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Consulenza linguistica | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Mi piacerebbe sapere... Ho il piacere di rispondereCristiana De SantisPUBBLICATO IL 19 dicembre 2025
Quesito: Molte domande giunte alla redazione chiedono di spiegare il funzionamento della costruzione infinitiva retta da verbi come piacere e dispiacere, e in particolare quando e se si usi la preposizione di per introdurre l’infinito. Mi piacerebbe sapere... Ho il piacere di rispondereIl verbo piacere e il suo contrario dispiacere (formatosi già in latino con l’aggiunta del prefisso oppositivo dis-) sono considerati dalle grammatiche verbi impersonali, dal momento che vengono usati prevalentemente alla terza persona singolare in assenza di un soggetto esprimibile con un pronome personale. Questa dicitura è in realtà impropria: si tratta infatti di verbi che prendono un soggetto, che viene però tipicamente posposto al verbo e collocato nella posizione tipica dell’oggetto (come accade nei cosiddetti verbi “inaccusativi”, cioè gli intransitivi che richiedono come ausiliare essere); trattandosi di verbi trivalenti, oltre al soggetto prendono di regola un oggetto indiretto, introdotto dalla preposizione a oppure espresso in forma di pronome clitico collocato prima del verbo (“a qualcuno piace x...”, “mi piace x...”), che molte grammatiche considerano “soggetto logico” della frase, dal momento che introduce (sia pure in forma indiretta e senza accordarsi col verbo) il partecipante che sperimenta lo stato di piacere/dispiacere causato da un certo stimolo (sul funzionamento di questo e di altri verbi psicologici, cfr. Cennamo 2012). In realtà, come abbiamo detto, questi verbi un soggetto ce l’hanno: se si tratta di un nome (o un gruppo del nome), il verbo si accorderà al nome: “Ai bambini piace la cioccolata / Mi piacciono i cioccolatini”; “L’ultimo film di Wenders non mi è dispiaciuto / Gli ultimi film di Wenders non mi sono dispiaciuti”. Se invece, come spesso accade, il soggetto è un’intera frase “soggettiva”, il verbo sarà coniugato alla terza persona singolare; si noti che la frase può essere di forma esplicita, introdotta da che: “Ai potenti piace che la guerra continui”; “Mi dispiace che tu non sia venuto”; oppure di forma implicita, se il soggetto della frase infinitiva coincide con l’oggetto indiretto della frase reggente: “Mi piace insegnare italiano” (chi insegna italiano è la stessa persona che dice io e che prova piacere nel farlo); “A tutti dispiace avere perso la partita” (chi perde al gioco è l’insieme universale delle persone che si dispiacciono dopo la sconfitta). Proprio nel caso della reggenza di una frase infinitiva – che, come abbiamo detto, ha funzione di soggetto (e viene perciò chiamata soggettiva) e funziona come argomento del verbo reggente che va a completare (e viene perciò chiamata anche “completiva”) – si pone il problema dell’uso dell’introduttore di: alcuni verbi, infatti, fanno precedere la soggettiva dalla preposizione, altri possono essere seguiti direttamente dall’infinito. Nel caso di piacere e dispiacere la questione è complessa perché, nonostante l’evidente relazione di significato tra i due verbi, il comportamento sintattico sembra essere diverso. Nella grammatica di Serianni (Serianni 1988, XIV § 68), i due verbi sono elencati tra quelli con i quali “il costrutto implicito è possibile con o senza il di davanti all’infinito”. Venendo all’oggi, anche lo studio sulla sintassi della frase complessa di De Roberto (2023, p. 101) accomuna il comportamento dei due verbi, che ammettono entrambe le costruzioni anche se “tendono oggi a selezionare la costruzione senza preposizione (Ai bambini piace correre in giardino). La variante senza preposizione sembra appartenere a un registro formale: A Carla piace nuotare nell’oceano”. Eppure, come ci fanno notare molte delle persone che hanno scritto, la preposizione di sembra essere più frequente con dispiacere che con piacere. Proviamo a vedere le costruzioni più da vicino. Consultando la Grande grammatica italiana di consultazione (Renzi-Salvi-Cardinaletti 1995, vol. II, IX.4.1.2), troviamo intanto alcuni chiarimenti: piacere è considerato un verbo che normalmente non è seguito da di, ma può esserlo nella lingua letteraria (viene citato un esempio tratto da un romanzo di Aldo Palazzeschi: “Egli farà quello che gli piace di fare” [I fratelli Cuccoli, Firenze, Vallecchi, 1967, p. 93]: da notare che l’infinito è alla fine della frase, il che potrebbe favorire la presenza della preposizione). Questa affermazione sembra dare ragione a una delle persone che ci scrivono, la quale presenta un altro esempio letterario, tratto questa volta da Ignazio Silone: “Mi piacerebbe di esser sepolto così” (da una lettera a Don Orione; il testo è stato riprodotto sulla tomba di Silone). Possiamo aggiungere che la presenza della preposizione di è considerata la regola da Raffaello Fornaciari (1881, parte II, cap. V, § 6), che distingue però tra prosa e poesia: nei versi sarebbe frequente l’omissione del di. Questo uso, per l’italiano dei secoli passati, è confermato dal GDLI: tra i tanti esempi ne scegliamo uno tratto dal Decameron di Boccaccio (“Quello che a un cavalier pistolese n’adivenisse... mi piace di raccontarvi”, III giornata, novella 5, par. 3) e uno dalla Commedia di Dante (“Or ti piaccia gradir la sua venuta”, Purg. I, 70; ma si veda invece Inf. X, 24: “piacciati di restare in questo loco” – evidentemente contano anche la posizione nel verso e le ragioni metriche). Non va poi dimenticato che, come suggerisce lo stesso Fornaciari, la presenza della preposizione potrebbe essere dovuta a un calco: nell’Ottocento, evidentemente, dal francese; oggi, piuttosto, dall’inglese (anche se in inglese il verbo corrispondente, (to) like, è transitivo e ha una costruzione inversa rispetto all’italiano, con l’esperiente in posizione di soggetto della frase e l’infinitiva che esprime l’esperienza in posizione di oggetto). Lo stesso lettore ipotizza che l’uso della preposizione di possa essere favorito nell’uso contemporaneo non tanto da un fattore esterno come la volontà di innalzare il registro, ma da un fattore interno come la presenza della forma passiva dell’infinito retto da piacere (nell’esempio di Silone essere sepolto). Si tratta di un indizio interessante, che ci suggerisce di guardare alla forma del verbo dell’infinitiva come a un fattore che possa incidere sulla presenza della preposizione, anche per una questione di eufonia (nella pronuncia può essere comodo inserire un di tra piace e essere). Questa componente sembra contare soprattutto nel caso del verbo dispiacere, che nell’italiano contemporaneo è molto più spesso seguito da di rispetto a piacere: da un sondaggio fatto sul CORIS/CODIS risultano solo 4 esempi di piace di + infinito, contro 150 esempi di dispiace di + infinito. Osservando questi esempi, notiamo in effetti che l’infinito è di regola al tempo passato, come giustamente nota un’altra delle persone che ci scrive: se ci si dispiace per un fatto che è avvenuto o che non è avvenuto, contro i propri desideri, si usa di. Questa osservazione sembra concordare con quanto si legge in Renzi-Salvi-Cardinaletti 1995, secondo cui “con i verbi dispiacere, rincrescere e ripugnare, se l’infinitiva indica un fatto, è obbligatorio di; se l’infinitiva indica invece un desiderio, l’alternanza è libera”, come nella forma di cortesia “Ti dispiacerebbe (di) aspettarmi fuori?” (vol. II, IX.4.1.2). Possiamo aggiungere che, con l’infinito presente, l’inserimento della preposizione di può essere agevolato dalla presenza della negazione (“mi dispiace di non poterla aiutare”) o anche del modale dovere, come nell’esempio fornito da un altro lettore: “mi dispiace di doverti contraddire”. Ma se a essere negato è il verbo dispiacere (in un contesto in cui il significato di ‘piacere” è espresso indirettamente, in forma di litote), la preposizione di sarà omessa: “Non mi dispiacerebbe andare in vacanza”. Notiamo che il verbo dispiacere può reggere anche la preposizione per, che accentua la sfumatura causale: “Mi dispiace per averti disturbato”. Serianni cita inoltre un esempio di reggenza in a (considerata regionale e disusata), tratto da Pinocchio di Collodi: “gli dispiace a morire” (Serianni 1988, XIV § 68). Notiamo inoltre che il verbo dispiacere ha anche una variante pronominale, dispiacersi, che può reggere sia la preposizione di (“mi dispiace di non poter venire”) sia per (“si dispiace per essere stato avventato”) – gli esempi sono tratti dal Nuovo Devoto-Oli. Va detto infine che il verbo dispiacere ha un concorrente lessicale, spiacere (con riduzione del prefisso dis- a s-). Sull’alternanza tra i due verbi rimandiamo alla risposta di Vittorio Coletti. Un’altra serie di dubbi inviati alla redazione riguardano le frasi che costruiscono il predicato intorno al nome piacere (derivato dall’infinito sostantivato del verbo piacere), accompagnato da un verbo “supporto”. Innanzitutto troviamo costruzioni con il verbo fare che presentano le stesse caratteristiche del verbo piacere (si tratta di costruzioni che collocano l’esperiente in posizione di oggetto indiretto); anche in questo caso, la presenza del di è facoltativa e sembra oggi in regressione: se lo studio sulle frasi completive di Moretti (1986, p. 29) citava la frase “mi faceva piacere di sapere” (tratta da un romanzo coevo), oggi sembra più naturale dire “mi faceva piacere sapere”... Nell’italiano contemporaneo si vanno tuttavia diffondendo anche costruzioni in cui il nome piacere prende avere come verbo supporto: ho il piacere di...; ho piacere di.... In questo caso, la costruzione è personale e l’infinitiva introdotta da di è una completiva oggettiva. Secondo Moretti (1986, p. 11), questo costrutto, che ricolloca l’esperiente in posizione di soggetto, esprimerebbe una partecipazione affettiva più intensa rispetto a mi fa piacere. Ma non è escluso che, anche in questo caso, abbia agito l’influenza di costruzioni analoghe ricalcate dall’inglese. La presenza dell’articolo davanti al nome piacere sembrerebbe facoltativa, specie nelle dichiarazioni cortesi: “Ho (il) piacere di annunciare...”. In assenza dell’articolo, l’espressione si presta a introdurre anche un’oggettiva esplicita: “Ho piacere che tu mi parli” / “Ho piacere di ascoltarti”. Nota bibliografica:
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