DOI 10.35948/2532-9006/2021.5457
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Nell’ultimo decennio il web ha contribuito ampiamente alla formazione e alla diffusione di neologismi. Oltre ai termini di ambito informatico, una buona parte del lessico in rete è quello che circola principalmente tra i giovani, i quali, più degli appartenenti a qualsiasi altra generazione, navigano e spendono buona parte del loro tempo online, intessendo relazioni sociali e scambiandosi informazioni e comunicazioni di ogni genere. Per alcuni di questi termini si tratta di occasionalismi, legati a fenomeni temporanei che nascono e muoiono sul web; ma talvolta qualche termine riesce a emergere dalla massa di parole della rete e inizia a circolare anche all’esterno, arrivando alle orecchie di parlanti estranei sia al mondo di Internet sia a quello dei giovani. Trattandosi inoltre di un luogo, quello del web, privo di confini geografici, accade spesso che le parole che vi circolano siano forestierismi, soprattutto anglismi. È il caso di cringe (pronuncia /krindʒ/), parola inglese che, come vedremo, nasce ben prima del suo attuale rilancio in rete, ma che all’interno del web assume una particolare accezione e sconfina oltre la sua lingua d’origine arrivando fino a noi.
Seppur ancora legata al suo ambito originario, e di fatto non registrata da alcun dizionario italiano, cringe sta vivendo un momento di discreta diffusione.
Nell’ottobre del 2019 la parola è stata segnalata alla redazione del sito Treccani, che nella sezione Lingua italiana del suo portale rispondeva di non poter, al momento, “fare altro che metterla nel cassetto, poiché si tratta di una parola che ancora non ha messo piede (o se l’ha fatto, ha appena intinto un alluce) nel mare ampio della lingua scritta italiana, inclusa quella digitata in internet”. Un anno dopo Licia Corbolante dedica a cringe e ai suoi derivati (di cui parleremo più avanti) due interventi nel suo blog “Terminologia etc.” (intitolati Cringissimo!! e Conversazioni da social), nei quali definisce la parola un “anglicismo che commenta negativamente comportamenti imbarazzanti”. Inoltre, cringe è registrato su Slengo “dizionario online dedicato ai neologismi e al gergo in lingua italiana, curato dal popolo di Internet” (analogamente all’inglese Urban Dictionary), che lo definisce “un momento, una frase, una scena, un meme o una persona che creano imbarazzo e un leggero disagio e imbarazzo in coloro che guardano o ascoltano”, riportando a esempio la frase, evidentemente gergale, “Fra, piantala di parlare, stai diventando cringe”. La definizione esatta del significato di cringe nel linguaggio del web non è di fatto così immediata. La parola è impiegata, perlopiù scherzosamente o in maniera eufemistica, sia come aggettivo, per definire qualcosa o qualcuno che suscita un particolare imbarazzo, sia come sostantivo. Per cringe si intende infatti un imbarazzo che fa rabbrividire; è una specifica sensazione di disagio provocata dalla visione di una situazione o una scena, più frequentemente di un video o un’immagine; ciò che è cringe risulta così ridicolo e imbarazzante per l’autore o per i protagonisti stessi della scena, da provocare, di rimando, imbarazzo in chi osserva; e per estensione cringe denota il fenomeno stesso del suscitare imbarazzo e in particolare la scena, il video o l’immagine che causano tale sensazione: mi diverte guardare il cringe, quel programma televisivo è pieno di cringe. La sensazione è quel tipo di vergogna che, ad esempio, provavamo da ragazzini quando nostro padre raccontava una barzelletta ai nostri amici, o quella che possiamo provare da adulti quando rileggiamo quelle dichiarazioni “poetiche” e un po’ patetiche dei nostri vecchi diari adolescenziali; ma anche il disagio che sentiamo quando riascoltiamo la nostra voce registrata o vediamo in televisione un politico nostrano che sta facendo una figura poco dignitosa in mondovisione. È qualcosa di molto simile a ciò che in italiano si intende con la locuzione mi vergogno per te/lui/loro.
