento”28; nella stessa regione, a Città di Castello (PG), è testimoniato anche di travento, con il valore di ‘di traverso, obliquamente’ analogo a quello diffuso in area settentrionale per a/di stravento:
Macché! seguitava a correre via di travento; e quando immaginavate che cascasse, egli invece si raddrizzava e si fermava, ridendo del proprio ardire e del vostro spavento. Eppoi ricominciava... (Romano Maurizi [Gualdo Tadino 1892-1982], Benvenuto Il più straordinario uomo del Cinquecento, Milano, Ceschina, 1938, p. 11)
E questa è la motivazione che si dà oggi per il nome Travento di un vino prodotto nel Perugino:
In dialetto perugino ‘Travento’ significa ‘che va di traverso’. Nome dovuto al fatto che la vigna è orientata in senso opposto rispetto alle altre della cantina, dunque diversamente esposta sia al sole che ad eventuali piogge e grandini. Ogni anno, quindi, un’ ‘interpretazione’ tutta personale dell’annata. (Travento - Montecorneo 570)
Nello stesso territorio è attestata anche la locuzione pigliare il travento per “Prender l’aire, l’impeto della caduta” nella Storia di Città di Castello di Giovanni Magherini Graziani29 e nell’area della Toscana prossima al confine umbro, a Cortona, stravento è presente in un componimento pressoché coevo con il significato di ‘impeto, slancio’:
Quela bocca quel’eseno crede / L’entratura d’un gran bastimento, / E ’ntul’ atto, de cuore, de fede
Ce se butta con grande stravento: / La balena s’archiude, s’arsabbia, / È ’l Torgnese ucello de gabbia. (Quattro sere de battitura a le spalle de Maranguelon da Tuorgna [Francesco Chiericoni, Cortona 1818 - Vernazzano 1893]; cfr. Levi Lucaccini, Letteratura dialettale cortonese dal Settecento ai nostri giorni, Edizioni Contemporanea, Arezzo, 1930, p. XIX], Cortona, Tip. di R. Bimbi, 1863, p. 35)
Ancora per Cortona il verbo transitivo straventare per ‘lanciare, gettare con impeto’ è testimoniato tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo in due luoghi della Cortogna aliberèta di Francesco Moneti (1635-1712): “Adosso a glie’ a un tratto se straventa, / Comente al lardo un gatto quando ha fème” (I, vv. 369-370); “Volea straventarglie giù el morteo” (II, v. 83)30. E lo stesso verbo definito come “scaraventare, lanciare” è presente nelle Marche, nell’area attraversata dal fiume Metauro31 – che nasce in territorio toscano, al confine con l’Umbria, e si getta in mare non lontano da Fano –, e in Umbria sul lago Trasimeno32. Come vediamo straventare viene glossato con scaraventare; e i due verbi non sarebbero solo sinonimi, ma anche legati etimologicamente; a proporre l’ipotesi è Napoleone Caix, per il quale il secondo discenderebbe dal primo33; un legame tra i due verbi è riproposto, benché con diversa interpretazione del rapporto reciproco, in Mastrelli 1986 e ritenuto possibile anche dall’Etimologico.
Resta comunque difficile definire in modo certo i rapporti tra stravento, straventare, travento e traventare, forme probabilmente imparentate, delle quali è però arduo ricostruire il percorso. Non ci sembra comunque del tutto da escludere la possibilità della discesa lungo la costa e la successiva penetrazione dalle Marche all’Umbria, alla Toscana, del sostantivo stravento o della locuzione a stravento, da cui straventare e poi traventare. Per completare il quadro dobbiamo anche considerare l’esistenza di un verbo straventare, intransitivo, che, con il significato di ‘piovere con vento’, è documentato, a quanto ci risulta solo a partire dall’Ottocento, almeno in area veneta:
Vi ricorderete di aver veduto le tante volte, quando dopo il temporale cadono grossi acquazzoni, che le gocce frangendosi in minutissime parti contro il terreno, contro i muri se straventa, e contro i coperti delle case, formano un fumo. (La nebbia studiata nei suoi rapporti con l’agricoltura e l’igiene, “Il Raccoglitore. Pubblicazione annuale della Società d’incoraggiamento nella provincia di Padova”, vol. III, 1854, pp. 198-204: p. 200; anche in “Il Coltivatore: nuovo giornale di agricoltura, tecnologia, e Commercio”, vol. III, 1854, pp. 92 e 102: p. 92)
Cercando di tirare le fila
Concludendo, possiamo ipotizzare che il settentrionale stravent, attestato almeno dal XVII secolo, radicato nei dialetti della Liguria, del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia-Romagna, sia approdato, forse già nella forma italianizzata stravento, tramite contatti avvenuti via mare, sulle coste di Abruzzo, Puglia, Calabria, Sicilia e Campania, già a partire dal XVIII secolo. In questi territori il termine (con le varianti štravèndǝ, stravindǝ, stravièntu, stravèntu, stravièntǝ) ha mantenuto in alcuni casi il significato originale di ‘(turbine di) vento impetuoso’. In altri casi, in particolare in alcune aree della Calabria e della Sicilia, forse passando dal linguaggio dei marinai-pescatori a quello dei pastori dell’entroterra, ha subito un’evoluzione del significato che, attraverso i valori di ‘(luogo) all’aria aperta’ e poi anche di ‘(luogo esposto) al sole’ (indicanti una posizione confortevole), potrebbe esser giunto ad assumere un valore opposto all’originario: ‘(luogo) al riparo dal vento’.
Nelle aree marchigiana, umbra e toscana orientale stravento, spesso nella locuzione a/di stravento, ha assunto il valore di ‘impeto, slancio’, non incoerente con il significato della locuzione con funzione aggettivale diffusa al Nord in sintagmi come neve/pioggia di/a stravento. Nelle stesse aree sono attestati anche il sostantivo travento e la corrispondente locuzione di travento, con valori analoghi, nonché i verbi transitivi straventare e traventare, con il valore di ‘scagliare con impeto’, analoghi a scaraventare34. Per questo gruppo di voci si potrebbe ipotizzare sia una penetrazione che dalla costa marchigiana si proietta verso l’interno, sia una penetrazione via terra, attraverso i passi della dorsale appenninica, come riscontrato in altri casi.
Nota bibliografica: