DOI 10.35948/2532-9006/2020.3342
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Come si dice: sul filo di lama o sul filo di lana?
Come altri termini caricati di una profonda valenza simbolica, il filo è al centro di numerosi modi di dire, proverbi e locuzioni idiomatiche: dare del filo da torcere, essere attaccato a un filo, fare il filo, filo a piombo, filo logico, guidare con un filo di seta, imbrogliare i fili, inciampare in un filo di paglia, parlare con un filo di voce, passare a fil di spada, per filo e per segno, perdere il filo del discorso (il filo del pensiero, il filo della memoria, il filo delle cose), ridursi a un filo, star ritti coi fili, stare sul filo della schiena, tirare le fila, tre fili fanno uno spago e molti altre ancora, come essere ridotti in fil pendente attestato nell’italiano popolare antico per indicare una condizione di povertà (si veda la raccolta di Francesco Serdonati nella banca dati Proverbi italiani dell’Accademia della Crusca).
Alla base di alcune di queste espressioni vi è l’antichissima metafora del filo inteso come destino, e basti pensare alla mitologia greca che abbonda di riferimenti: dal ‘filo di Arianna’ al ‘fuso di Ananke’ alle Moire (o Parche) che tessono lo stame della vita di ogni essere umano, per svolgerlo durante l’esistenza e infine reciderlo, segnandone la morte. Dal mito di Teseo e Arianna al gomitolo di Andy Warhol, il filo è un elemento simbolico fondativo della storia dell’umanità, e non solo della cultura occidentale. Nella tradizione delle Upanishad, un insieme di scritti religiosi e filosofici indiani che risalgono al IX-VIII secolo a. C., il filo (sutra) penetra e lega i vari mondi possibili, e al tempo stesso li sostiene e li fa sussistere. È il soffio vitale (prana) che conduce l’uomo alla verità, al centro di tutte le cose rappresentato spesso dal sole. L’uomo ordisce, la fortuna tesse, dice uno dei proverbi raccolti da Giuseppe Giusti e già presente nella quarta edizione del Vocabolario degli accademici della Crusca (s.v. tessere), per cui, quando parliamo dell’azione simbolica del filo, intendiamo qualcosa che si dispone tanto sul piano sincronico dell’ordito quanto sul piano diacronico della trama. Vengono in mente anche immagini più quotidiane come quella delle mani del burattinaio, ricordata dal Dizionario dei simboli di Jean Chevalier e Alain Gheerbrant (s.v. filo) e tratta dall’opera del pensatore francese René Guénon: «una marionetta rappresenta l’essere individuale e il burattinaio che lo fa muovere per mezzo di un filo è il Sé» (Simboli della scienza sacra, 2010, p. 351).
Grazie alla sua duttilità il filo segue e regge il corso della vita di ogni uomo ‒ ma anche l’andamento di una competizione ‒ fino al momento finale. Ed è proprio al contesto delle gare podistiche che si lega la competenza dell’uso, ormai perduta, dell’espressione sul filo di lana. Almeno fino all’avvento delle moderne apparecchiature fotografiche (fotofinish), impiegate dai giudici di gara per stabilire con maggiore precisione l’ordine di arrivo, il filo era posto tra due paletti sulla linea del traguardo e veniva tagliato dal corpo del vincitore. Fu introdotto nei primi anni del XX secolo (1906-1908) come strumento di ausilio per il giudice di arrivo e per il cronometrista. Molto presto entrò nella lingua di tutti i giorni per indicare una vittoria ottenuta all’ultimo istante, dopo una lotta serrata.
Sul filo di lana significa quindi “all’ultimo momento, all’ultimo istante, in extremis, di pochissimo, di stretta misura”. Indica la fine di qualcosa all’ultimo respiro, appena prima di una scadenza temporale, o anche l’arrivo immediatamente prima dell’inizio di un determinato evento. In altri termini si parla di un’azione compiuta in seguito a una resistenza che può essere determinata da varie cause, tra cui, spesso, la competizione tra due o più concorrenti. Non a caso la locuzione viene usata soprattutto nel linguaggio sportivo, per commentare una vittoria o una sconfitta, un evento particolarmente sentito, avvincente e incerto. Sul filo di lana si può vincere, arrivare, prevalere, farcela, essere battuti, essere superati o superare. Ancora si può decidere una gara, raggiungere un obiettivo; ci si può salvare e, più in generale, si può vivere sul filo di lana se si vuole dire che la propria vita non è altro che una corsa contro il tempo.