In un post su Facebook della pagina di Treccani, pubblicato a luglio 2020, la parola cringe viene descritta attraverso il concetto di “vergogna vicaria” del filosofo Tonino Griffero (e la proposta sembra essere stata molto apprezzata anche dai giovanissimi che hanno letto il post):
“Ci si vergogna per chi non si vergogna affatto. L’atmosfera suscitata da un comportamento vergognoso contagia infatti i presenti incolpevoli, talvolta persino quando questi si limitano a prevedere tale comportamento, o si vedono costretti a richiedere esplicitamente ciò che l’interlocutore dovrebbe invece fare da sé.”
Il filosofo Tonino Griffero così descriveva, alcuni anni fa, la “vergogna vicaria”, quella che in inglese – soprattutto nel contesto dei social network – si chiama “cringe”. (post su Facebook dalla pagina “Treccani”, 19/7/2020)
Per capire meglio le accezioni di questa parola nella nostra lingua sarà utile ripercorrerne la storia a partire dalle sue origini inglesi, passando per l’evoluzione che ha avuto sul web, fino agli esiti nel gergo giovanile italiano.
In inglese
Nella lingua inglese cringe è sia un verbo intransitivo sia un sostantivo; deriva dall’inglese medio crenge, crenche, dall’inglese antico cringan ‘piegarsi, arrendersi, cadere in battaglia’, di origine germanica, e collegato all’olandese krengen ‘inclinarsi’ e al tedesco krank ‘malato’ (cfr. Oxford Dictionary su lexico.com https://www.lexico.com/definition/cringe).
Il verbo to cringe è presente nella lingua inglese, secondo il Merriam-Webster https://www.merriam-webster.com/dictionary/cringe, a partire dal XIII secolo nel significato di ‘to draw in or contract one's muscles involuntarily (as from cold or pain)’ (rannicchiarsi o contrarre i muscoli involontariamente come per il freddo o per il dolore). Oltre a questo significato, il dizionario ne registra altri tre: ‘to recoil in distaste’ (indietreggiare per il disgusto), ‘to shrink in fear or servility’ (rannicchiarsi per paura o per servilismo), ‘to behave in an excessively humble or servile way’ (comportarsi in modo eccessivamente umile o servile). Oxford Dictionary e Cambridge Dictionary registrano inoltre i valori di ‘experience an inward shiver of embarrassment or disgust’ (provare un brivido di imbarazzo o disgusto) e ‘to feel embarrassed and ashamed about something’ (provare imbarazzo e vergogna per qualcosa). Con funzione di sostantivo cringe, nel significato di ‘the act of cringing’, è invece attestato per la prima volta nel 1597.
Attualmente cringe è registrato dall’Urban Dictionary nel significato di “when someone acts/ or is so embarrassing or awkward , it makes you feel extremely ashamed and/or embarrassed” (quando qualcuno si comporta o è così imbarazzante o inopportuno da farti sentire estremamente pieno di vergogna e/o imbarazzato).
Nei dizionari inglesi sono registrati anche gli aggettivi informali cringeworthy e cringey (varianti cringy o cringe-y) nel significato di ‘molto imbarazzante, che provoca imbarazzo’, e i composti cringe-comedy o cringe humor (americano humour), e cringe-making.
