DOI 10.35948/2532-9006/2025.39486
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Lettori e lettrici chiedono l’origine della locuzione lavorare / lavoro in nero, e se sia più corretto dire lavoro in nero o lavoro a nero.
I nomi dei colori – o cromonimi – si prestano spesso a rappresentare in modo efficace nella vita quotidiana valori simbolici: basterà pensare a espressioni come bandiera bianca, cartellino giallo, zona rossa, pollice verde. Per quanto riguarda il nero, il colore è in genere associato a una connotazione negativa che, come ha notato Rita Fresu (Colori, nomi di, in Enciclopedia dell’italiano, diretta da Raffaele Simone, 2 voll., Roma, Istituto dell’Enciclopedia, 2010-2011, vol. I, pp. 235 sg.), si riflette in locuzioni e modi di dire che “esprimono una valutazione morale (libro nero, lista nera, pecora nera)” o che alludono “alla sfera dell’illegalità (borsa nera, lavoro nero, mercato nero, toto nero), della sventura e del pessimismo (giornata nera, umore nero, vedere nero), della crudeltà e dell’orrore (anima nera, leggenda nera, uomo nero), fino alla sciagura e alla morte (cronaca nera, fine settimana nero)”.
L’origine della locuzione lavoro nero è dunque da ricercare nell’associazione simbolica tra il colore nero e “la sfera dell’illegalità”: più difficile è appurare la data della prima attestazione e il contesto storico e sociale che ne ha sollecitato l’ingresso nell’uso.
A differenza di altri modi di dire “colorati”, lavoro nero è piuttosto recente. Il Dizionario di Parole nuove 1964-1984 di Manlio Cortelazzo e Ugo Cardinale (Torino, Loescher, 1986, s.v. lavoro nero, p. 101) lo definisce come il ‘lavoro svolto in condizioni di sfruttamento senza tutela legislativa e sindacale’ (con prima attestazione il romanzo Fantasmi italiani di Alberto Arbasino [Roma, Cooperativa Scrittori, 1977]: “Le tante possibilità di lavoro nero e di drittate in Italia”) e come sinonimo di lavoro sommerso (“Insomma, il lavoro sommerso o lavoro nero diventerebbe un richiamo”, dalla “Repubblica” del 20 novembre 1979), individuando un possibile precedente nel “tedesco Schwarzbeit (con i suoi derivati Schwarzbeiten ‘lavorare senza tutela e senza il versamento di contributi assicurativi e sindacali’ e schwarzarbeiter ‘lavoratore nero’), da tempo d’uso corrente”.
Anche il DELI s.v. nero data la locuzione al 1978 ma sottolinea che lavoro nero “deve aver avuto una precedente vita sotterranea, perché corrisponde al francese travail noir, in uso nella stampa fin dalla seconda guerra mondiale e probabilmente di ispirazione tedesca”, almeno stando agli studi di Victor Riederer (Der Lexikalische Einfluss der Deutschen im Spiegel der französischen Presse zur Zeit des zweiten Weltkrieges, Bern, A. Francke, 1955, pp. 105-106).
Del resto l’uso di nero associato alla sfera dell’illegalità risale in italiano almeno all’inizio degli anni ’40 del Novecento: borsa nera nel senso di ‘contrattazione clandestina di valuta estera, titoli e simili’ è attestato appunto “verso il 1940”, anche qui come probabile calco dal tedesco schwarze Börse (sempre il DELI, s.v. borsa2); già nel 1942 la locuzione era passata a significare il ‘commercio illecito di generi di cui vi è penuria, specialmente in tempo di guerra’, sovrapponendosi al sinonimo mercato nero, in via di diffusione in italiano nello stesso periodo. Lo annota Bruno Migliorini (Parole nuove. Appendice di dodicimila voci al Dizionario moderno di Alfredo Panzini, Milano, Hoepli, 1963, p. 39), che registra tra i derivati il parodico borsaro nero accanto a borsista nero, borsanerista, borsanerismo.
Le prime occorrenze di lavoro nero nel senso di ‘lavoro non contrattualizzato’ sono probabilmente da associare al dilagare della borsa e del mercato nero già durante la prima guerra e poi più decisamente durante la seconda: stando ad Alberto Menarini, che scrive nel 1951 un repertorio di Profili di vita italiana nelle parole nuove (Firenze, Le Monnier), borsa nera e mercato nero sono “modi usati indifferentemente per indicare tanto il commercio illecito o clandestino (specialmente quello di generi alimentari) quanto il luogo dove esso si svolge”. E prosegue: “Guerra e dopoguerra hanno dato origine e sviluppo a questa piaga [...]. Fenomeno comune a tutte le guerre, il mercato nero ci tormentò anche durante quella del 1915-18: solamente, in quel tempo si chiamava bagarinaggio” (p. 116).
