Incontri e tornate | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Ricordo di Ornella Castellani PollidoriPaola ManniPUBBLICATO IL 30 giugno 2025Nel dare forma a questo ricordo di Ornella Castellani Pollidori, è inevitabile che l’immagine di lei come amica e il suo percorso di studiosa e docente si intreccino continuamente nella mia memoria. Ed è naturale che il ricordo personale sia il primo ad emergere. Seguendo quindi mio vissuto, vado al primo incontro con lei, avvenuto proprio nelle sale dell’Accademia della Crusca dove ora ci troviamo riuniti. Erano gli ultimi anni Settanta del ’900, e il professor Castellani, per il quale io tenevo le esercitazioni di grammatica storica all’Università di Firenze, aveva organizzato per il suo corso una visita all’Accademia. A quella visita partecipò anche Ornella e io la notai nel gruppo e, pensando che fosse una studentessa, magari non troppo assidua nel frequentare le lezioni (alle esercitazioni non l’avevo mai vista), ne parlai col professore che fu divertito del mio sbaglio e mi spiegò che quella era sua moglie. Non è un caso né una leggerezza, ricordare Ornella partendo da questa percezione di grazia che emanava da lei ed era di fatto una cifra del suo modo di essere che rimaneva impressa in chi l’avvicinava anche per poco o la frequentava sia pure in ambito strettamente professionale. Ho avuto modo di accorgermene quando, nel 1995, nell’Ateneo fiorentino avvenne la fusione della Facoltà di Lettere con quella di Magistero, dove Ornella aveva tenuto per un ventennio, dal 1975 al 1994, la cattedra di Storia della grammatica e della lingua italiana (dopo aver tenuto quel ruolo per quattro anni presso il Magistero di Arezzo). Noi ricercatori e docenti di Lettere ci ritrovammo quindi riuniti con quelli di Magistero in unica Facoltà, che divenne poi il Dipartimento di Italianistica. A contatto con quei nuovi colleghi, io potei percepire dal vivo tutta la simpatia (nel senso più profondo della parola) che lei ispirava come studiosa di valore e collega gentile e generosa. Del resto lei stessa ricordava gli anni passati al Magistero con accenti di particolare affezione (e forse anche con una punta di rimpianto). E ancor oggi, a distanza di tanti anni e nella dispersione delle vicende della vita, ci sono colleghi di allora che la ricordano con immutato affetto: fra questi Lucia Bertolini che, quando entrò da giovane ricercatrice nella Facoltà di Magistero – come mi ha confidato più volte – fu da lei accolta con indimenticabile premura. L’attività di Ornella in campo scientifico prende avvio con un saggio su I più antichi grecismi nautici in latino pubblicato negli Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” del 1957 (vol. XXII), nato dalla rielaborazione della sua tesi di laurea (Ricerche sui più antichi grecismi nautici nella lingua latina), discussa a Firenze, nella Facoltà di Lettere nel febbraio del 1954, relatore Giacomo Devoto. Nel decennio fra il 1960 e il 1970 i contributi si moltiplicano, accolti nella neonata rivista “Studi Linguistici Italiani”, fondata a Friburgo in Svizzera da Arrigo Castellani, dove Ornella si era trasferita con quest’ultimo, che aveva sposato nel 1952. Nei primi numeri di quella rivista, dove con respiro europeo si dibattevano questioni fondanti di grammatica storica italiana e romanza, i suoi primi lavori si inseriscono in modo quasi sommesso, dedicati ora ai nomi femminili senesi del secolo XIII tratti dai registri della Lira 5 (vol. II, fasc. I, 1961), ora all’edizione di una lettera scritta ai primi del ’300 da una monaca probabilmente lucchese, suor Chiaruccia, a un collega frate, da cui prende spunto anche a una postilla sull’alternanza fra dittongo e monottongo nella forma lieva-leva nei testi toscani antichi (vol. II, fasc. II, 1961). Non si può fare a meno di notare – e tanto più viene da notarlo in questa rievocazione alla vigilia dell’8 di marzo – come gli argomenti scelti mostrino una speciale attenzione per il mondo femminile, fatto che peraltro trova ulteriore conferma se si pensa al saggio che in quegli stessi anni lei stessa pubblicava sulla rivista “Cultura neolatina” (1966 e 1969, voll. XXVI e XXIX) dedicato all’edizione e al commento linguistico degli inediti Ordinamenti delle monache benedettine di Pontetetto (località alle porte di Lucca). Se però torniamo alla serie svizzera degli “Studi Linguistici Italiani” e guardiamo a quello che è stato l’ultimo suo contributo lì edito, vediamo che esso si inserisce nella