DOI 10.35948/2532-9006/2021.11626
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Ci sono giunte domande sulla voce ruoto, usata a Napoli e in Italia meridionale per indicare la teglia. Si tratta di un termine che si può considerare anche italiano? E qual è la sua etimologia?
Ruoto ‘teglia’, per lo più di forma rotonda, o ‘tortiera’, è una parola originariamente locale (diffusa nei dialetti e nell’italiano di alcune regioni meridionali), ma usata da qualche tempo anche in italiano, sia pure in modo non generalizzato: lo Zingarelli accoglie ruoto (“come variante meridionale di ruota”) nel senso di ‘teglia rotonda per la cottura di cibi al forno’ (con la datazione 1984), ma con l’indicazione merid[ionale], riferita all’origine e a una diffusione prevalentemente in area meridionale. Una diffusione specificamente meridionale (con marca d’uso RE merid.) è segnalata anche dal GRADIT di Tullio De Mauro (“stampo rotondo per la cottura di torte al forno”). La voce, d’altra parte, con la stessa indicazione areale (region.) e con lo stesso significato è già nel GDLI (vol. XVII, del 1994), che riferisce un’attestazione tratta da un articolo di Vincenzo Buonassisi apparso sul quotidiano “La stampa” del 21 giugno 1984:
Abbiamo anche, per teglia, il termine tortiera man mano che si scende verso Sud … o ruoto, un bel nome che corrisponde al maschile di ruota, molto immaginifico.
Perciò è chiaro che proviene da qui la data 1984 indicata dallo Zingarelli. Oltre che per la datazione, l’articolo di Buonassisi, che era un giornalista specializzato in ambito gastronomico, è interessante perché da un lato fissa una equivalenza tra teglia, tortiera e ruoto, con una certa distribuzione geografica, dall’altro dimostra che la parola ruoto poteva essere usata e capita in italiano già una quarantina di anni fa, almeno in relazione a certi argomenti. Prima di dare altre informazioni sulla storia della parola, è il caso di segnalare che in Italia meridionale a volte è denominata come ruoto anche una teglia rettangolare: per quanto in apparenza sorprendente, quest’uso (che tuttavia resta locale) è in fondo affine a quello che si è realizzato per quadro, visto che correntemente denominiamo come quadro anche un dipinto inserito in una cornice di formato non quadrangolare.
Come altre forme provenienti dai dialetti, anche ruoto è perciò un esempio della variabilità e dell’incremento del lessico dell’italiano, che accoglie parole già presenti in un’area meno ampia; queste parole, al di fuori dell’area di origine, sono inizialmente percepite come insolite dai parlanti, che appunto si domandano se siano voci italiane. Tali dubbi sono, in un certo senso, indizio di una diffusione non generalizzata, ma sono anche la prova di una circolazione già avvenuta o quanto meno avviata.
Attualmente, per ruoto, da un lato viene percepita la connotazione regionale (segnalata dai vocabolari), ma d’altro lato, come osserva anche una lettrice, alcuni siti commerciali presentano cataloghi illustrati di oggetti per cucina che includono il ruoto e lo nominano come tale. Un altro indizio nella stessa direzione si ricava dalla pronuncia proposta dai dizionari che registrano ruòto con un accento grave, suggerendo di fatto la pronuncia aperta della vocale tonica, secondo il modello dell’italiano standard che nei dittonghi presenta la -ò- aperta (come in scuòla o uòvo). Se la pronuncia indicata dai dizionari fosse effettivamente in uso presso alcuni parlanti, sarebbe anche la prova di un primo radicamento della parola in un italiano privo di connotazione regionale, visto che nei dialetti e nell’italiano parlato nelle aree meridionali la parola è pronunciata con la vocale tonica chiusa (ruóto).
Le occasioni per nominare un ruoto, d’altra parte, non mancano nell’italiano contemporaneo, come si deduce da alcune testimonianze scritte che si colgono dagli archivi dei giornali. In qualche caso l’accenno al ruoto si collega a un contesto meridionale: così negli articoli di Gaetano Afeltra (“Corriere della sera”, 17/12/2002) e di Paolo Guzzanti (“la Repubblica” 31/7/1985 e 16/7/1989, con riferimenti a Capri e a Sperlonga), o in una intervista a Vincenzo Salemme (“la Repubblica”, Napoli, 15/4/2003) o ancora in una ricetta cilentana proposta dal ristoratore Vittorio Virno, attivo però a Roma (“la Repubblica”, 20/2/2004). Per quanto sia ovvio, è sempre il caso di sottolineare, insomma, che a mettere le parole in circolazione sono i parlanti con i loro spostamenti e che una parola arriva nella scrittura quando già si è diffusa nella comunicazione parlata, cosa che per ruoto è già accaduta. Lo confermano alcune presenze recenti in articoli del “Corriere della sera” tra il 2014 e il 2019: uno in particolare (del 9/10/2019) è interessante perché, nel rimandare a un locale milanese che propone “la pizza nel ruoto”, contiene in apertura una definizione descrittiva:
Alzi la mano chi sa cos’è un ruoto. Per tutti gli altri diciamo che si tratta di una teglia circolare con un diametro di circa 20 centimetri. E che serve per la pizza.
