Consulenza linguistica | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Basta una rispostaElisa De RobertoPUBBLICATO IL 17 ottobre 2025
Quesito: Non sono poche le persone che ci hanno scritto chiedendoci quale sia la preposizione da usare con basta: si dice “Basta di chiedermelo!” o “Basta a chiedermelo!”? “Basta a sprechi, basta a privilegi” o “Basta con gli sprechi, ecc.”? Altri domandano se sia corretta l’espressione avere basta di qualcosa. Basta una rispostaBastare, dal lat. *bastāre ‘essere sufficiente’ (LEI, s.v. *bastāre), è un verbo intransitivo, che può essere usato sia nella costruzione personale, per lo più con il significato di ‘essere sufficiente’ (“il riso basta per due persone”, “le sue lamentele mi bastano e avanzano”), sia nella costruzione impersonale, dove ha per argomento una frase soggettiva formata dalla congiunzione che e da un verbo al congiuntivo (anche se nei registri informali è spesso impiegato l’indicativo): “basterebbe che tu fossi un po’ più attento”; “Ma la coronella, prima che premuta dalla corrente, era bastato che fosse toccata e bagnata, perché vi si producessero parecchi franamenti” (Roberto Bacchelli, Il mulino del Po, Milano, Mursia, 1969, p. 90). La subordinata soggettiva può anche essere implicita, cioè costruita con un verbo all’infinito: in tal caso può essere introdotta dalla preposizione di, oppure seguire direttamente il verbo reggente: “basta di essere attenti / basta essere attenti”, “mi è bastato di averti detto la mia / mi è bastato averti detto la mia”. L’uso della preposizione di ad alcuni parlanti potrebbe sembrare scorretto oppure suggerire una diversa accezione semantica: secondo Skytte (1983, p. 277) “di + infinito” sarebbe limitato ai casi in cui bastare ha valore di ‘dover cessare’, in cui cioè basta funziona come interiezione secondaria (v. infra). In realtà, come mostrano gli esempi citati, bastare può essere costruito con “di + infinito” anche nell’accezione di ‘essere sufficiente’: non si tratta di un uso scorretto, ma di una forma lievemente più marginale e arcaica; è più usuale, infatti, formulare il verbo bastare con soggettive all’infinito prive di preposizione. Nella costruzione impersonale, come dicevamo, la terza persona singolare del verbo bastare si è trasformata in una sorta di interiezione secondaria e ha assunto il valore di un’esortazione che serve a interrompere un fatto, un discorso, una situazione: “basta, andiamo avanti!”. La situazione o l’atteggiamento che si invita a interrompere o a rifiutare possono essere espressi mediante complementi nominali introdotti dalle preposizioni con: “basta con le lamentele” (anche con infinito sostantivato: “basta col lamentarti sempre!”). È possibile anche l’uso della preposizione a: “basta alle lamentele”; tuttavia, è probabile che in questo caso la preposizione a sottenda un complemento di termine e derivi dall’espressione formulare, tipica del linguaggio giornalistico e pubblicitario, dire basta a qualcosa con ellissi del verbo dire: “diciamo basta al turismo di massa” > “basta al turismo di massa”; “di’ basta al calcare” > “basta al calcare”. Se invece l’esortazione riguarda un’azione o un processo, l’interiezione basta è seguita da un infinito costruito direttamente o, meno frequentemente, introdotto dalla preposizione di: “basta lamentarsi / basta di lamentarsi”, “basta fare i capricci! / basta di fare i capricci!”