Temi di discussione

La lingua italiana in una prospettiva di genere

  • Claudio Marazzini
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2022.17705

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Copyright: © 2022 Accademia della Crusca



L'Accademia della Crusca è sempre stata attenta alle questioni di genere nel linguaggio, fin dai tempi delle Presidenze di Francesco Sabatini e Nicoletta Maraschio. Mi limiterò qui a citare solo eventi avvenuti durante la mia Presidenza. Nel 2016, nella serie di libretti pubblicati dalla Crusca in collaborazione con il quotidiano "la Repubblica", fu inclusa una trattazione sul linguaggio di genere intitolata Sindaco e sindaca, a cura di Cecilia Robustelli. Nel 2017 fu allestita una seconda tiratura del libretto, sostanzialmente identica, ma con diffusione più ampia. Nello stesso 2017, fu ospite in Accademia, in visita ufficiale, l'allora Presidente della camera, Laura Boldrini. Il linguaggio di genere fu il tema principale di quella giornata. Ancora nel 2017, l'Accademia della Crusca pubblicò un libro intitolato «Quasi una rivoluzione». Femminili di professione e cariche in Italia e all'estero. Il libro era nato da un'idea dell'accademico Vittorio Coletti, accolta dal nostro Direttivo. Avevamo bandito una borsa di studio, mediante concorso pubblico, per svolgere una ricerca sulla denominazione delle professioni e delle cariche non solo in Italia, ma in un quadro internazionale. Vincitore della borsa fu Giuseppe Zarra, oggi professore associato di Linguistica italiana.

Nel 2021 pubblicammo gli atti del convegno organizzato in Crusca nel 2018 dalla Rappresentanza italiana della Commissione europea. In quell'occasione, che oserei definire storica, si riunirono a Firenze, nella Villa medicea di Castello, la nostra sede, i rappresentanti di altre due grandi accademie europee, la Real Academia Española e l'Academie française. Per l'Accademia francese, la rappresentanza fu al massimo livello, con Madame Helène Carrère d'Encausse, secrétaire perpetuel dell'accademia d'oltralpe. L'argomento dell'incontro riguardava i problemi linguistici in quel momento d'attualità nelle rispettive nazioni, Francia Spagna e Italia, e il tema del linguaggio di genere fu trattato da tutti i relatori.

Infine, il 24 settembre del 2021, l'accademico Paolo D'Achille, che dirige la consulenza dell'Accademia della Crusca, ha firmato un intervento intitolato Un asterisco sul genere, dedicato non solo all'asterisco, ma anche all'uso dello schwa.

Questi sono stati i momenti in cui ufficialmente l'Accademia si è espressa a proposito di linguaggio di genere, per non citare i corsi di vario tipo, prima di tutto quelli organizzati con l'Ordine dei giornalisti della Toscana, in cui il tema del linguaggio di genere è emerso più volte. Al di fuori di questi interventi ufficiali, le voci degli accademici si sono fatte sentire con opinioni di natura personale, assolutamente legittime, ma da distinguere rispetto alla funzione pubblica dell'Accademia della Crusca. Le polemiche e le ricadute giornalistiche non sono mancate. In molti casi si è trattato di un confronto di idee, in qualche occasione si è fatto ricorso all'elemento polemico nello stile dei social, qualche volta all'ironia, coinvolgendo in maniera superficiale il nome stesso dell'Accademia. Citerò a questo proposito due casi analoghi, ma nati da atteggiamenti di segno opposto. Nel 2015, la nota conduttrice televisiva Luciana Littizzetto, in un intervento intitolato "Il pensiero debole" in cui prendeva nettamente le distanze dai femminili di cariche e professioni che la Crusca aveva dichiarato legittimi, concludeva ironicamente che "per parità di genere" la nostra accademia avrebbe dovuto essere chiamata "l’Accademia della Crusca e del germe di grano". Recentemente, la scrittrice Michela Murgia ha lanciato una petizione paradossale e ironica, ideata come controcanto a un'altra petizione, del linguista Massimo Arcangeli, che cruscante non è, ma firmata da vari intellettuali di fama, e, a titolo personale, anche da alcuni accademici della Crusca e dallo stesso presidente. La contropetizione si conclude attribuendo comicamente la proposta al "Senato dell'Accademia dei Cinque Cereali". Ho citato questi due casi di deformazione del nome della nostra Accademia non solo per mostrare come l'uso distorto del nome di un vero o presunto avversario, o di uno che non la pensa allo stesso modo, sia pratica corrente su fronti diversi, ma anche per far notare come un'istituzione prestigiosa possa essere messa sotto accusa per motivi opposti, da chi si lamenta del suo presunto atteggiamento conservatore, e da chi viceversa la ritiene colpevole di eccessive fughe in avanti. Ci si può trovare tra due fuochi. Questo non è certo di per sé un problema, anzi può essere segno di equidistanza e di equilibrio. Del resto è evidente che le questioni di genere, nate in Italia con gli interventi di Alma Sabatini dal 1986, non sono risolte. Risale al 1987 il più celebre libro di questa insegnante di inglese, nutrita di cultura anglosassone, lettrice di italiano nell'Università del Michigan, poi attiva nell'Università di Perugia, militante nei movimenti femministi, dal 1984 nella Commissione Nazionale per la realizzazione della Parità tra uomo e donna istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri al tempo del governo Craxi. Il risultato della sua militanza fu il libro Il sessismo nella lingua italiana, scritto in collaborazione di Marcella Mariani, stampato dall'Istituto poligrafico dello Stato. L'anno precedente, nel 1986, erano state anticipate le sue Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana. Per la scuola e per l'editoria scolastica, a firma della sola Alma Sabatini, la quale morì prematuramente nel 1988, quindi non molto dopo questi interventi.