Cringe humor e cringe-comedy si riferiscono a un tipo di umorismo che fa ridere di cose molto imbarazzanti e al genere artistico basato su questo tipo di umorismo. In questa accezione la parola cringe-comedy è comparsa anche in Italia, in quanto genere cinematografico americano citato dal regista Alessandro Genovesi in diversi articoli e interviste durante la promozione del film “La peggior settimana della mia vita”, uscito nel 2011:
Gli americani catalogherebbero il tipo di commedia che ho scelto nel filone cringe che letteralmente significa accucciarsi e sta ad indicare una comicità 'imbarazzante', tutta drammaturgicamente incentrata e messa in scena su gag a ripetizione che portano avanti la storia. Quando ci è stato proposto il progetto devo dire che sia io e che Fabio [De Luigi] l’abbiamo trovato interessante, ci piaceva realizzare una commedia popolare ma allo stesso tempo sofisticata e visivamente di ottima fattura, insomma appartenente a un genere che non si vede molto da noi e in generale è poco sviluppato (intervista di Luciana Morelli, La Capotondi e De Luigi presentano La peggior settimana della mia vita, movieplayer.it, 21/10/2011).
Diretta dall’esordiente alla regia Alessandro Genovesi in stretta collaborazione con il protagonista e co-sceneggiatore Fabio De Luigi con questa pellicola siamo dalle parti della ‘cringe comedy’ ovvero di quelle storie dove si inanellano una serie di situazioni imbarazzanti, estremamente divertenti, le cui soluzioni pensate dai vari protagonisti non fanno che peggiorare la situazione (Nicoletta Gemmi, Una risata ci salverà: La peggior settimana della mia vita!, globalist.it, 22/10/2011).
Cringe-making è l’aggettivo, marcato dal Merriam-Webster come informale, che rimanda al significato assunto da cringe nel web e da cui presumibilmente, e in parallelo a cringe-worthy, deriva cringe come abbreviazione della forma composta: ‘someone or something that is cringe-making is so bad that you feel embarrassed’ (qualcuno o qualcosa che fa rabbrividire ed è così spiacevole che ti senti in imbarazzo).
La diffusione in rete e fuori dalla rete
Come già detto, l’ambito d’origine e di diffusione di cringe nella lingua italiana è il web, in particolare i social network e le piattaforme di video e streaming come YouTube e Twitch. Il momento di massima viralità del termine si è avuto tra il 2015 e il 2016, quando ha iniziato a spopolare tra i giovani una serie di video caricati su YouTube intitolati “Try not to cringe”, raccolte di clip con situazioni ridicole o imbarazzanti, che hanno dato vita a delle sfide virtuali (le cosiddette challenge): letteralmente “prova a non cringiare”, ovvero a non provare un “disagiante” imbarazzo guardando tali video. A vostro rischio, potete farvi un’idea di ciò di cui parliamo digitando su Youtube la stringa “Try not to cringe”. La crescita della popolarità di cringe su YouTube è ben verificabile anche dai grafici di Google Trends relativi alle ricerche sulla piattaforma, sia a livello internazionale sia in Italia:
Cringe è notevolmente diffuso su Instagram e Tik Tok, i social più frequentati dai giovani. La natura di questi social network non ci permette di verificare il reale numero di occorrenze né di distinguere l’effettiva diffusione secondo diverse zone geografiche; per avere un indizio sulla popolarità del termine possiamo prendere in considerazione la diffusione degli hashtag https://accademiadellacrusca.it/it/parole-nuove/hashtag/11434, sottolineando però che in questo caso si tratta di dati su scala globale e non nazionale. L’1/12/2020, su Instagram #cringe conta 23,2 milioni di occorrenze, ma sono molto popolari anche hashtag come #cringememes (2,5 milioni), #cringeworthy (216 mila), #cringey (605 mila), #cringevideo, #cringemusically e anche #cringetiktok (124 mila) con riferimento ad alcuni tipi di video sul social network considerati, appunto, cringe. Su Tik Tok, social prettamente giovanile, le occorrenze di #cringe salgono infatti a 5,3 miliardi; molto in uso anche hashtag come #cringey (764,9 milioni), #tiktokcringe (44,9 milioni) #cringeee, #cringy, #funnycringe, #cringechallenge, #cringememes.