Il cognome dell’autore dell’articolo, Valerio M. Visintin, ha un’apparenza veneta e fa escludere una sua origine meridionale; anche il locale milanese con la sua specialità lascia indovinare una inevitabile diffusione della parola presso una clientela di provenienza certamente non solo meridionale.
La pizza nel ruoto, infornata, consumata e, soprattutto, nominata a Milano è già un’ottima prova di una presenza non occasionale della parola in un contesto non meridionale, anche se l’inizio dell’articolo ora citato fa pensare che il suo significato non sia ancora noto a tutti. Non è detto, tuttavia, che per valutare come italiana una parola si debba attendere che sia conosciuta da tutti: molti neologismi considerati italiani non sono realmente noti a ogni singolo parlante italiano; si può dire quindi che la comprensibilità della parola in un preciso contesto comunicativo rappresenta un primo dato rilevante; d’altronde è incontrovertibile che per alludere, per esempio, alla specialità ora ricordata, non sarebbe ugualmente efficace la denominazione di pizza nella tortiera, né di pizza nella teglia (che tra l’altro potrebbe riferirsi a una pizza cotta sì in una teglia, ma in una teglia di grande formato e in un forno elettrico, laddove la pizza tradizionale richiede una cottura nel forno a legna). Quindi è possibile che anche ruoto, come è accaduto per pizza, sia in un futuro prossimo destinato a restare nell’uso come dialettismo (cioè parola proveniente da un dialetto), ma accettabile in italiano (come risotto, tiramisù, tortellini, cassata, terrina ecc.).
La cottura della pizza nel ruoto ci riporta alla primissima attestazione per ora nota della parola e ci permette di ricostruire il primo tratto della sua storia, quello tra dialetto e italiano regionale fino alle iniziali apparizioni in italiano. Vista l’indicazione dei vocabolari, non sorprende che la testimonianza, che per ora appare come la più antica, si incontri a Napoli, “appena” due secoli fa, nel 1822, e per di più in un documento redatto in italiano: Antonio Mattozzi (Una storia napoletana. Pizzerie e pizzaiuoli tra Sette e Ottocento, Bra, Slow Food editore, 2009, p. 64) cita infatti il verbale (risalente al 1822) dell’avvenuto sequestro, in una pizzeria, “di un ruoto di rame e due piccolissime tielline anche di rame”, in quanto probabilmente tali recipienti erano considerati dannosi perché consumati o non adeguatamente rivestiti di stagno nella parte interna (aggiungiamo, per inciso, che tiella è in dialetto una padella; la voce è comunque registrata anche nel GRADIT, come centromerid[ionale] e con datazione al 1961).
Ruoto era quindi a Napoli la denominazione abituale del recipiente rotondo usato nelle pizzerie per cuocere le pizze. La vitalità della voce è ribadita dalle ricette del libro Cucina teorico-pratica del Duca di Buonvicino, Ippolito Cavalcanti, sin dalla prima edizione del 1837, che, come le numerose edizioni successive, contiene una sezione scritta in napoletano. Il ruoto è nominato una decina di volte nelle ricette in napoletano, per esempio quelle delle Lasagne e del Baccalà, ma una volta (a p. 59) anche nella ricetta, in italiano, del Pasticcio di carne con sfoglia:
di tutta la pasta cattiva ne formerai il fondo della tortiera, senza l’orlo […] e taglierai un piccolo tondo che possa servire per coverchio, che metterai in altro ruoto.