rivista in modo davvero dirompente, articolandosi in tre parti uscite in tre numeri diversi (vol. VI, fasc. I e fasc. II, 1966; vol. VII, 1967-70) per un complesso di oltre 150 pagine: di fatto un libro (e come tale fu riproposto anche dalle stesse Edizioni Universitarie di Friburgo che pubblicavano la rivista). Alludo naturalmente alle Ricerche sui costrutti col possessivo in italiano che, suddivise in tre capitoli (I. La posizione del possessivo; II. L’articolo e il possessivo; III. L’articolo, il possessivo e i nomi di parentela), costituiscono una tappa fondamentale per gli studi sulla sintassi dell’italiano e non cessano infatti di essere tuttora citate per il contributo che offrono sia in prospettiva storica (penso ai volumi sulla sintassi antica di Giampaolo Salvi e Lorenzo Renzi o ai lavori di Maurizio Dardano), sia in prospettiva sincronica (Luca Serianni, ad esempio, nella sua Grammatica ne riprende numerosi esempi autoriali e passi esplicativi). Tale continuità nel tempo mi ha invogliato a una rilettura, dopo la quale io credo di poter dire che queste Ricerche, a distanza di oltre cinquanta anni dalla pubblicazione, restano esemplari, caratterizzate da aspetti che veramente lasciano ammirati. Anzitutto la ricchezza degli spogli. In un’epoca in cui non esistevano risorse informatiche, l’analisi si distende con straordinaria ampiezza sull’asse temporale (dai primi documenti alla norma attuale) e parallelamente sull’asse geografico (dalla Toscana alla realtà dialettale non senza alcune incursioni in altre lingue romanze), distinguendo fra poesia e prosa ma anche prestando la massima attenzione – un’attenzione affidata tutta alla sensibilità personale, mancando all’epoca le risorse offerte dalla pragmatica – a “ciò che si dice” e “alla maniera in cui ci si esprime”, ovvero a quelli che oggi si definiscono, appunto, i condizionamenti pragmatici. Altro aspetto notevolissimo è lo sforzo e la capacità di ricondurre la situazione risultante dagli spogli, spesso molto complessa e sfuggente, a motivazioni genetiche che rimandano al lento processo di evoluzione dell’articolo determinativo dal dimostrativo latino, raccordandosi al dibattito sulle origini dell’articolo romanzo che in quegli anni coinvolgeva i nomi più autorevoli della linguistica (da Aebischer a von Wartburg, da Meyer-Lübke a Gamillscheg, per citarne solo alcuni) e anticipando alcune conclusioni a cui pervengono gli studi più recenti. Dopo il rientro a Firenze, emerge con forza la vocazione filologica di Ornella, che unita alla perizia nello scavo storico linguistico dei testi, dà esiti di massimo rilievo. Nel 1974 pubblica un’edizione critica del Cesano de la lingua toscana di Claudio Tolomei (Firenze, Olschki), fondata sul manoscritto più antico e autorevole di cui disponiamo (Siena, Biblioteca Comunale, G IX 49 = S), a cui seguirà a distanza di oltre un ventennio una seconda edizione, frutto di un ripensamento critico che molto aggiunge, senza però smontare l’impianto della precedente edizione (Claudio Tolomei, Il Cesano de la lingua toscana, a cura di O. C. P., Firenze, Accademia della Crusca, 1996). Si cimenta poi con il Dialogo intorno alla nostra lingua di Niccolò Machiavelli, testo gravato, com’è noto, da dibattutissime questioni di attribuzione e datazione. Riconfermandone la paternità machiavelliana attraverso una minuziosa analisi linguistica, pubblica una nuova edizione nel 1978, riproposta, con alcune correzioni, nel 1981 (rispettivamente O. C. P., Niccolò Machiavelli e il “Dialogo intorno alla nostra lingua” con una edizione critica del testo, Firenze, Olschki, 1978; Ead., Nuove riflessioni sul “Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua” di Niccolò Machiavelli, Roma, Salerno Editrice, 1981). Sul Dialogo ritornerà ancora nel 1984 con una recensione all’edizione curata da Paolo Trovato (in “Studi Linguistici Italiani”, vol. X, fasc. I) e con altri due articoli pubblicati negli anni ’90 (Doppio binario nella questione attributiva: un caso illustre del primo Cinquececento, in L’attribuzione: teoria e pratica, Atti del Seminario di Ascona, 30 sett.