In Italia cringe circola maggiormente nell’oralità. Si sente spesso in bocca a personaggi del web e streamer (ovvero coloro che realizzano e pubblicano video su piattaforme come YouTube e Twitch), ed è impiegato sia come sostantivo maschile invariabile sia come aggettivo:
Mi piace stare a contatto con i ragazzi della chat, mi piace parlarvi della mia vita e mi piace ascoltare voi che mi parlate della vostra di vita, però ci sono delle cose che rendono tutto ciò molto pesante. Il dover tenere sempre il sorriso. Il dover mettere maschere, per piacere alle persone. Creare situazioni cringe e trash per aumentare il proprio pubblico (dichiarazione di Ivan Grieco riportata in Mr. Keba, Ivan Grieco si prende una pausa di Twitch: ecco perché e quando tornerà, webboh.it, 29/5/2020).
I punti “Maronne” servono a qualcosa? Dipende. Se vuoi che io ti segua su Instagram… Cringe quel premio! Però c’è chi l’ha riscattato (trascrizione dal video di Kyrenis, Stream Highlights #37 - Pure dimostrazioni di... Amore., minuto 8:23, YouTube, 17/2/2020).
In questi giorni avendo visto Daniele live posso dire che è un mix perfetto tra il coraggio di Panetti e il cringe di Paolo (commento di un utente al video Mamma Sdrumox sia fiera di suo figlio e del suo nuovo outfit, YouTube, dicembre 2019)
Secondo alcuni articoli trovati in rete, la diffusione della parola in Italia si deve anche ai Tropea, un gruppo musicale milanese:
Partiamo dal principio: da dove proviene questa simpaticissima parola? Difficile dare una risposta a questa domanda. Sappiamo però che tra i primi a pronunciarla in Italia ci sono i Tropea, un gruppo musicale underground milanese che in alcune sue canzoni ha utilizzato il termine cringe per irridere, tra gli altri, gli e-boys e le e-girls, ovvero quei ragazzi che sono soliti flirtare virtualmente (Gabriele Scaglione, Cringe, una parola usata e abusata. Ok, ma che significa?, Faccecaso.com, 6/9/2020).
Identificare una data di prima attestazione per cringe, data la sua natura, non è semplice. Le prime attestazioni si hanno a partire dal 2011 con il riferimento a cringe comedy e al film di Genovesi, che abbiamo citato sopra. Ma, al di là del genere cinematografico − che è comunque semanticamente affine e che probabilmente ha influito sulla diffusione della parola −, nell’accezione che a noi interessa si possono rintracciare su Twitter attestazioni già a partire dal 2012:
Meno complesso è verificare la crescita della diffusione di cringe. Dal grafico che fornisce la ricerca su Google Trends vediamo che le ricerche in Italia crescono a partire dal 2015, quando appunto iniziano a diffondersi i video “Try not to cringe”, aumentano notevolmente nel 2019 e arrivano al picco massimo nel 2020:
Tra le pagine in italiano di Google emergono 402.000 risultati per cringe, 2.070 su Google libri (ricerche dell’1/12/2020). Guardando ai contesti possiamo verificare che i risultati di Google libri sono quasi interamente rumore o voci di dizionari bilingui inglese-italiano. Su Google Italia invece troviamo occorrenze in numerosi blog, articoli e commenti di utenti, spesso legati al mondo della musica, dei social, dei videogiochi, del cinema e della televisione:
C’è un termine inglese che negli ultimi tempi, nel fantastico mondo di internet, è un po’ sulla bocca di tutti: cringe. […] Ecco, se cercassimo un’espressione per descrivere tutto quello che al momento sappiamo su Sotto il sole di Riccione, nuovo film Netflix prodotto in associazione con Mediaset in uscita l’1 luglio e diretto da YouNuts!, soggetto di Enrico Vanzina e colonna sonora di Tommaso Paradiso, ecco – dicevamo – l’espressione più adatta per parlarne sarebbe proprio questa: cringe (Michele Castelnovo, "Sotto il sole di Riccione", Tommaso Paradiso e la sagra del cringe, Frammenti Rivista, 7/6/2020).
Comunque parte della shitstorm penso sia dovuta al cringe che suscita una striscia così insulsa, di drammaticità spicciola fatta non-ironicamente. (commento di un utente sul forum di “IGN Italia”, nella discussione L'angolo delle immagini divertenti: l'isola felice in una chiacchiera devastata dai boomer, 5/4/2016)
The Flash si inserisce perfettamente nel quadro generale, in quanto fin dall’episodio pilota si dimostra una serie sì supereroistica, ma anche pregna di momenti stile soap opera che sono il cringe supremo […] (dal blog “Il Sociopatico”, The Flash, la recensione più veloce del mondo, 9/10/2014).
A riprova della crescente popolarità della parola, vi sono diversi articoli di quotidiani che, negli ultimi mesi, hanno dedicato spazio proprio alla spiegazione di cringe e dei suoi usi, come ad esempio il pezzo del “Foglio” di cui riportiamo qui alcuni brani e nel quale si accosta il termine alla parola tedesca Fremdschamen, “che è la vergogna per interposta persona”:
Prima di tutto, quindi, bisogna scoprire che cos’è il cringe, perché se non lo sai ci sono grosse probabilità che tu qualche volta sia stato troppo cringe. […] Cringe significa, più o meno, imbarazzante, ma è di più. È il disagio per qualcosa che non ha funzionato e che però ci si era impegnati a far funzionare. […] Mia figlia usa spesso questa parola per serie tivù imbarazzanti, spesso fantasy, o per scene di film, o per personaggi di serie o di film che nelle intenzioni di chi ha fatto quel film dovrebbero essere brillanti, spiazzanti, sorprendenti, e invece sono solo terribilmente, desolatamente cringe. O per video di youtube che non fanno ridere, ma intanto il protagonista del video per cercare di far ridere ha già perso la dignità. Il cringe è vicino al trash: ma mentre il trash è sempre anche cringe, il cringe non è necessariamente trash. Un padre che racconta le barzellette che non fanno ridere per risultare simpatico agli amici di suo figlio non è per forza trash, anzi in quel suo essere cringe c’è anche qualcosa di positivo, e nel trovarlo tremendamente cringe c’è una manifestazione di affetto e di pietà (Annalena Benini, Tutto quello che si deve sapere sul cringe, per non caderci dentro, “Il Foglio”, 17/1/2020).
L’uso effettivo di cringe rimane comunque piuttosto limitato al suo ambito d’origine e al gergo giovanile. Infatti le occorrenze negli archivi della stampa italiana sono scarse o nulle: nessun risultato emerge dagli archivi del “Corriere” e della “Stampa”, mentre possiamo rintracciare tre occorrenze in quello della “Repubblica”, la prima risalente al 30/3/2020:
Salvini si è unito, in quello che un mio spettatore di Casa Lateral ha definito “la definizione esaustiva di cringe”. Ossia quel momento in cui l’imbarazzo per qualcun altro coincide con il proprio, in una sorta di loop dell’anima che rischia di essere perpetuo (Luca Bottura, D’Urso, Salvini e l’eterno imbarazzo (che loro non provano), “La Repubblica”, 30/3/2020).
Per gli scarsi risultati che emergono dai corpora di italiano contemporaneo (come “itTenTen16” e “Timestamped”) rimandiamo all’analisi di Enzo Santilli, nell’articolo Una nota cringe sulla parola cringe pubblicato il 26/10/2019 e aggiornato il 20/6/2020 nel blog “Fatti di Lingua”, che evidenzia rare e sporadiche occorrenze a partire dal 2016.