. Non è raro, tuttavia, in questo stesso contesto sintattico incontrare la preposizione a: formulazioni come “basta a far finta di niente” o “basta a lamentarsi”, anche se non accettate e sconsigliabili da un punto di vista normativo, si trovano tanto nel parlato quanto nello scritto. L’uso della preposizione a è favorito non solo dal modello del costrutto a complementazione nominale (“basta alle lamentele”), ma anche dal fatto che bastare può nella costruzione personale essere seguito da proposizioni con valore finale introdotte da a o per: “la farina basta a fare i biscotti”, “le tue parole non bastano a rassicurarmi”, “la farina e l’acqua bastano per fare il pane”. È probabile, dunque, che una spinta analogica determini una certa confusione nella selezione della preposizione. Senza dire che, nel caso di una diretta dipendenza dall’infinito, sarebbe solo il contesto a distinguere “basta (di) fare i capricci” nel senso di ‘bisogna smetterla di fare i capricci’ da quello, che la stessa espressione potrebbe avere e che si è citato all’inizio, di ‘è sufficiente fare i capricci!’. Quindi, riassumendo, bastare si costruisce di preferenza con l’infinito (o più raramente con “di + infinito”) nella costruzione impersonale, mentre nella costruzione personale può reggere un infinito introdotto dalla preposizione a o per. Gli usi di bastare non finiscono qui: da questo verbo si sono sviluppati diversi elementi lessicali e grammaticali. È il caso della locuzione avverbiale e basta che riferita a un verbo o a un elemento nominale assume il significato di ‘soltanto, solo’: “l’ho spinto e basta” (‘l’ho soltanto spinto, non l’ho picchiato’), “guardo un altro episodio e basta” ‘guardo un altro episodio soltanto’. Ma si pensi anche all’espressione idiomatica bastare l’animo / il cuore / la vista di fare qualcosa ‘avere la forza (anche nel senso di faccia tosta)’, spesso impiegata con negazione: “[Matilde] giudicava tuttavia che suo marito facesse male a fomentare così il vizio della principessa; ma non le bastava il cuore di rimproverarlo” (Federico De Roberto, I viceré, Milano, Chiesa e Guindani, 1894, p. 158). O ancora alla congiunzione basta che con valore condizionale-concessivo: “esci, basta che [‘purché, a condizione che’] rientri presto”. Da basta che seguito dal verbo essere al congiuntivo si è formata una perifrasi – anche univerbata nella forma bastachessia – che funziona come aggettivo indefinito di scelta libera o generalizzante (De Roberto 2023, pp. 241-245). Questo uso è attestato nell’italiano letterario dei secoli passati: il GDLI cita un esempio dall’Epistolario di Giuseppe Giusti: “Sarà felicissima l’umana società quando la donna con un libro basta che sia, potrà compensare gli aborti, i bastardi e gli adulterii!”. Oggi basta che sia appare particolarmente vitale nei dialetti e nell’italiano regionale piemontese: se ne ritrovano infatti diverse occorrenze nell’opera La chiave a stella di Primo Levi (in cui il personaggio di Faussone usa un italiano regionale popolare molto caratterizzato), che impiega l’espressione tanto in funzione aggettivale: “e essendo che appunto era un acido, non si poteva neppure metterlo dentro dei serbatoi basta che sia, ma ci volevano di acciaio inossidabile” (Primo Levi, La chiave a stella, Torino, Einaudi, 1979, p. 22); quanto in funzione avverbiale: “Poi ha proseguito: ‘Sarà ben così: io però avevo sempre pensato che la gente la impiccassero basta che sia’” (ivi, p. 30). L’espressione basta compare anche come elemento nominale nella locuzione colloquiale, diffusa in vari dialetti e italiani regionali settentrionali (LEI), avere a basta di qualcosa / averne a basta ‘ritenere sufficiente qualcosa’: “Un uomo di pelo rosso, che ne aveva a basta di quel rompimento di lagni, gli urlò dietro” (Laura Pariani, La signora dei porci, Milano, Rizzoli, 1999, p. 38). La locuzione presenta la stessa formazione dell’avverbio abbastanza, originatosi anch’esso dal sintagma preposizionale, poi univerbatosi, a bastanza (con bastanza derivato di bastare nel significato di ‘ciò che basta’, attestato sin dal XIII secolo: LEI). L’espressione avere a basta qualcosa non è presente nei dizionari italiani, ma ricorre nei dizionari dialettali: il suo uso è dunque marcato nell’italiano standard e nei registri formali, mentre nelle varietà più colloquiali rappresenta una normale coloritura regionale. Nota bibliografica:
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