-5 ott., Basilea-Boston-Berlino, Birkhäuser, 1994; In margine al “Dialogo” del Machiavelli, in “Studi Linguistici Italiani”, vol. XXV, fasc. I, 1999, dove si riconsidera il problema della datazione). Meno noto, ma assai significativo, è inoltre il contributo che Ornella darà all’edizione spagnola del testo machiavelliano curata da María Teresa Navarro Salazar, corredando il volume di un corposo Estudio de contextualización (Nicolás Maquiavelo, Diálogo en torno a nuestra lengua, Madrid, Editorial Tecnos, 2012). Passando dal Cinquecento all’Ottocento, si arriva quindi all’edizione critica delle Avventure di Pinocchio, pubblicata presso la Fondazione Nazionale Carlo Collodi di Pescia nel 1983, in occasione del centenario della prima edizione di quel capolavoro. Fu l’edizione critica di Pinocchio un’impresa ardua, affrontata da Ornella con estremo impegno e amore. Ma fu anche l’impresa che, accanto ai tanti apprezzamenti, fra cui quello di Luigi Baldacci (La Nazione, 10 giugno 1983, p. 3), si è portata dietro per anni uno strascico di sottili e talora cavillose polemiche alle quali l’autrice non si è stancata di rispondere con grande pazienza e acribia. Confesso che oggi, riconsiderando nel suo insieme la mole e la qualità di questo lavoro editoriale, svolto all’insegna di una inesausta ricerca di perfezione filologica e interpretativa, si può capire meglio quel nome di Rovella che Ornella ha assunto come accademica della Crusca, dovuto, oltre che all’assonanza col nome reale di cui è quasi un anagramma, anche alla volontà di evocare, come si legge nella scheda che descrive la pala nel sito dell’Accademia, “l'arrovellarsi di uno spirito inquieto, rappresentato dall'attorcigliarsi delle spighe di grano (nei vasetti sulla sinistra)”. Dei tanti altri temi affrontati da Ornella nel corso dei suoi studi possiamo avere un’idea sfogliando la silloge in cui, alla fine della carriera accademica, ella raccolse i suoi contributi di un quarantennio, dal 1961 al 2002. Come è detto nel risvolto di copertina, il titolo dato al volume, In riva al fiume della lingua. Studi di linguistica e filologia (Roma, Salerno Editrice, 2004), vuole richiamare il divenire continuo e multiforme della lingua e l’atteggiamento di chi dalla riva osserva e descrive lo scorrere nei secoli di quel fiume ideale. E sono veramente tanti i temi che di fatto si susseguono in quelle quasi settecento pagine, affidati a una scrittura di rara limpidezza: dai documenti delle Origini (come l’Indovinello veronese, la Formula di confessione umbra, l’iscrizione della Chiesa di San Clemente) alle tendenze linguistiche più attuali, poste già al centro del volume La lingua di plastica (ne parlerà dopo di me Paolo D’Achille); dai testi di tipo pratico alle opere dei nostri massimi autori: e ai nomi che abbiamo già citato – Machiavelli, Tolomei, Collodi – si aggiungono quelli di Manzoni, Tomasi di Lampedusa, e soprattutto Dante. E qui credo doverosa una sosta. L’interesse di Ornella per Dante è stato continuo e profondo. Ebbi modo di capirlo anzitutto assistendo ai suoi esami: era quasi una costante che lei facesse una domanda sulla lingua dantesca, che evidentemente non mancava mai di trattare nelle sue lezioni. E lo dimostra in modo inequivocabile l’insieme dei suoi studi, sebbene il nome di Dante emerga raramente nei titoli. Nella raccolta In riva al fiume della lingua sono appena due i titoli che rimandano direttamente al sommo poeta. Ma se si va all’Indice dei nomi ci si accorge che Dante è l’autore che ha il più alto numero di citazioni, percorrendo trasversalmente l’intero libro (ne risultano una settantina escludendo i due contributi dichiaratamente danteschi). Già nelle Ricerche sui costrutti col possessivo in italiano, la documentazione ricchissima degli spogli include le opere volgari di Dante, che assumono spesso un ruolo paradigmatico nel dimostrare i legami che si intessono fra scelte sintattiche, intenzionalità espressive e equilibri ritmici della frase. E dall’esposizione dei dati numerici possono derivare inediti rilievi sulla lingua dantesca (tanto più notevoli in quanto – lo ricordiamo – risalgono a un’epoca in cui i nostri studi non hanno a disposizione l’informatica, e neppure l’Enciclopedia Dantesca e i ben noti contributi sulla lingua presenti nell’Appendice, a partire dal memorabile saggio di Ignazio Baldelli). Così, a riprova della specializzazione che distingue sul piano emotivo il costrutto che antepone il possessivo al nome e quello che lo pospone, si offrono dati numerici relativi all’uso dantesco documentato nell’insieme delle opere volgari. Si osserva così che, mentre nella prosa, sia della Vita Nuova sia del Convivio, domina il costrutto antepositivo, più neutro, consono alle “disquisizioni sottili, che fanno leva più sull’intelletto che sul sentimento”, il costrutto pospositivo “appare rivalutato nella materia tanto più