I derivati italiani
Come già accennato, in Italia si sono diffusi anche diversi derivati di cringe, alcuni giunti direttamente dall’inglese – come cringe-worthy (10.600 risultati su Google Italia), cringey (97.000 risultati) e cringe comedy (2.240 risultati) – altri adattati alla morfologia dell’italiano. Tra questi ultimi sono più o meno discretamente attestati il superlativo cringissimo, il verbo cringiare, il participio/aggettivo cringiante, il sostantivo cringiata.
Il superlativo assoluto cringissimo conta 5.610 risultati su Google Italia (1.070 per il femminile cringissima; ricerca dell’1/12/2020) ed è identificabile come un ibridismo “una parola alla cui formazione concorrono elementi provenienti da sistemi diversi” (cfr. Treccani “Enciclopedia dell’italiano”). Sebbene sia scarsamente attestato nello scritto, pare piuttosto frequente nell’oralità e nel gergo giovanile:
Odi la Dark Polo sì ma quanto è bravo Sick Luke - così andava un molto poco memorabile pezzo di qualche anno fa, per mano di un cringissimo Raina (Vittorio Farachi, Neverland Recensione, rockit.it, 14/10/2019).
Il participio presente usato con valore aggettivale cringiante è tra tutti il meno attestato nello scritto (54 risultati su Google Italia, maggiori invece le attestazioni sui social network) ma, se cringe perdurerà nell’uso, è probabile che anche l’impiego dell’aggettivo si espanderà:
Capisco perché a molti il #MITB match non sia piaciuto. Personalmente l’ho trovato sia divertente che “cringiante”, ma alla fine mi ha fatto ridere più di un paio di volte quindi va bene. Comunque non lo riguarderei (Tweet dell’11/5/2020).
Cringiata è invece il sostantivo costruito col suffisso derivativo italiano -ata, (come nevicata o telefonata), che identifica ciò che è/provoca cringe. È registrata su Slengo come parola derivata dall'inglese to cringe che “indica qualcosa che genera imbarazzo e mette a disagio” («Hai visto Salvini su TikTok?» «Madò sì, che cringiata assurda!»). Su Google Italia conta solo 932 risultati, ma è presente un’occorrenza su Google Libri all’interno di un libro pubblicato nel 2020 da due giovani autori italiani (classe 1996 e 1993):
«Cringe» era la parola che in quel periodo i 24/129 gang usavano per definire le cose terribilmente imbarazzanti, così imbarazzanti che facevano senso. Quel giorno, al CRE, Domenico capì cosa voleva dire davvero. Quella era la cringiata definitiva (Paolo Bontempo, Gianluca Dario Rota, Giugno, Sperling & Kupfer, 2020).
Infine, discretamente diffuso è il verbo cringiare, adattato alla morfologia italiana col la desinenza -are della prima coniugazione e usato sia nel significato di ‘provare imbarazzo’ sia in quello di ‘suscitare imbarazzo’, prevalentemente nella forma riflessiva del tipo quella cosa mi/ti/ci cringia:
Comunque niente, mi sforzo di non avere pregiudizi su sto disco ma al secondo ascolto, arrivato a metà mi sono stufato ed ho lasciato perdere. L’unica che si salva per me resta freestyle. Non posso farci niente ma i vari bu bu bu bla bla bla skr skr skr mi cringiano, non ce la faccio ad ascolta sta roba. Sono condannato al boomerismo ma Mr Fini, Persona, 17 sono capolavori in confronto a sto disco (commento di un utente su Nill Forum, 24/11/2020).
Comunque il servizio del #tg1 sui due fidanzatini mi ha fatto cringiare pesantemente (Tweet del 2/4/2020)
I risultati su Google Italia per la forma all’infinito del verbo sono 3.080, 586 per la forma cringia, 352 per cringiano, 2.020 per il participio passato cringiato usato nei tempi composti. L’esempio riportato su Slengo ribadisce, in modo neanche troppo implicito, il carattere prevalentemente giovanile di cringe e dei suoi derivati:
«Vieni a cena da Mamma e papà?»
«No grazie non ho voglia di cringiare tutta la sera.»