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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Negazionismo e sciopero della fame

Vittorio Coletti

PUBBLICATO IL 03 settembre 2021

Quesito:

Ci sono giunte due domande che, pur nella diversità delle parole su cui ci interrogano, hanno in comune una ragione non grammaticale ma semantica: si tratta di negazionismo, e precisamente del suo impiego per indicare l’atteggiamento di chi nega o sottovaluta la realtà della pandemia in corso, e di sciopero della fame, e della sua imprecisione, visto che chi sciopera in quel modo non sembra astenersi dalla fame e anzi pare accrescerla.

Negazionismo e sciopero della fame

Negazionismo

Nel caso di negazionismo (e negazionista connesso) si osserva uno spostamento di ambito d’uso, da quello storiografico a quello sanitario. Negazionismo, anche se ha qualche antecedente in senso psicologico per nominare un atteggiamento di rifiuto generico (in questo senso Google lo attesta in un libro del 1948, Maurice Debesse, La crisi d’originalità giovanile, come “negazionismo fisiologico”), è parola che compare con una certa frequenza dalla fine del Novecento per indicare la negazione della realtà o anche solo della tragica enormità della Shoah. Il negazionista è chi sostiene, condivide la teoria del negazionismo. Oggi queste due parole stanno passando a nominare anche convinzione e figura di chi nega la realtà o la gravità dell’epidemia da Coronavirus, con un mutamento di ambiti pienamente lecito e comune, come a un nostro lettore ha già fatto ben osservare l’interlocutore da lui citato.

Succede spesso che una parola emigri da un settore all’altro, come il collasso che dalla fisiologia umana è passato all’astronomia, all’economia ecc. Non c’è niente di male, anche se è bene rifletterci su. Negazionismo sta per negazione di qualcosa di specifico (lo sterminio degli ebrei). Siccome questa è la negazione più grave e pericolosa (per le sue implicazioni sul piano politico) degli ultimi anni, il suo nome la indica per antonomasia, omettendo ciò che viene negato. Di qui la sensazione di improprietà semantica che chi ci scrive ha avuto sentendo parlare di negazionismo per la negazione dell’epidemia.

Per approfondire la questione prendiamo una parola analoga: negativismo, usata da anni in psichiatria per indicare una tenace opposizione a qualsiasi gesto venga proposto o imposto e, in senso generico, un atteggiamento negativo di fronte a qualsiasi cosa. Ma un conto è la negatività, atteggiamento psichico, psicologico che non richiede necessariamente di essere precisato, un conto la negazione, atteggiamento intellettuale, concettuale, il cui oggetto dovrebbe essere specificato. Il negativismo, a rigore, non ha bisogno di essere dettagliato, perché in qualche misura chi ne è affetto nega tutto o quasi. Il negazionismo invece è la negazione di un fatto specifico e in associazione al fatto specifico della Shoah la parola si è affermata negli ultimi anni, al punto da ometterlo tanto è in essa implicito. È lecito allora usare negazionismo per sottintendere una realtà negata diversa da quella della Shoah, la pandemia? Certo, si potrebbe parlare, esplicitamente e senza sovrapposizioni di senso, di “negazione dell’epidemia”, ma non si darebbe all’espressione la stessa carica semantica, di atteggiamento diffuso, purtroppo condiviso, teorizzato, ideologico che sta invece dentro l’-ismo né si sottolineerebbe altrettanto bene la sua assurdità denunciata dall’analogia col negazionismo storico. Negazionismo riversa sulle convinzioni di chi nega una realtà scientificamente conclamata quel sovrappiù di riprovevole che circonda il negazionismo storico. Se vogliamo, gli conferisce anche un’importanza che chi lo sostiene non meriterebbe. Ma la valenza giustamente negativa del negazionismo ci sta tutta per chi è così stolto da negare l’epidemia o attribuirla a cause immaginarie. Resta il problema di distinguere i due diversi negazionismi, cosa non difficile nel contesto; e speriamo che una rapida fine dell’epidemia tolga di mezzo quello della Covid e che un aumento di saggezza e di conoscenza spazzi via altrettanto presto quello storico.

Sciopero della fame

Il dubbio dei nostri lettori è legittimo. Se sciopero significa astensione da qualcosa che è dovuto (lavoro, pagamento di un biglietto, studio, servizio ecc.), la fame non è certo sospesa durante uno sciopero della fame, anzi è più operosa che mai. Il DELI spiega che l’espressione risale a un articolo della “Civiltà cattolica” del 1920 che (probabilmente traducendo in italiano hunger strike inglese) riferisce che i patrioti irlandesi incarcerati dagli inglesi, per protesta, si astenevano dal cibo e si condannavano a morire di fame. Di qui l’espressione, poi diventata comune e celebre anche per via di alcuni scioperanti famosi, come Gandhi o, qui in Italia, Marco Pannella. Analizziamo più da vicino questo sintagma. Com’è noto, il determinante può essere, dal punto di vista logico, sia il complemento oggetto del determinato (la cattura dell’evaso) sia il suo soggetto (la fuga dell’evaso). Se c’è uno sciopero del panino, è chiaro che panino è l’oggetto e se c’è quello del trasporto pubblico, il trasporto pubblico è il soggetto. Allora, la fame è soggetto o oggetto dello sciopero? Se fosse oggetto, come si potrebbe conciliare col fatto che chi fa questo sciopero non si astiene dalla fame, ma dal cibo, come hanno notato i nostri lettori? È però vero che lo scioperante si sforza di non sentire ovvero di sopportare la fame (la sospende) e, in questo senso traslato di sciopero, la fame sarebbe oggetto. Se la fame fosse soggetto, infatti, essa si asterrebbe dal far sentire i propri morsi: ma allora lo scioperante sarebbe più la fame che la persona. Insomma, l’espressione non è proprio trasparente. Ma il senso è chiaro lo stesso. Non solo perché il lessema è ormai familiare in italiano, ma anche perché il passaggio dalla causa (non assumere più cibo) all’effetto (la fame) è frequente nelle lingue (“piove in casa” per ‘il tetto è rotto’). Certo, si poteva dire sciopero del cibo o dell’alimentazione e si sarebbe stati più precisi. Ma sciopero della fame (e così sciopero della sete), dopo tanti anni, non lascia più dubbi a nessuno (se non a osservatori meticolosi e accorti dell’italiano, come i nostri lettori, con i quali voglio complimentarmi).

Cita come:
Vittorio Coletti, Negazionismo e sciopero della fame, “Italiano digitale”, XVIII, 2021/3 (luglio-settembre), pp. .

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