umana e ricca di vibrazioni emotive della Commedia” (cito da In riva al fiume della lingua, p. 528). I due contributi incentrati su Dante accolti nella silloge sono quelli più recenti, usciti rispettivamente nel 2000 e nel 2001: “Nessun /neun” (Inf. XIII 3) e il gioco stilistico in Dante (già edito in “Studi italiani”, vol. XII) in cui si evidenziano le ragioni fonico-timbriche coinvolte nell’alternarsi dei due tipi nessuno e niuno nella Commedia; e Nuova proposta per il “lucchesismo” grassarra in “De vulg. El., I XIII, 2 (già apparso in “Studi Linguistici Italiani”, vol. XXVII, fasc. I). In quest’ultimo saggio, che ha dietro di sé una lunga incubazione nelle corpose note che accompagnano le due edizioni del Cesano di Claudio Tolomei, Ornella propone di emendare la tradizionale e problematica lezione grassarra contenuta nella frase lucchese del De Vulgari eloquentia e interpretata nel senso di ‘abbondanza, prosperità’ (secondo la proposta di Aristide Marigo ripresa nell’edizione di Pier Vincenzo Mengaldo) con gassaria ‘eresia dei catari’, voce da connettere con l’aggettivo gassaro, gazzaro ‘cataro’, ben documentato nell’antico volgare lucchese, cui corrisponde come sostantivo gazaria attestato nei versi dell’Anonimo Genovese. La nuova interpretazione è fondata su solide argomentazioni di tipo filologico-testuale, storico-linguistico e contenutistico che non possiamo qui approfondire. Sta di fatto che la lezione grassarra è scomparsa dalle più recenti edizioni del De vulgari eloquentia, dovute a Mirko Tavoni (Milano, Mondadori, 2011) e Enrico Fenzi (Roma, Salerno Editrice, 2012), le quali mettono a testo gassarra, gassara da interpretarsi ‘gazzarra’, come già aveva proposto Francesco D’Ovidio (con cui Ornella stessa concordava all’altezza della prima edizione del Cesano); mentre troviamo proprio gassarìa nell’edizione del trattatello inclusa nelle Opere di Dante pubblicate dalla Società Dantesca Italiana, a cura di Giancarlo Breschi e Domenico De Robertis (Firenze, Edizioni Polistampa, 2012): edizione che riprende il testo di Mengaldo recependo però alcuni “ritocchi” da lui stesso suggeriti (cfr. ivi, pp. IX-X). Sull’argomento sono tornata anch’io in un articolo del 2018, incluso nella miscellanea di studi dedicata a Nicoletta Maraschio, «Acciò che ‘l nostro dire sia ben chiaro» (Firenze, Accademia della Crusca), senza però potermi di nuovo confrontare con Ornella, come invece avrei voluto fare. Non so dire quanto mi è mancato e mi manca il dialogo con Ornella: un dialogo che toccava temi linguistici ma anche di vita, ed era sempre sincero, stimolante e gradevole, arricchito dai tanti interessi che lei aveva in ambiti diversi: per esempio amava molto andare al cinema, ed era una lettrice appassionata, ottima conoscitrice della letteratura moderna anche sul versante straniero. Il nostro dialogo, peraltro, non si era indebolito negli anni della pensione, quando, non incontrandola più all’università, l’andavo a trovare a casa, più volte insieme con Nicoletta Maraschio. E poi c’erano le visite a Quercianella, dove in agosto convergevamo io e Luca Serianni, in un appuntamento che abbiamo continuato rispettare per quasi un ventennio, godendo della conversazione e della convivialità – si andava sempre a mangiare il pesce naturalmente – di Arrigo e di Ornella, poi solo di Ornella. E all’incontro partecipavano anche i figli che si trovavano lì, alloggiati nei “bungali”. Nel dicembre del 2024, dopo la scomparsa di Ornella, avvenuta a ottobre in giorni in cui io ero lontana da Firenze, sono tornata nella casa di via Barbacane per una visita ai figli, Elena, Ilaria e Leonardo. In quel salotto, fra gli scaffali pieni di libri e le cose ben note c’era, di nuovo, vicino alle nostre sedute, una bella foto di Ornella ritratta giovanissima, che la faceva sentire fra noi. Così anch’io vorrei concludere questo ricordo con una foto. E ho scelto questa, che risale al 2013, e precisamente al giorno in cui fu inaugurato il lascito di libri donato all’Accademia della Crusca da Arrigo Castellani. È una foto bella e particolare, perché intorno a lei c’è tanta parte della Crusca, a partire da Nicoletta Maraschio allora Presidente; e molti altri, amici e collaboratori, si potranno facilmente riconoscere. E c’è anche la sua famiglia, i figli e il nipote Beniamino. Mi è sembrato questo il modo migliore per esprimere il nostro affetto e stringerci intorno a lei nella condivisione del ricordo.
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