Per molti anni il quadro teorico è rimasto sostanzialmente quello esposto nei due libri citati. Solo di recente la situazione si è complicata per l'inserimento tra i temi del linguaggio di genere delle nuove rivendicazioni che hanno esteso le proposte di innovazione, cercando l'inclusività in uno spazio che mira a superare l'opposizione binaria di maschile e femminile. L'asterisco e lo schwa sono appunto il risultato di questa nuova frontiera di rivendicazioni che hanno un impatto sul sistema linguistico, quelle che, appunto, hanno attirato l'attenzione dei media negli ultimi mesi. Se ne è discusso in un convegno a cui hanno partecipato collaboratori storici della Crusca, Cecilia Robustelli, Marco Biffi, accanto all'accademico Federigo Bambi.

La realtà linguistica, nella concretezza dell'uso, a trentacinque anni dall'intervento di Alma Sabatini, mostra ancora notevole varietà. Chi era presente all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università di Firenze, lo scorso 21 febbraio, avrà notato la varietà delle forme allocutive con cui ci si è rivolti alla professoressa Cristina Messa, "ministra", "ministro", "signora ministro". La rappresentante degli studenti ha rivendicato l'uso del femminile "universale", come antidoto al maschile sovraesteso, quello che io, con terminologia, che ritengo più fredda, quindi più adatta a un contesto scientifico, preferisco chiamare "maschile non marcato". L'incipit della rappresentante degli studenti ha avuto un innegabile effetto-sorpresa, ma è stato necessario un commento di natura metalinguistica che ne chiarisse il significato, che altrimenti sarebbe uscito stravolto. Il commento metalinguistico è la prova dell'esistenza di un sistema a cui non si può sottrarre nemmeno chi intende contestarlo. Il seguito del discorso non ha conservato una costante coerenza rispetto alle premesse metalinguistiche. Ho annotato espressioni come "siamo l'università con meno laureati", "obiettori di coscienza", "non vogliamo restare neutri", "ci fanno sentire inadeguati", tutti casi in cui è venuto meno il femminile "universale". Non mi stupisco di queste oscillazioni, seppure applicate a un oggetto del contendere che potrebbe essere considerato risolto fin dagli anni '80 del secolo scorso, usando i suggerimenti di Alma Sabatini, la quale consigliava la duplicazione, nella forma "studenti e studentesse", ormai stabilmente in uso da parte di quasi tutti gli oratori pubblici. Nemmeno coloro che impiegano un espediente così semplice sfuggono a problemi di coerenza: nel programma elettorale del sindaco della mia città, accanto alla regolare reduplicazione "cittadini e cittadine", "studenti e studentesse", "lavoratori e lavoratrici", ho trovato casi di maschile non marcato, come "i commercianti" o "i professionisti". Si direbbe che la sensibilità al genere oscilli in relazione alla fiducia maggiore o minore riposta nelle categorie professionali.

