Consulenze linguistiche

Forese

  • Manuela Manfredini
SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

DOI 10.35948/2532-9006/2020.3253

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Quesito:

Alcuni lettori chiedono delucidazioni sull’uso del sostantivo forese nel significato di ‘contado’.

Forese

Forese continua il lat. forēnsis ‘contadino’, ‘che abita fuori (in contrapposizione a chi abita in città)’, a sua volta derivato da fŏras ‘fuori’ (Crevatin 1980-81, p. 108); nel latino tardo, forēnsis assume il significato più ampio di ‘estraneo, di fuori’. La prima attestazione di forese come sostantivo m. e f. risale al XIII secolo e si trova in un testo fiorentino, il Tesoretto (1274) di Brunetto Latini, con il significato di ‘persona che viene da fuori, forestiero’. Come aggettivo, invece, è attestato a partire dal XIV sec. in testi toscani e siciliani, con il significato di ‘della campagna, fuori dalle mura cittadine’.

Nei documenti spogliati nel Tesoro della lingua delle Origini (TLIO), forese presenta vari significati: ‘campagnolo’, ‘forestiero’, ‘abitante in un paese di cui non è nativo’, ‘persona che non appartiene alla comunità cittadina’, compreso un uso traslato, rinvenuto nello Statuto dell’Arte degli oliandoli, di ‘persona estranea a un certo raggruppamento’ (“alcuno forese di questa arte”). La presenza della voce nei testi letterari inseriti nel corpus LIZ è solida fino al Quattrocento, con Lorenzo De’ Medici e Poliziano, ma si eclissa dal Quattrocento fino all’Ottocento, quando Manzoni la riprenderà nel Fermo e Lucia e nell’edizione dei Promessi sposi del 1827, per poi sostituirla nell’edizione definitiva del 1840-42 con contadino (cfr. Nencioni 1980, p. 6). Maggiore continuità mostrano invece i vari derivati femminili di forese (forosetta, foresetta, foresozza), che punteggiano la nostra lingua letteraria dal Duecento all’Ottocento, da Cavalcanti a Boccaccio, dal Tasso al Redi, da Manzoni a Dossi.

Oggi forese, nei significati fin qui considerati, non appartiene più all’uso, tanto che i dizionari contemporanei ne segnalano l’appartenenza al lessico “antico” dell’italiano (Sabatini-Coletti), a quello “arcaico” (Devoto-Oli), a quello “letterario” (Zingarelli) oppure a quello “regionale”, dato che, nel Sud d’Italia, forese (furisi) indica il ‘bracciante agricolo’ o, come testimonia Vincenzo Padula nell’Ottocento, il ‘pastore’. I nostri lettori però segnalano che in Romagna esiste un’altra accezione di forese molto diffusa, seppure non a livello nazionale, accolta nei registri formali della lingua, ma sconosciuta ai dizionari, cioè quella di ‘contado’, ‘campagna’, ‘territorio al di fuori della città’: sarà forse un dialettismo?  

Per stabilirlo non possiamo basarci solo sull’uso attuale ma dobbiamo vagliare le fonti lessicografiche storiche. Da uno spoglio dei principali dizionari dialettali dell’Italia settentrionale, pubblicati tra Otto e Novecento, emerge che in diverse raccolte lessicali dedicate al romagnolo (Morri 1840, Mattioli 1879, Avogadri 1901, Ercolani 1971) la voce forese non compare a lemma – sebbene, ad es., in Morri appaia tra i traducenti di cuntaden ‘contadino’ –, così come non c’è in vari dizionari del dialetto bolognese (Coronedi Berti 1869-1874), del modenese (Maranesi 1893) e del reggiano (Ferrari 1832). È registrata invece in dizionari di molti dialetti lombardi, quali il milanese (Cherubini 1814, foréns), il pavese (Annovazzi 1934, furés), il cremasco (Samarani 1852, forens), il mantovano (Cherubini 1827, forens) e il comasco (Monti 1845, forèss, forens) e in quelli di dialetti emiliani confinanti con territori lombardi quali il parmigiano (Malaspina 1857, forés) e il piacentino (Foresti 1855, foreins), ma sempre con il solo significato di ‘abitante del contado’.

