Incontri e tornate | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Maria Luisa Altieri Biagi: una studiosa e la sua bibliotecaCristiana De SantisPUBBLICATO IL 30 giugno 2025In questo ricordo vorrei tratteggiare la figura di Maria Luisa Altieri Biagi (1930-2017) attraverso lo sguardo un'allieva che l'ha conosciuta nell'ultima fase della sua carriera accademica, e che ha potuto ricostruirne l'intero percorso attraverso un osservatorio specifico: prima la cura (insieme a Fabio Atzori) della sua bibliografia completa (che figura in appendice al mio intervento), quindi la raccolta dei libri di lavoro e delle carte della studiosa: materiali dei quali – grazie alla fiducia della figlia Paola Altieri – ho avviato un primo riordino e una suddivisione tematica in vista della successiva donazione. Una parte di questi è stata donata all'Accademia della Crusca (di cui Maria Luisa Altieri Biagi è stata corrispondente dal 1988, socia ordinaria dal 1997), grazie all'interessamento della prof.ssa Nicoletta Maraschio e dell'allora Presidente, prof. Claudio Marazzini, che accolse la proposta nel 2018; grazie all'impegno dell'attuale Presidente, prof. Paolo D'Achille, è stata avviata la catalogazione del materiale librario e archivistico e reso possibile l'allestimento della mostra "Maria Luisa Altieri Biagi: un'accademica alla sua scrivania", inaugurata questo stesso 7 marzo presso la sede dell'Accademia, grazie alla preziosa collaborazione della dott.ssa Elisabetta Benucci, responsabile dell'Archivio storico. Un'altra parte della collezione libraria, donata alla Biblioteca del Dipartimento FICLIT dell'Università di Bologna, è ancora in attesa di essere inventariata e resa disponibile per la consultazione. L'idea alla base della suddivisione è stata quella di portare a Firenze quanto potesse alimentare le ricerche (lessicografiche e non solo) sulla lingua scientifica, uno dei filoni più ricchi e originali dell'attività della studiosa, lasciando nella sede bolognese testi e strumenti che avessero un legame più stretto con l'attività didattica svolta a Bologna da Altieri Biagi per oltre quattro decenni, a cavallo tra il mondo dell'università e quello della scuola. In questa operazione sono state "dissezionate" le diverse anime della studiosa, che in questo ricordo tenterò di ricomporre, come lei ha sempre cercato di fare per la scienza e la letteratura, messe costantemente in dialogo e inserite alla stregua di "trama e ordito nella medesima storia culturale"1. Figlia di un funzionario statale toscano, Maria Luisa Biagi nasce nel 1930 a Venezia, dove trascorre i primi dodici anni di vita. Si trasferisce quindi con la famiglia a Pisa e di qui a Firenze, dove nel secondo dopoguerra conclude gli studi al liceo classico Galileo e poi all'università (in cui entra all'età di soli 17 anni). In un'intervista rilasciata al giornale "il Resto del Carlino" il 2 giugno 20122 così racconta: Seguivo le lezioni di Giacomo Devoto, a Firenze. Erano lezioni affascinanti che spesso si trasformavano in dialoghi. Entrava in aula e riempiva la lavagna di parole indeuropee: dall'India all'Irlanda. Un giorno ci fece notare che una stessa 'radice' significava 'dare' in alcune zone geografiche e 'prendere' in altre. Chiese se ci sembrava strano che concetti così 'opposti' fossero espressi dalla stessa parola. Con un filo di voce risposi che il dare e il prendere potevano conciliarsi in una società che praticava lo scambio in natura: la parola poteva aver significato, in origine, 'scambiare' [...]. 'Come si chiama lei?', chiese Devoto. Bisbigliai il mio nome e lui lo annotò su uno scartafaccio che poi, pubblicato, sarebbe diventato Le origini indoeuropee. Fu un grande onore per me che, da allora, continuai a studiare con Devoto e - per sua indicazione - con Migliorini. Come ha ricordato Giovanni Nencioni nella lezione magistrale tenuta in occasione del conferimento della laurea honoris causa presso l'Università di Bologna nel 1996, era stato Giacomo Devoto, negli anni in cui "rifondò con compiutezza e metodo moderni l'interrotto Vocabolario della Crusca", a coinvolgere la giovane Altieri Biagi nella "raccolta del lessico tecnico mancante nelle edizioni precedenti del Vocabolario" e nello "studio della sua costituzione e tipologia"3. Da questo humus di ricerche nascono gli studi