Il ruoto svolge quindi la stessa funzione della tortiera, come del resto risulta dall’articolo di Buonassisi del 1984. Inoltre è evidente che la parola ruoto era usata a Napoli in dialetto napoletano, ma anche nell’italiano locale, come dimostra il verbale di polizia già visto. Forse proprio per questo motivo si rileva una piccola incertezza negli autori dei vocabolari dialettali napoletani: infatti sia Basilio Puoti (1841), sia Raffaele D’Ambra (1873) inseriscono ruoto solo nelle Giunte che presentano una serie di integrazioni ponendo riparo a una iniziale dimenticanza; Giuseppe Gargano, da parte sua, nel vocabolario del 1841 inserisce tortiera, ma non ruoto, che invece è presente nel repertorio di Taranto e Guacci (1849 e 1851) e nel vocabolario di Domenico-Rosario Greco (1856) prima di entrare definitivamente nei vocabolari napoletani della fine dell’Ottocento e in quelli successivi. Al di fuori della lessicografia, no ruoto de sfogliatelle è nominato in una commedia di Pasquale Altavilla (No patriotta napolitano, 1860), mentre, sul versante dell’italiano, come segnala Alessandra Digiacomantonio nella sua Tesi di Dottorato dedicata alla Cucina teorico-pratica di Cavalcanti, troviamo i ruoti nel Ventre di Napoli di Matilde Serao, a proposito della primissima pizzeria inaugurata, ma con poca fortuna, a Roma: “Il rame delle casseruole e dei ruoti vi luccicava; tutte le pizze vi si trovavano” (Matilde Serao, Il ventre di Napoli, edizione integrale a cura di Patricia Bianchi, con uno scritto di Giuseppe Montesano, Cava de’ Tirreni, Avagliano, 2002, p. 53). Questo testo è del 1884 ed è possibile che già in quel tempo qualcuno a Roma, sia pure occasionalmente, ascoltasse e usasse la parola importata da Napoli con la pizza. La scrittrice usa le due forme in corsivo, segno che ne avverte la connotazione regionale, anche se ruoto senz’altro era già entrato qualche volta nelle scritture di stampo burocratico e amministrativo: nel 1852 troviamo infatti i ruoti di rame tra gli oggetti che non devono mancare nelle mense militari, secondo il Manuale per l’amministrazione in materia di un corpo di fanteria redatto da Carlo Campanelli (Napoli, Reale Tipografia Militare, 1852, p. 88 e p. 89). Dato il contesto, però, si può dire che anche qui siamo ancora nell’ambito dell’italiano regionale, nonostante si tratti di un libro a stampa di carattere ufficiale. La situazione invece si modifica in seguito: nel 1914, nell’ampio articolo Focaccie di re e focaccie di poveri, uscito sul periodico “Il secolo XX”, anno XIII, n. 1, gennaio 1914, il gastronomo nizzardo Alberto Cougnet accenna a “erbe od erbazzoni cotti nei tegami, placche, padelle o ruoti di rame o di coccio” (p. 83). Nel 1939 esce, a Milano, presso Mondadori, il libro L’arabo parlato a Tripoli di Antonio Cesàro, che descrive le modalità di preparazione dell’agnello imbottito e cotto “in un grosso ruoto di rame” (p. 172). Questi ultimi due esempi dimostrano che molto prima del 1984 ruoto entrava in testi in italiano, senza che la cosa suscitasse scalpore o incomprensione presso giornalisti, editori e tipografi.
Per la datazione della parola in italiano si può dire quindi che l’anno 1984 oggi indicato dai vocabolari potrebbe essere modificato in 1914; l’informazione andrebbe completata ricordando la primissima attestazione italiana del 1822, etichettabile però come elemento lessicale di italiano regionale, e la più antica testimonianza in un testo dialettale risalente al 1837. Sembra molto probabile che la parola fosse già da tempo circolante in dialetto, prima di entrare in un testo in italiano (tuttavia è difficile dire da quando: verosimilmente da qualche decennio, difficilmente da molto tempo prima, visto che la parola manca nella varia e cospicua letteratura in napoletano del Seicento e del Settecento).
In merito all’etimologia risulta evidente, per il formato circolare, l’accostamento a ruota, già richiamato dai vocabolari. Al riguardo, però, è anche opportuno tenere conto dell’uso del ruoto nella cucina tradizionale. Il ruoto con la pizza, con la lasagna, con il capretto o l’agnello e le patate, infatti, era posto nell’antico forno a legna o era collocato sulla brace del camino (in genere su un piccolo treppiede in ferro). In un caso e nell’altro, per garantire l’uniformità della cottura degli alimenti contenuti all’interno, era necessario ruotare frequentemente la teglia, così come oggi è necessario che il pizzaiolo, manovrando la pala del forno, faccia ruotare la pizza collocata direttamente sul pavimento del forno a legna. Non sarebbe perciò improprio pensare che il ruoto si colleghi appunto a questa modalità di cottura che richiedeva una rotazione del tegame: in questo caso, quindi, il ruoto sarebbe così denominato non solo perché simile a una ruota, ma anche perché veniva fatto ruotare durante la cottura. Il punto di partenza, perciò, potrebbe essere non la ruota, ma il verbo ruotare/rotare; tra l’altro, anche sul piano morfologico questa spiegazione sarebbe convincente: si tratterebbe infatti di una “conversione”, secondo Grossmann-Rainer 2004, o, secondo altri, di un deverbale “a suffisso zero”, come tante altre voci, tra cui, per esempio, scippo o sfratto (che, per inciso, sono anch’essi dialettalismi di provenienza napoletana). Pertanto in seguito, con l’avvento dei forni a gas o elettrici, dotati di un vano di cottura con base rettangolare, è inevitabile che l’originaria e necessaria funzionalità “rotatoria” del ruoto sia andata perduta: anche per questo motivo si spiega che in alcune aree la teglia rettangolare, prendendo il sopravvento nell’uso, sia stata chiamata anche ruoto. La teglia rotonda d’altro canto è ancora impiegata per certi cibi: proprio grazie all’abbinamento con alcuni di essi, per esempio la pastiera o, come abbiamo visto, la pizza, il nome ruoto ha conosciuto una prima diffusione anche nell’italiano non locale. Ovviamente ciò non significa che ora si debba considerare “obbligatorio” l’uso della parola, ma vuol dire che in certi contesti e in rapporto a certi argomenti la parola ruoto (come accade in genere per i dialettalismi) sia da considerare adeguata, come del resto suggeriscono anche i vocabolari italiani.