La metafora della tessitura, che è la medesima che spiega la parola ‘testo’ (textus) inteso come trama più o meno fitta di parole ‒ a loro volta raffigurabili come fili che si perdono, si allungano e si raccolgono nel corso della storia ‒ induce a riflettere anche sul materiale. È probabile che la scelta della lana sia dovuta a ragioni pratiche, determinate dalla volontà di non fare male a chi rompeva il filo con il petto. Tuttavia il fatto che il filo delle Parche sia lanoso potrebbe non essere casuale. Simbolo di purezza, presente tra le immagini bibliche dell’innocenza per la proprietà di assorbire le impurità, la lana era il materiale delle vesti indossate dai sacerdoti durante i misteri eleusini. Ricorre anche nell’Antico Testamento (Levitico), tra gli strumenti di purificazione dei lebbrosi, insieme al legno di cedro e all’issopo. Il filo di lana è l’essenza del tempo che s’interrompe con l’atto del taglio, al quale è riconducibile il significato ulteriore di una catarsi presente non solo nelle competizioni sportive, ma anche nelle inaugurazioni e in altre cerimonie.
Analogamente, nel caso di sul filo di lama, troviamo, al centro, l’idea di una linea che si colloca all’estremità di qualcosa. Qui però, accanto all’elemento metaforico, si afferma quello metonimico rappresentato dalla lama, che è la parte più tagliente di vari oggetti: rasoi, forbici, coltelli da cucina, spade. La lama rappresenta l’ultima frontiera, la linea di demarcazione che si fa sempre più sottile fino a tagliare e a separare qualcosa da qualcos’altro. Per questo essere (camminare) sul filo di lama o della lama significa ‘muoversi sul crinale’, ‘essere in bilico’, ‘trovarsi sull’orlo di un abisso’, ‘sulla lama dell’equilibrio’, ‘essere in limine’: camminare, appunto, sul filo del rasoio, ossia «passare per una situazione difficile, pericolosa, piena di rischi diversi e che permette solo un equilibrio precario» (Lapucci, 1969).
Siamo allora di fronte a due locuzioni avverbiali, entrambe corrette e registrate da importanti dizionari della lingua italiana (GRADIT e Zingarelli 2019, per quanto riguarda filo di lana; e GDLI). In particolare quest’ultimo registra sul filo di lama citando gli Ossi di seppia di Montale (“Felicità raggiunta, si cammina / per te su fil di lama”). Proprio il carattere di questa citazione, la più antica tra quelle riscontrate, induce a ritenere l’espressione sul filo di lama successiva a sul filo di lana e modellata per assonanza sulla prima.
Non è comunque in discussione il fatto che si possano dire né bisogna scegliere in base a un criterio normativo. Occorre piuttosto valutare quando impiegarle, visto che talvolta gli usi si sovrappongono e sul filo di lama viene usato al posto di sul filo di lana (“vuole togliersi la grossa soddisfazione di precedere sul filo di lama il suo rivale”, si legge nell’articolo E per Balbo il mercato impazzisce di Guido Gomirato, citato dalla “Repubblica”, 9/3/1993, p. 39). Eppure va detto che al minimo variare del significante (lana-lama) non corrisponde un’altrettanto sottile variazione semantica. Sul filo di lana e sul filo di lama rinviano a concetti molto diversi tra loro: nel primo caso si fa riferimento al filo vero e proprio, mentre nel secondo il filo è un’astrazione, una linea tagliente e particolarmente pericolosa. Tensione e incertezza, rapidità e precarietà, compimento e passaggio, fermezza e indeterminatezza sono alcune delle coppie antitetiche riconducibili a queste espressioni. A queste si aggiunga quella di competizione e pace. La prima si lega chiaramente a sul filo di lana, mentre la seconda presenta un sia pur marginale legame con un uso specifico dell’espressione filo di lama, riferito alla spada spezzata che, nella Galizia del IX secolo, veniva conficcata in terra e rivolta verso il cielo in segno di pace. “Il filo della lama”, si legge nel romanzo La cattedrale ai confini del mondo di Paloma Sánchez-Garnica, “simboleggia la verità, ed è spezzato per favorire una pace che tutti auspicano, una speranza alla quale si aggrappano sempre più i devoti, convinti della loro fede”. Frammenti di spade spezzate con valenza cultuale, del resto, sono noti fin dall’Età del Bronzo sull’Appennino settentrionale (Corti, 2012, p. 26, nota 47). Dalla linguistica all’antropologia, alla spiritualità, il passo è breve, ed è reso breve dalla polisemica multiformità di locuzioni così vicine e così lontane di cui la nostra lingua è particolarmente ricca.
Nota bibliografica: