DOI 10.35948/2532-9006/2025.36417
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Eleonora S. e Lolita N. si interrogano sull’esatto significato dell’espressione con buona pace di; la prima si chiede se sia corretta anche l’alternativa per buona pace.
La locuzione italiana con buona pace di è attestata già nel Convivio di Dante (in cui l’autore, esule, si augura di tornare nella sua città, Firenze, “con buona pace di quella” I.III.4). Essa corrisponde al latino pace (ablativo di pax pacis ‘pace’), che significa ‘col beneplacito’, ‘senza offesa’. “Pace tua dixerim” ‘lo dirò senza offesa per te’, scriveva già Cicerone (Tusculanae disputationes, V.12), mentre un altro scrittore latino, Tito Livio, impiegava con lo stesso significato la formula cum bona pace (Ab Urbe condita, XXXI.24.5), più simile a quella che si è affermata in italiano.
Nella lingua di oggi, dire o fare qualcosa con buona pace di qualcuno significa farlo ‘voglia o non voglia questo qualcuno’, cioè indipendentemente dal suo accordo o dalla sua approvazione: l’espressione ha assunto una sfumatura ironica che viene segnalata dai principali dizionari dell’uso, come ad esempio il GRADIT di Tullio De Mauro, il Sabatini-Coletti 2024 e il Nuovo Treccani, che riportano esempi del tipo di “ce l’ho fatta, con buona pace degli invidiosi”. Tipicamente ironico, in effetti, è l’impiego di simili formule nella letteratura scientifica o nella produzione forense, quando al termine di una dimostrazione o di un accertamento, si tirano le conclusioni con buona pace di (o latinamente pace) chi in precedenza ha affermato o presupposto il contrario: “Con buona pace di Tizio, abbiamo dimostrato che…”, “Pace Caio, si è provato che…”.
Ma l’uso ironico o polemico non è l’unico possibile: il GDLI Grande dizionario della lingua italiana fondato da Salvatore Battaglia (consultabile in linea) considera con buona pace una “formula attenuativa per introdurre un’affermazione sgradevole o contrastante con l’opinione espressa da tale persona o attribuitale”. Più un riguardo, insomma, che un’ironia.
Ancora Dante (Purgatorio, II.99) impiegava la variante con tutta pace, che l’Enciclopedia dantesca della Treccani (s.v. pace, di Domenico Consoli) considera “più intensa”. Essa mostra in realtà che in italiano, come già in latino, la formula conosce alcune varianti, sostanzialmente affini quanto al significato. Lo stesso GDLI registra, tra le locuzioni formate con pace, assieme a con buona pace anche gli equivalenti con pace (Ludovico Ariosto), pace a qualcuno (Carlo Bernari), salva pace (Bartolomeo Crescenzio), oggi disusati ma non scorretti o arbitrari. L’alternativa per buona pace segnalata da Eleonora S. può dunque considerarsi accettabile: la si trova, peraltro, già nel fiorentino Bono Giamboni (vissuto nel Duecento), anche se senza il complemento di specificazione, dunque con valore avverbiale e con significato alquanto diverso: “per buona pace umilmente e senza neuno patto pregati” (volgarizzamento di Paolo Orosio, 7.42, rintracciabile nel corpus dell’OVI, Opera del vocabolario italiano).
Insomma, con buona pace di chi pensa che la norma dell’italiano sia rigida, in questo come in molti altri casi alla soluzione usata più comunemente si affiancano varie alternative.