sulla lingua della scienza e della tecnica che imporranno la figura di Altieri Biagi nel panorama degli studi storico-linguistici: prima sarà la volta di Galilei (1965), al quale continuerà a dedicarsi nell'arco dell'intera carriera, poi di Malpighi (1966) e Mondino de' Liucci (1966), quindi di Francesco Redi (1968); altri ne seguiranno negli anni a venire: il Guglielmo volgare (1970), i trattati ostetrici del Cinquecento (1992), oltre ai tanti testi di scienziati del Seicento e del Settecento antologizzati e commentati4. Lavori che ambivano a smuovere quell'ammasso di produzione libraria che giaceva sotto polvere nelle nostre biblioteche, fatto di testi scientifici ma anche tecnici e pratici5, perché la "storia linguistica" (formula devotiana da lei preferita a quella miglioriniana di "storia della lingua") guardasse all'evoluzione della lingua nella sua complessità, evitando di isolarla dai suoi rapporti con la storia della società, dell'economia, della scienza6. Questo interesse per la contemporaneità si era manifestato fin dal 1968 quando, per le edizioni RAI, era uscito il volume La lingua italiana. Storia e problemi attuali, che sintetizzava il Profilo di storia linguistica italiana di Giacomo Devoto (uscito nel 1953), aggiungendovi un'appendice firmata da Altieri Biagi, dedicata alla lingua letteraria del Novecento, un filone di studi al quale la studiosa avrebbe indirizzato molti dei suoi allievi, trasmettendo loro quella stessa "disponibilità intellettuale, curiosità per il nuovo e per il diverso" che le veniva dal suo maestro8. Tornando al profilo biografico, dopo gli studi universitari e il superamento del concorso per l'insegnamento, la studiosa da Firenze si era trasferita nel 1956 a Cagliari, dove era rimasta per 8 anni, svolgendovi i tirocini per l'insegnamento medio e liceale. Nel ricordare quel periodo scriverà: "A Firenze, negli anni di studio, avevo vissuto fra Università e biblioteca Nazionale; a Cagliari l'unico legame che continuava ad ancorarmi a quel mondo era rappresentato dalla consuetudine epistolare, mai interrotta, con Giacomo Devoto"9. Nondimeno, in quegli anni si era avvicinata all'ambiente universitario cagliaritano, in particolare a Giuseppe Petronio, docente di Letteratura italiana dal 1955 al 1963 presso l'università del capoluogo sardo. A Cagliari, inoltre, Altieri Biagi iniziò a collaborare con Luigi Heilmann (titolare dal 1956 al 1957 della cattedra di Glottologia), un linguista "generale" che ricordava di avere già conosciuto durante un incontro di studio organizzato a Bologna da Giacomo Devoto e da Gino Bottiglioni, e che l'aveva colpita per la "persuasività della sua proposta strutturale"10, applicata anche in ambito dialettologico. Sempre a Cagliari, aveva sposato nel 1958 l'ingegnere Franco Altieri, assumendone il cognome. Nel 1964, accogliendo l'invito di Heilmann, si trasferisce a Bologna con la famiglia: il ritorno in continente segna di fatto l'avvio della carriera accademica di Altieri Biagi, che, dopo aver ottenuto la libera docenza nel 1965, ricoprirà il ruolo di assistente alla cattedra di Glottologia della Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna dal 1967 al 1970. In questo anno vincerà il concorso a cattedra bandito dall'Università di Trieste, dove insegnerà negli anni dello straordinariato, collaborando con Giuseppe Petronio e con la sua scuola. Nel 1974 passerà all'Università di Bologna, dove ricoprirà la cattedra di Storia della lingua italiana: "una disciplina giovane, negli anni Settanta, anche se ben rappresentata dai suoi padri fondatori (Migliorini, Terracini, Schiaffini) e da generazioni di notevoli allievi [, che] soffriva della sua collocazione di confine tra l'area della linguistica e quella dell'italianistica"11. Nell'università bolognese era in primo luogo l'Italianistica a fagocitare la Storia della lingua, a partire "dal presupposto che la lingua italiana fosse essenzialmente quella scritta, di livello letterario, essendo del tutto marginali altri livelli di scrittura e incerto – di fronte alle varietà regionali – lo statuto di un italiano nazionale come lingua parlata"12. Al tempo stesso, si espandeva a Bologna quella "tendenza – tipica della linguistica strutturale – a considerare la linguistica come disciplina autonoma, liberandola dai rapporti con fatti e