La prima attestazione che ci è stato possibile rintracciare di forese ‘contado’ si trova in un Panegirico del gesuita Ambrogio Cattaneo (1645-1705) pubblicato in volume nel 1719, in cui si legge: “Divide il cittadinesco in sei porte, il forense in sei province, col suo visitatore o prefetto per ciascuna” (fonte: Google Libri). Per quanto si tratti di oratoria religiosa, il lessico cui attinge questa frase è inequivocabilmente pertinente all’ambito giuridico-amministrativo, fortemente legato al latino, come dimostra la preferenza per la grafia dotta (forense) anziché quella toscana (forese). L’allargamento al significato di ‘territorio al di fuori della città’ che ci offre l’occorrenza di forense all’interno del Regolamento e tariffa per li dazi della mercanzia nella Lombardia austriaca (1786): “[le Merci] o saranno state denunciate per una delle Città di Milano, Mantova, Pavia, Cremona, Lodi e Como, o saranno state denunciate e daziate per altri luoghi dello Stato, li quali tutti da qui innanzi si considereranno per Forense rispetto agli effetti Daziarj”, ci conferma che l’ambito d’uso della parola è amministrativo-tributario. È qui il caso di ricordare che nell’organizzazione territoriale dell’Italia medievale e negli statuti degli antichi comuni redatti in latino la parola forensis è frequente, specie in materia di tributi, e sta ad indicare sia i forestieri stessi e ciò che li riguarda, sia tutti le persone non native della comunità, che provenivano dal di fuori. E che proprio dall’Italia settentrionale e dalla scuola di diritto di Bologna viene, tra XIII e XIV secolo, un impulso notevole all’apparato amministrativo cittadino, conseguenza del “decollo del notariato” (Lubello 2017, p. 34).

Ma quest’uso amministrativo di forense provoca inevitabilmente un cozzo con il significato originario, ossia di ‘pertinente al foro, all’attività curiale’, derivante anch’esso dal lat. forensis ma per trafila dotta, connesso al lat. forum, e attestato nella nostra lingua fin dal XIII secolo. L’ambigua sovrapposizione viene deprecata nell’Ottocento da vari puristi che raccomandano espressamente di non usare forense laddove si intende forese: ad esempio mentre Giovanni Bernardoni, nel suo Elenco di alcune parole oggidì frequentemente in uso (si cita da 1829, II ed), si limita a segnalare “Forense per forese, abitante della campagna”, Filippo Ugolini nel Vocabolario di parole e modi errati che sono comunemente in uso (1848) diffida recisamente dall’usare, in significati diversi da “appartenente al foro”, la “barbara e ridevole voce, la quale è uno de’ tanti svarioni impostici dalla francese invasione”; e aggiunge: “peggio poi usare forense per forestiere, come […] ho letto in un accreditato giornale di cose legali, in cui si vede scritto le donne forensi, in luogo di le donne straniere”.

Nel corso del Settecento e dell’Ottocento, la voce tende a specializzarsi sempre più all’interno di locuzioni tecniche, del linguaggio amministrativo e giuridico, come dazio forense/dazio forese, milizia forese, pretura forese.  Con forense/forese si designa innanzi tutto ciò che non è città, ossia il territorio che si trova al di fuori della città, nel complesso delle relazioni giuridiche, amministrative, commerciali che intrattiene con essa; in questo territorio possono essere compresi centri del contado come testimonia l’Indice analitico e alfabetico della raccolta generale delle leggi per gli stati di Parma, Piacenza e Guastalla  degli anni 1836 al 1840 (Parma, Carmignani, 1843, vol. VI, p. 120): “Gli albergatori, i locandieri ecc. sì nelle città che nel forese dovranno farsi esibire dai forestieri, che cercano alloggio, la ricevuta del loro passaporto” (fonte: Google Libri), ma anche borghi a ridosso delle mura, sottoposti a diversa politica tributaria come accadeva a Milano, fino a fine Ottocento, in cui nella città compresa entro la vecchia cerchia muraria era in vigore il dazio murato, al di fuori, il dazio forese.

