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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Musulmano o mussulmano?

Maria Cristina Torchia

PUBBLICATO IL 14 maggio 2025

Quesito:

Sono arrivate in redazione molte domande sull’accettabilità delle forme musulmano e mussulmano: in molti chiedono quale tra le due sia corretta o se una delle due sia preferibile; alcuni si domandano quale sia l’origine della variante con la doppia s e se sia una variante più antica di quella con una s sola; altri, infine, manifestano il dubbio che la variante mussulmano sia connotata negativamente, perché usata da chi esprime giudizi negativi sull’Islam o perché correlata ai campi di concentramento nazisti.

Musulmano o mussulmano?

Le forme musulmano e mussulmano sono entrambe presenti nei dizionari dell’italiano contemporaneo (cfr. Devoto-Oli online; Garzanti online; GRADIT; Sabatini-Coletti 2024; Vocabolario Treccani online; Zingarelli 2025); entrambe, dunque, possono essere “legittimamente” usate, tanto nello scritto quanto nel parlato. Vero è che gli stessi dizionari concordano nel registrare la prima forma, con una sola s, come forma principale (attualmente preferita, se non preferibile) e la seconda, con -ss-, come variante secondaria. Spicca, nel panorama lessicografico contemporaneo, la sola indicazione contraria del DOP (Dizionario italiano di ortografia e pronunzia) che, anche nella “seconda edizione multimediale” del 2024, registra mussulmano come forma di riferimento e musulmano come variante.

I dizionari dell’uso, in effetti, fotografano l’attuale propensione degli italofoni per la variante con una sola s, che, infatti, in una rapida e generica ricerca nelle pagine in italiano di Google, ottiene un numero di risultati più che quadruplo rispetto alla variante con due s (616.000 risultati per musulmano/i/a/e contro 146.000 per mussulmano/i/a/e, il 23/9/2024). La tendenza risulta confermata, e anzi accentuata, nella prosa giornalistica degli ultimi 40 anni, come documentata nell’archivio online della “Repubblica”: i risultati della ricerca di musulmano (cumulati, come per le altre ricerche, con i risultati delle forme declinate al femminile e al plurale) superano di oltre venti volte quelli di mussulmano (53.100 vs. 2.735). E anche gli usi letterari sembrano mostrare la stessa preferenza: interrogando il corpus del Primo tesoro della lingua letteraria italiana novecentesca e contemporanea - PTLLINC (che raccoglie i testi dei libri vincitori del premio Strega dal 1947 al 2021, più una selezione di altri “libri significativi per la lingua e la letteratura tra quelli che hanno concorso al premio”), si contano 22 occorrenze di musulmano/i/a/e contenute in 16 libri (la meno recente del 1959, la più recente del 2016) e 11 occorrenze di mussulmano/i/a/e in altri 6 libri (la meno recente del 1947, la più recente del 2019).

Possiamo aggiungere che l’oscillazione musulmano/mussulmano si è mantenuta nell’uso, anche di uno stesso autore, almeno fino ai primi decenni del Novecento, come testimonia Bruno Migliorini nel suo Lingua contemporanea del 1938 (a p. 38; vedi infra) e come dimostrano i dati che si ottengono interrogando la banca dati della biblioteca digitale BibIt (Biblioteca italiana), schematizzati nella tabella che segue.


Nella seconda metà del Novecento, però, la variante con una -s- si afferma decisamente fino a diventare nettamente prevalente: il corpus di Google libri, interrogato con Ngram Viewer, ne offre una palese conferma, attraverso il grafico riportato di seguito (è stato evidenziato il confronto dei dati per le forme maschili plurali delle due varianti, che sono le più frequenti):


In definitiva, quindi, nell’italiano scritto entrambe le varianti sono attestate e ammissibili, ma musulmano, con una sola -s, è oggi la forma più usata.