dati non linguistici"13, col rischio di concepire la lingua come "sistema a sé stante, isolato dalla comunità dei parlanti e dalla loro coscienza linguistica"14. Altieri Biagi riesce tuttavia a sfruttare a proprio vantaggio una simile condizione "liminare", trasformandola in possibilità di intersezione disciplinare. Entra infatti a far parte dell'Istituto di Filologia Moderna diretto da Ezio Raimondi presso la Facoltà di Magistero, all'interno del quale da un lato collabora con italianisti che coltivavano lo studio della letteratura scientifica (oltre allo stesso Raimondi, il compianto Andrea Battistini e Bruno Basile), dall'altro sperimenta con un nutrito gruppo di colleghi la ricerca applicata alla didattica. Heilmann e Raimondi, dal cui sodalizio era già nata la rivista "Lingua e stile" (nel 1966), avevano creato infatti in quegli anni un Centro di Ricerca per la Didattica dell'Italiano (CRDI), del quale Altieri Biagi diventerà presto una delle anime, insieme con Werther Romani (il primo titolare di una cattedra di Didattica dell'italiano) e letterati come Mario Pazzaglia ed Emilio Pasquini. Con Heilmann, inoltre, Altieri Biagi firma nel 1973 una rivoluzionaria grammatica per le scuole medie superiori: La lingua italiana. Segni/funzioni/strutture – di fatto il primo libro di testo che abbandona la descrizione grammaticale tradizionale (fondata sull'analisi grammaticale e logica) per adottare una prospettiva nuova, di taglio strutturale e funzionale. Nella Facoltà di Magistero, Altieri Biagi entra poi in contatto con alcuni pedagogisti "illluminati", grandi protagonisti della stagione delle riforme della scuola: in primo luogo Piero Bertolini, che accoglierà nella collana da lui diretta per Mondadori l'innovativo volume di Altieri Biagi Didattica dell'italiano (1978), e affiancherà la studiosa in un progetto di qualificazione professionale del personale direttivo della scuola nella Svizzera italiana; in secondo luogo Franco Frabboni, che la coinvolgerà nella commissione per i Programmi della scuola elementare del 1985 (i cosiddetti programmi Falcucci). Bologna, del resto, era in quegli anni al centro di un sistema formativo integrato che coinvolgeva università e territorio, insegnanti di scuola e ricercatori a vario titolo, in una serie di ricerche e sperimentazioni a carattere interdisciplinare: sono gli anni della nascita degli asili nido, del tempo pieno a scuola, dei corsi di 150 ore di formazione extra-professionale per lavoratori metalmeccanici (analfabeti o semianalfabeti), delle iniziative di formazione degli insegnanti promosse dagli Istituti di ricerca psicopedagogica istituiti dalla Regione Emilia-Romagna: IRRE prima e IRPA poi15. In questo processo di ampliamento democratico dell'accesso alla cultura una grande attenzione era stata posta alla ricerca di identità strutturali e interrelazioni tra le discipline che maggiormente contribuiscono alla formazione critica del pensiero: il linguaggio, la logica, la matematica, l'osservazione naturalistica16. Si colloca in questo contesto la collaborazione tra Altieri Biagi e il matematico Francesco Speranza, docente presso l'Università di Parma, che porta alla progettazione di itinerari didattici e materiali ancora oggi capaci di sorprenderci per la portata innovativa e la capacità di attivare una riflessione che parta da osservazione, riconoscimento, manipolazione, classificazione e seriazione di oggetti (naturali e culturali) – operazioni che dovrebbero costituire il fondamento razionale tanto dell'educazione linguistica quanto di quella matematica17. Anche in questa dimensione più militante dell'operato della studiosa ritroviamo dunque il desiderio di contrastare la divaricazione tra le due culture, scientifica e umanistica, mettendo al centro delle sue ricerche la lingua come "polisistema". Sul versante scientifico, intanto, gli studi linguistici andavano crescendo; eppure continuava a mancare un profilo di "storia della lingua tecnico-scientifica" che affiancasse quelli disponibili per la lingua letteraria. Come scriveva Altieri Biagi nel 198018, un'opera simile avrebbe dovuto, in primo luogo, mostrare il diverso rapporto tra latino e volgare nelle opere scientifiche: "non solo nel senso di un più protratto alternarsi delle due lingue, nell'arco di questa produzione, ma anche in