Nonostante l’ufficialità dei documenti in cui quest’uso di forese è attestato, i dizionari sono effettivamente restii a registrarlo. Per scovare allora una prima segnalazione lessicografica dobbiamo addentrarci nelle pieghe del Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo (1861-1879) che, pur non registrando alla voce Forese il significato che qui ci interessa, alla voce Foraneo spiega: “Fuor della città. […]  T. Vicario foraneo, Chi in certe cose rappresenta la giurisdizione del vescovo sopra le parrocchie non di città, della quale in orig. era parroco il vescovo. In questo senso, di contrapp. a città, abbiamo Forese, che non vale soltanto Contadino; onde, secondo certi statuti le città eleggono alla dieta i deputati, i foresi eleggono i loro”, dove foresi starà per ‘comuni, territori foresi’, in un contesto ancora una volta di tipo giuridico-amministrativo.

Nel Novecento il termine continua a comparire in atti pubblici: nel 1925 il Consiglio comunale di Bologna approvò la proposta di intitolare “gli edifici scolastici del forese”, ossia di Corticella, Pescarola, Beverara, a “personalità che si sono distinte negli studi e nelle attività pedagogiche”. Nel 1936, sempre a Bologna, gli Uffici di Stato Civile del Comune si impegnarono nella redazione di una Relazione sui lavori relativi alla toponomastica del forese ed alla nuova numerazione dei fabbricati e nel 1965 troviamo forese nel Piano regolatore generale di Rimini.

Se ci affidiamo alla Rete, come un nostro lettore ha potuto già accuratamente riscontrare, le occorrenze di forese ‘contado’ sono molte e concentrate in recenti delibere comunali dell’Emilia-Romagna (Ravenna, Rimini, Ferrara, Parma, Fidenza e Piacenza) o in provvedimenti di legislazione urbanistica, dalla Romagna al Piemonte.

Costante nella storia dei significati della parola forese è la sua definizione in negativo, come alterità rispetto a qualcosa (la città cintata) assunto come punto di riferimento, fino a svuotarsi di ogni coordinata paesaggistica (zona di campagna, paludosa ecc.) all’interno degli attuali piani regolatori urbanistici dove forese possiede lo stesso valore tecnico-denotativo di locuzioni quali centro storico, area industriale, come si vede in una delibera del 2008 del Comune di Faenza, in cui il territorio comunale viene diviso in tre zone, centro storico, centro abitato e forese, definendo quest’ultimo come “tutte le zone non comprese nelle precedenti”.

Rispondiamo finalmente alle domande dei nostri lettori. Chiede uno di loro dopo aver constatato che nei dizionari non è registrata l’accezione di forese come ‘territorio di campagna’: “È quindi non corretto parlare di forese intendendo la parte di territorio fuori dai centri abitati?”. Utilizzare forese per indicare la parte di territorio fuori dai centri abitati è corretto, come attestano le numerose occorrenze in atti pubblici anche recentissimi. Tuttavia, con quello specifico significato, forese oggi possiede un’elevata comprensibilità solo in una determinata area dell’Italia, mentre non pare avere ancora raggiunto una diffusione nazionale: un geosinonimo “tecnico”, insomma, che testimonia la tendenza del linguaggio amministrativo a conservare le “differenze e le peculiarità regionali” (Lubello 2017, p. 57); peculiarità regionali da ricercare, in questo caso, non tanto nella forma della parola, che è pienamente italiana, quanto nel suo speciale significato.