Per quanto riguarda la lingua parlata, in assenza di dati statisticamente significativi, è più difficile dire se oggi la pronuncia con la sibilante scempia sorda [musul'ma:no] sia effettivamente più diffusa di quella con la sibilante rafforzata [mus:ul'ma:no] e, eventualmente, se lo sia in tutti i contesti comunicativi e in tutte le varietà locali e regionali dell’italiano. È verosimile che nel parlato controllato la pronuncia sia coerente con la forma che ciascun parlante percepisce come “corretta” e, dunque, con la forma che ciascuno userebbe nello scritto. Da una indagine empirica, sia pure minima e solo orientativa, è risultato che, chiedendo a persone (16) di diversa provenienza geografica (Nord, Centro e Sud) se pronunciassero la parola in questione mu[s]ulmano o mu[s:]ulmano tutte abbiano optato per la pronuncia con s sorda scempia, a conferma che, in un contesto formale e sorvegliato, la forma musulmano e la sua pronuncia con la sibilante sorda non rafforzata siano tendenzialmente giudicate preferibili. Tuttavia, è altrettanto verosimile che, negli usi più spontanei e meno sorvegliati, emerga invece (soprattutto in parlanti del centro e del sud-Italia) la pronuncia con s intensa – che, come vedremo tra breve, ha una sua giustificazione fonetica ed è la pronuncia tradizionale tosco-fiorentina. A Nord, infine, la sibilante sorda scempia potrebbe anche essere sostituita dalla sonora, che ormai è da considerare un allofono e non un distinto fonema.

Vediamo, dunque, di risalire all’origine della parola e delle sue varianti.

Mus(s)ulmano, nome e aggettivo, è un orientalismo, cioè un prestito adattato dal turco-ottomano müslüman, di cui sono note anche varianti come müsülman e musulman (cfr. Rocchi 2023, p. 178), e/o dal persiano musulmān, musalmān che, in ultima analisi, derivano dall’arabo muslim ‘sottomesso (alla volontà divina)’ (per gli etimi e la trafila etimologica cfr. DELI e l’Etimologico s.v. musulmano e OED s.v. mussulman).

Osservando le voci orientali, riportate in forma traslitterata, risulta evidente che l’adattamento in italiano nella forma musulmano, con s semplice, è più vicino all’etimo originario (quale che sia la lingua fonte del prestito, il turco o il persiano). La grafia dell’italiano non consente, tuttavia, di distinguere la natura sorda o sonora della consonante s se scempia (la doppia è sempre sorda).

La genesi dell’alternanza musulmano/mussulmano può essere spiegata considerando in generale che la norma grafica dell’italiano, in particolare per quel che riguarda le consonanti intermedie semplici e doppie, si è mantenuta a lungo oscillante, anche per influsso delle pronunce dialettali/regionali. Per secoli sono state considerate ammissibili varianti formali di parole che potevano essere scritte indifferentemente con una consonante semplice o doppia: retorica e rettorica, allibire e allibbire, calotta e callotta (cfr. Demartini 2010).

Nel caso specifico della s intervocalica, come in musulmano, si aggiunge il fatto che, al di fuori della Toscana, in cui la norma interiorizzata consente (o forse piuttosto consentiva) di distinguere i casi in cui la s intervocalica si pronuncia sorda o sonora, nell’Italia settentrionale la pronuncia della stessa consonante nella stessa posizione è sempre sonora (con poche eccezioni e tranne che in presenza di un confine morfologico), mentre nell’Italia centro-meridionale è sempre sorda (sebbene la sonora sia in forte espansione, anche in presenza di un confine morfologico e persino in fonosintassi). Per ovviare a questa situazione, nella grafia tradizionale dei dialetti settentrionali si è diffusa la convenzione di rappresentare la sibilante sorda intervocalica con una doppia s per distinguerla dalla s intervocalica semplice che veniva appunto pronunciata sempre come sonora (in veneziano, per esempio, è attestata la grafia cossa a cui corrisponde la pronuncia [kɔsa] con s sorda semplice; cfr. Serianni 1988, p. 41). La forma grafica mussulmano potrebbe dunque essersi originata proprio per rappresentare, a nord, la s sorda intervocalica; questa variante, diffondendosi, avrebbe poi favorito anche la pronuncia “regolare” della doppia s come consonante intensa (si leggano, in proposito, anche le risposte di Vittorio Coletti su stassera e di Marco Biffi sulla pronuncia della s). Questa è la spiegazione accreditata da Migliorini nel saggio Lingua contemporanea già citato, che porta ad esempio casi di parole per le quali si è affermata in italiano la variante con -ss- invece di quella con -s-: “disenteria, parasita, susurro, gasometro, si sarebbero potuti continuare benissimo a scrivere così e a pronunziare con la sorda se la norma toscana fosse dovunque in vigore; ma nell’Italia settentrionale si sarebbe pronunziato diṡenteria, paraṡita, suṡurro, gaṡometro [= s sonora]”. E subito dopo Migliorini puntualizza: “In altri casi c’è ancora oscillazione: musulmano o mussulmano” (p. 38).