Il tema della coerenza a me pare tra i più interessanti, anche per distinguere tra stile, afflato retorico, e proposte linguistiche di sistema. Del resto, a proposito di contraddizioni, abbiamo sentito ripetere molte volte che lo schwa era un "esperimento", salvo poi imbatterci in questo esperimento condotto in un genere testuale come il verbale di concorso, che noi linguisti abbiamo sempre riconosciuto come il più distante dalla sperimentazione. Proprio qui, però, abbiamo visto la coerenza venir meno. Nel suo intervento sul "Corriere della Sera", in risposta all'attacco di Gian Antonio Stella, l'estensore del verbale ha candidamente ammesso l'incoerenza nell'uso degli articoli maschili che si combinavano con i sostantivi modificati dallo schwa. Ma il problema della coerenza avrebbe dovuto essere posto anche per gli aggettivi e i pronomi. Tuttavia è facile vedere che la coerenza non conta, perché l'uso occasionale dello schwa rappresenta soprattutto un elemento di forte valenza simbolica, un segno di identità e appartenenza che vale perché denuncia la rottura del sistema grafico e fonetico, indipendentemente dal risultato. Tanto più quando (come ha fatto il prof. Maurizio Decastri) lo si difende mediante il confronto con la varietà e storicità del lessico, magari citando non troppo opportunamente l'ottocentista Rigutini, che parlava di parole nuove, non di morfologia. Qualunque linguista sa che la storicità del lessico è cosa diversa dalla stabilità delle strutture morfologiche di una lingua. Il pane italiano viene dal panem latino, ed è la stessa parola che abbiamo in italiano, in spagnolo, in francese, in portoghese, in provenzale, in catalano, oltre che nei dialetti italiani. La parola è la medesima, eppure queste lingue NON sono il latino, e ognuna di esse è una lingua diversa dalle altre: la parola è la stessa, ma cambia la morfologia, per la perdita dei casi del latino, ed è cambiata la fonetica. Morfologia e fonetica offrono le costanti che identificano la struttura grammaticale. L'immissione di nuove parole, irrilevante rispetto alla struttura della lingua, non muta e non può mutare questo quadro. I cambiamenti sostanziali, invece, hanno inciso e incidono proprio su quel livello in cui vogliono intervenire ora i riformatori che lanciano il sasso e nascondono la mano, negando l'intenzione di scardinare l'italiano; e tuttavia si accingono davvero a scardinarlo, certamente in buona fece, senza rendersi conto del peso di ciò che propongono. Giacomo Devoto avrebbe parlato a questo punto della lingua come istituto, con un richiamo al diritto, diritto che a sua volta non si riduce alla proliferazione dei diritti, ma armonizza l'incarnarsi della lingua nella storia, per cui il mutare, che pure esiste, è sottoposto a un confronto con la società nel suo complesso, e non solo con le punte avanzate delle rivendicazioni, talora giuste, talora elitarie, isolate o provocatorie, pur se comprensibili nelle loro ragioni fondamentali.

Da parte mia, invito a tenere conto delle opinioni espresse da tre studiose, tre donne. La prima è Cecilia Robustelli, che ha scritto sul tema un articolo per "Micromega". Le altre due sono Elena Lowenthal, che ha tracciato la storia dello schwa in un libro pubblicato nel 2021 per la Nave di Teseo. La terza è Cristiana De Santis, in un bell'intervento nel sito della Treccani. Il momento storico forse non è favorevole. Penso a quanto è stato dichiarato dall'ex ministro Giulio Tremonti, che, sul "Giornale" del 24 febbraio, ha fatto notare (e poi lo ha ribadito il 26 sera parlando in Tv a La7) che nel comunicato del G7 di Carbis Bay, in Cornovaglia, del 13 giugno, su 70 paragrafi e 25 pagine, alla questione Russa sono stati dedicati due piccoli paragrafi, per un totale di mezza pagina, mentre molto più vasto è stato lo spazio dedicato alla gender equality. Non sarà facile trovare equilibrio e senso della storia per mettersi d'accordo su questi problemi.