Un altro lettore invece, dopo aver svolto un ragionamento molto pertinente e documentato, in cui dimostra sia l’uso caratterizzato in senso regionale di forese come sinonimo di ‘contado’, sia la sua occorrenza in testi di elevata formalità, chiede se non sia il caso che i dizionari lo registrino. In realtà almeno un dizionario ha adempiuto al compito: il Grande dizionario della lingua italiana (1961-2002) diretto da Salvatore Battaglia, alla voce forese, attesta infatti anche un uso sostantivato nel sign. di ‘la campagna stessa, contado’, supportandolo con un esempio tratto dalle Cinque storie ferraresi (1956) di Giorgio Bassani: “Non sdegnava neppure – dicevano – di mettersi con qualcuno del forese piovuto a Ferrara per il mercato del lunedì”. In ogni caso, poiché questo significato di forese, benché addensato nell’Italia settentrionale, appartiene pienamente alla lingua italiana e poiché la parola si sta rapidamente diffondendo in documenti ufficiali e di interesse pubblico anche in zone in cui forese, oggi, non è né del dialetto né della lingua comune, la sua registrazione nei dizionari è necessaria. Ma con una precisazione: fino a quando il forese non sarà diffuso a livello nazionale tanto quanto la campagna e il contado, il lessicografo avrà l’avvertenza di iniziare così la sua futura definizione: “In alcune zone dell’Italia settentrionale, ecc. ecc.”.


Nota bibliografica:

  • Annovazzi 1934: Aristide Annovazzi, Nuovo vocabolario pavese-italiano, Pavia, Bizzoni, 1934
  • Avogadri 1901: Umberto Avogadri, Forme e voci dialettali più comunemente usate dai ferraresi nella lingua italiana, Ferrara, Bresciani, 1901
  • Cherubini 1814: Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini, Milano, Stamperia reale, 1814
  • Cherubini 1827: Francesco Cherubini, Vocabolario mantovano-italiano, Gio. Batista Bianchi, Milano 1827
  • Coronedi Berti 1869-1874: Vocabolario bolognese italiano compilato da Carolina Coronedi Berti, Bologna, Monti, 1869-1874
  • Crevatin 1980-81: Franco Crevatin, Etimi italiani e dialettali, in “Incontri linguistici”, 1980-81, pp. 107-108.
  • Ercolani 1971: Libero Ercolani, Vocabolario romagnolo-italiano, italiano-romagnolo, Ravenna,Edizioni del girasole, 1971
  • Ferrari 1832: Giovanni Battista Ferrari, Vocabolario reggiano-italiano, Reggio, Tip. Torreggiani e Compagno, 1832
  • Foresti 1855: Lorenzo Foresti, Vocabolario piacentino-italiano, Piacenza, F. Solari, 1855
  • Lubello 2017: Sergio Lubello, La lingua del diritto e dell’amministrazione, Bologna, Il Mulino.
  • Malaspina 1857: Carlo Malaspina, Vocabolario parmigiano-italiano, vol. II, Tipografia Carmignani, Parma, 1857
  • Maranesi 1893: Vocabolario modenese-italiano compilato dal prof. Ernesto Maranesi, coadiuvato per il riscontro della lingua parlata fiorentina dal prof. Pietro Papini, Società tipografica Antica tipografia Soliani, Modena 1893
  • Mattioli 1879: Antonio Mattioli, Vocabolario romagnolo-italiano, Tipografia d'I. Galeati e figlio, Imola 1879
  • Monti 1945: Pietro Monti, Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como, con esempi e riscontri di lingue antiche e moderne, Società tipografica de' classici italiani, Milano 1845
  • Morri 1840: Antonio Morri, Vocabolario romagnolo-italiano, Tipografia di Pietro Conti all'Apollo, Faenza 1840
  • Nencioni 1980: Giovanni Nencioni, Lessicografia e letteratura italiana, in “Studi di lessicografia italiana”, II, 1980, pp. 5-30.
  • Samarani 1852: Bonifacio Samarani, Vocabolario cremasco-italiano, Guglielmini, Milano-Crema 1852

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