quello di una più vitale simbiosi fra esse", che garantisce una maggiore "classicità" alla scrittura degli scienziati che sceglieranno il volgare per le loro opere. In secondo luogo, avrebbe potuto dar conto della grande stratificazione di livelli linguistici che caratterizza le scritture scientifiche precedenti la codificazione galileiana e anticipa quella "diaspora" nei diversi sottocodici tipica della situazione attuale. Non ultimo, sarebbe stato possibile restituire a grandi scienziati del passato la corretta caratura: in un'opera simile, Francesco Redi, ricordato nelle storie letterarie come l'autore del Ditirambo in Toscana, troverebbe posto quale geniale autore delle Osservazioni sulla generazione degli insetti; analogamente Lorenzo Bellini, citato come autore minore di sonetti, spiccherebbe come eccellente anatomista che si dilettava anche di poesia; l'intero Seicento, del resto, troverebbe una caratterizzazione ben più significativa se letto attraverso le figure degli scienziati che in quel secolo operarono. Ma altro ancora urgeva all'"occhio giudice" della studiosa, per riprendere una formula a lei cara, mutuata da Lazzaro Spallanzani, il biologo settecentesco oggetto dei suoi studi. Occorreva, per esempio, un'attenzione maggiore verso tutti i linguaggi specialistici: in primo luogo i vari sottocodici della scienza contemporanea, come aveva affermato in un convegno tenutosi a Trieste nel 197319, quindi altri codici a minor grado di specializzazione, come la lingua della pubblicità (le sue prime osservazioni sul tema risalgono al 1965)20 e la lingua dei giornali, analizzata attraverso lo spoglio di un secolo di storia del quotidiano bolognese "il Resto del Carlino" (1985): una ricerca che mostra l'evoluzione da una lingua ottocentesca di stampo letterario, omogenea nelle diverse pagine, a una lingua differenziata per ambiti21. Merita a tal proposito un accenno al modo di procedere della studiosa, che continuamente intreccia analisi linguistica e stilistica in sincronia (forte degli strumenti più aggiornati e raffinati) e affondi diacronici, con la capacità di cogliere la permeabilità tra tradizioni diverse. Così, nell'analizzare l'evoluzione della lingua della pubblicità, vi ritrovava archetipi tipici della "fantasia verbale" presente nella tradizione teatrale, e addirittura formule che attraversano i secoli come "Chi mangia uno, mangia due" – che Francesco Redi nei suoi scritti metteva in bocca a un venditore di confortini di Prato22. Va ricordato inoltre il suo impegno civile per la crescita dell'intelligenza linguistica, dalla citata istruzione degli adulti alle riforme della scuola. Vale la pena a tal proposito ribadire la sua tenace resistenza, negli anni Settanta e Ottanta, alla degrammaticalizzazione dell'insegnamento, soluzione alla quale opponeva un rinnovamento di ipotesi e metodi, nella convinzione che la grammatica va concepita come sollevamento a livello consapevole di fenomeni che l’alunno è già in grado di produrre o percepire: solo grazie a un modo rinnovato di riflettere sulla lingua sarebbe stato possibile recuperare l'insegnamento grammaticale alla comprensione dei fenomeni linguistici e quindi all'interesse degli alunni. Di qui il procedere dal concreto all'astratto e di nuovo al concreto (dal testo alla grammatica per tornare al testo), con un atteggiamento sempre privo di rifiuti pregiudiziali ed estraneo a precetti e condanne. Nei confronti degli insegnanti, per esempio, riteneva sbagliato tentare di modificarne d'autorità le pratiche (radicate in anni di esperienza), preferendo affiancarli e accompagnarli alla progressiva scoperta di altre procedure, più razionali, atte a suscitare l'interesse dei ragazzi e svilupparne il "pensiero produttivo" rispetto a quello "riproduttivo" (secondo la formula di uno psicologo a lei caro, Max Wertheimer). Un impegno, questo, che sarà alla base delle fortunate grammatiche scolastiche pubblicate dall'editore Mursia (La grammatica dal testo, 1987; L'Italiano dai testi, 1988), in cui Altieri Biagi, forte anche dell'apertura alla linguistica testuale, riesce nel difficile compito di rovesciare l‘impostazione deduttivo-trasmissiva della grammatica tradizionale per proporne una induttiva, basata sull‘osservazione e la riflessione a partire da dati autentici e contesti linguistici