Grazie agli archivi dei giornali online, possiamo infatti retrodatare le prime attestazioni di lavoro nero agli anni trenta e precisamente al 2 giugno 1932, quando il “Corriere della sera” riporta la notizia di una riunione dell’Istituto internazionale dell’artigianato a Parigi dove «sono state gettate le basi per il lavoro futuro con particolare riguardo al credito artigiano, al cosiddetto “lavoro nero”, al cooperativismo artigianale»: che le virgolette sottintendano un nuovo significato del composto risulta chiaro dal fatto che nelle occorrenze precedenti (dal 1908 in avanti) lavoro nero non è virgolettato ed è usato per indicare impieghi con scarso guadagno, miserabili; nelle occorrenze successive invece è sempre virgolettato e talvolta glossato (21 novembre 1933: un’assemblea degli idraulici milanesi è convocata per «impedire il deprecato “lavoro nero” e ogni riprovevole forma di speculazione in tale campo»; 10 agosto 1935: i parrucchieri scioperano contro «la chiusura festiva», che «favorisce il cosiddetto “lavoro nero”: parrucchieri improvvisati che danno le loro prestazioni a domicilio»). Più netta una notizia della “Stampa”, forse perché relativa alla cronaca estera:
La polizia continua la sua azione di repressione della piaga del cosiddetto “lavoro nero”, l’impiego cioè di operai senza denunzia del lavoro continuanti a riscuotere la sovvenzione di disoccupazione e ciò in complicità coi datori di lavoro i quali ne approfittano per pagare il lavoro al di sotto della tariffa. (12/9/1933)
È probabile che in quest’accezione l’ingresso nell’uso di lavoro nero abbia anche risentito dell’influsso del tedesco, come ritiene il DELI sulla scorta delle note di Giuseppe Vidossi sulla diffusione in questa lingua di composti con nero:
Il termine borsa nera ritorna, com’è noto, in gran parte delle lingue europee: marché noir, bourse noire, black market, mercado negro, μαυρηαγορά, Schwarzhandel ecc. Credo che il centro d’irradiazione sia da cercare in Germania. Nel gergo tedesco Schwärze, cfr. il nostro bruna, significa ‘notte’; da questo, secondo gli etimologisti, schwärzen, propriamente ‘introdurre di notte’, ‘contrabbandare’, e poi schwarz arbeiten, sch. fahren, sch. hören per ‘lavorare senza la debita autorizzazione, viaggiare senza pagare il biglietto, ascoltare la radio senza essere abbonato alle radioaudizioni’, insomma agire con frodo. Schwarzhandel, mercato nero, è della stessa numerosa famiglia. (“Lingua nostra”, VIII, 1947, p. 118)
Le locuzioni preposizionali lavoro in nero e lavoro al nero sono di conio più recente e di diversa fortuna: sempre stando all’archivio online del “Corriere” la prima, formata sulla serie lavoro / lavorare in banca, in fabbrica, in squadra ecc. è attestata dal 1986 e conta a oggi circa 400 occorrenze, in crescita; la seconda, che segue il modello lavoro / lavorare a catena, a cottimo, a domicilio ecc. è attestata dal 1995 ma con appena 3 occorrenze e perlopiù in contesti scherzosi, come “No al lavoro nero. Piuttosto lavoro al nero, al giallo, all’extracomunitario” (“Corriere della Sera”, 9/10/1998). Del resto in questi ultimi decenni lavoro nero è stato affiancato anche da sinonimi come lavoro non contrattualizzato o lavoro sommerso, con iniziative del governo volte all’emersione o al riallineamento attraverso lo strumento dei contratti di emersione; un repertorio ricchissimo di nomi segue poi la crescita della flessibilità e della disoccupazione in Italia: dal lavoro temporaneo al lavoro a chiamata (anche lavoro intermittente o job on call), al lavoro ripartito (job sharing), occasionale, accessorio, in frantumi; la “deregulation del mercato del lavoro [...] moltiplica le tipologie di contratto: si creano così le figure del dipendente frazionato, dell’operaio-squillo, del lavoratore usa-e-getta, del lavoratore in affitto, dell’interinale a vita, del forzato del lavoro interinale” (Andrea Bencini, Beatrice Manetti, Le parole dell’Italia che cambia, Firenze, Le Monnier, 2005, p. 282). Oggi possiamo considerare occasionalismi la maggior parte di queste denominazioni, di cui il Jobs Act del governo Renzi nel 2014 ha ridotto la varietà e il colore introducendo il lavoro a tutele crescenti o lavoro a termine a-causale (contratto a tempo indeterminato che prevede un indennizzo in caso di licenziamento senza giusta causa).