variegati23. Rimarrebbe da dire qualcosa sulla sua persona, sia pure nel timore di "infrangere quel riserbo, quel pudore dei sentimenti"24 che lei – forte della lezione di Devoto – invitava noi allievi a osservare e mantenere fin negli ultimi anni, quando ci accordava una maggiore confidenza e rivelava una più tiepida indulgenza verso le nostre debolezze. Mi limiterò a un aggettivo, gentile, che mi sembra appropriato per la complessa rete di significati che intreccia: l'etimologica nobiltà dei natali (da lei evocati con sprezzatura), la finezza dei modi improntati a un'alta civiltà di costumi (anche linguistici), la qualità dell'intelletto (gentile nel senso usato da Galileo, con riferimento alle ipotesi scientifiche e alle "sensate dimostrazioni" dotate di acume particolare). Una gentilezza che si mostrava volentieri nel rapporto con i tanti studenti e insegnanti che formava: relazioni che nutriva alimentando la sensazione di ricavare dagli altri qualcosa di importante anche per sé e per la propria scrittura. La scrittura saggistica di Altieri Biagi – lo ha acutamente notato Andrea Battistini – è "connotata dal rigore, dall’esattezza, dalla creatività ma al tempo stesso dal tratto cortese nel sapersi rendere accessibile a tutti"25. Proverò qui a metterne a fuoco le componenti principali: in primo luogo il rigore del ragionamento, affidato alla sintassi precisa e avvolgente (attenta alle esigenze ritmiche), più che a un lessico disciplinare dei cui eccessi diffidava, per la facilità con cui si presta a mimetizzare l'inconsistenza delle idee e la fragilità dell'argomentazione. Queste erano anche le direzioni delle sue correzioni alle tesi di laurea e agli articoli scientifici di noi allievi: interventi puntuali ma di ampio respiro, volti a interrogare la coesione testuale e l'uso razionale della punteggiatura, a saggiare la consistenza delle scelte lessicali passandole al vaglio del linguaggio comune ("non termini, ma parole" – amava ripetere). In secondo luogo, il brio della prosa, rapida per la capacità di dare formulazioni sintetiche e sapida per la ricchezza di scarti ironici, di scintille metaforiche. Non ci chiedeva altrettanto – scoraggiava anzi tentativi incauti di imitazione stilistica – ma non perdonava usi corrivi, formulazioni imprecise o fumose che corteggiassero l'oggetto di indagine senza interrogare le ragioni intellettuali sottese alle scelte linguistiche. Va reso altresì onore alla forza del suo parlato: le memorabili lezioni nell'Aula Forti di via Zamboni 32 proponevano una via del tutto nuova di accesso ai testi (per sondaggi e per problemi), di qualunque natura questi fossero. Anche nei confronti del testo letterario, l'invito era quello ad avvicinarlo senza farsi abbagliare dall'aura di sacralità, per capirne i meccanismi e impadronirsene (come lettori e come scriventi), evitando il prelievo incauto di fenomeni di superficie e, in generale, ogni strumentalizzazione del testo stesso (che per nessun motivo doveva diventare terreno di caccia per retrodatazioni o pezza di appoggio per tesi prefabbricate). Per concludere, vorrei prendere spunto dalle parole di Altieri Biagi in memoria del collega bolognese Raffaele Spongano, in onore del quale i numerosi allievi avevano allestito un affettuoso volume: "un episodio di devozione, non frequente in un mondo accademico sempre più complesso e sempre meno disponibile alla pietas verso un vecchio maestro"26. Accanto al valore della pietas, doverosa verso una generazione di maestri che tanto hanno saputo costruire e trasmettere, vorrei ricordare il labor, la fatica richiesta per seguire un magistero tanto esigente, che comportava severe valutazioni, intellettuali e umane, espresse magari sotto forma di eleganti e ambigui giudizi, trapelanti una soddisfazione solo parziale, o attraverso un'ironia fredda e affilata, che rivelava una perdurante scontentezza stilistica. Lo stile, del resto, era la sua cifra distintiva. Riprendendo le parole del naturalista francese Buffon27, secondo il quale le style est l'homme même – dove per stile si intende "l'ordine e il movimento messi nelle proprie idee" –, nel caso di Maria Luisa Altieri Biagi, donna e studiosa di eccezione, possiamo senz'altro dire che le style c'est toute la femme. Note
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