In alternativa, il raddoppiamento della s in mussulmano potrebbe essere ricondotto a un altro fenomeno così descritto da Rohlfs 1966: “La geminazione [cioè il raddoppiamento consonantico] si verifica facilmente anche dopo l’accento secondario [di parola]” (par. 328, p. 321). Le parole formate da almeno tre sillabe possono infatti avere oltre all’accento primario, che riguarda la sillaba più prominente della parola, anche un accento secondario, meno intenso, su un’altra sillaba non contigua a quella tonica: per esempio, la parola colazione è una parola piana (in cui l’accento principale cade sulla penultima sillaba -ziό-) e può essere pronunciata con un accento secondario sulla prima sillaba co-. In termini un po’ semplificati, l’eventuale raddoppiamento di una consonante dopo accento secondario di parola contribuisce a rendere foneticamente “più pesante” e quindi più prominente la sillaba deputata a portare questo accento: nel caso di musulmano l’accento secondario cade sulla prima sillaba mu-; il raddoppiamento della s immediatamente successiva “appesantisce” la sillaba portatrice dell’accento secondario che da aperta (cioè terminante in vocale: mu-) diventa chiusa (ovvero terminante in consonante: mus-). Fra gli esempi di questo fenomeno citati da Rohlfs, molte sono le forme toscane (e italiane) come seppellire, accademia, pellegrino, ubbidire (dal lat. sepelīre, Academīa, peregrīnus, oboedīre), e potremmo aggiungere il toscano antico sarracino, allòtropo di saraceno, che hanno la stessa struttura sillabica e accentuale di mussulmano.

In effetti, a parziale rettifica di quanto detto in precedenza, la forma mussulmano con s geminata è stata la forma “normale” nell’italiano ottocentesco di stampo manzoniano, modellato sul fiorentino dell’uso vivo. A darne testimonianza non è però la prosa letteraria, che, come abbiamo visto, si mostra oscillante nella scelta tra le due forme, e nemmeno i dizionari coevi, che per lo più, come quelli attuali, registrano e legittimano entrambe le forme (così, per esempio, il Tommaseo-Bellini 1861-1879, il Petrocchi 1892, il Giorgini-Broglio 1897, la V edizione del Vocabolario della Crusca 1863-1923), ma una notevole spia dell’uso fiorentino ottocentesco proviene proprio da Manzoni, che, nel Conte di Carmagnola (IV, I), corresse appunto Musulmano in Mussulmano, come segnala ancora una volta Migliorini nel passo già più volte richiamato (Lingua contemporanea, nota 2, p. 38). A corroborare questo più che autorevole indizio, si possono chiamare in causa i dati relativi alla prosa giornalistica di fine Ottocento e primo Novecento. I risultati che si ottengono cercando le forme musulmani e mussulmani negli archivi storici del “Corriere della sera” e della “Stampa” sono rappresentati nei due grafici seguenti:



Da entrambi gli istogrammi risulta evidente la crescita progressiva delle occorrenze di musulmano nel corso del Novecento, con picchi di frequenza in corrispondenza di alcuni periodi, ma l’andamento delle due varianti nel corso del tempo mostra anche una preferenza iniziale per la forma con la doppia s negli ultimi decenni dell’Ottocento (fino al 1906-1910 negli articoli del “Corriere della sera” e fino al 1916-1920 in quelli della “Stampa”); lo si può osservare meglio estrapolando i dati relativi a questi intervalli cronologici:


La preferenza della stampa tardo-ottocentesca e primo-novecentesca per la variante mussulmano si può spiegare, almeno in parte, con la maggiore aderenza dell’italiano giornalistico di questo periodo alla norma linguistica filo-toscana di impronta manzoniana. Così si giustifica anche la posizione del DOP, le cui indicazioni su ortografia e pronuncia dell’italiano si attengono rigorosamente al modello linguistico tradizionale di base tosco-fiorentina.

Quanto alla datazione delle due varianti, il DELI individua la prima attestazione di mussulmano in una raccolta di novelle persiane tradotte in italiano da Cristoforo Armeno e pubblicate a Venezia nel 1557 (Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo, per opra di M. Christoforo Armeno dalla Persiana nell’Italiana lingua trapportato, Venezia, Michele Tramezzino); la forma musulmano è invece datata 1689, seguendo l’indicazione di Roberto Fontanot, che l’aveva individuata in un manoscritto istriano (cfr. Fontanot 1995). Sembrerebbe dunque esserci uno scarto temporale di oltre un secolo tra la comparsa della forma con la doppia s e quella della variante con s semplice. In realtà, le banche dati testuali oggi disponibili e consultabili in rete consentono di retrodatare la forma con -s- e di allinearla cronologicamente a quella (o, meglio, a quelle) con -ss-.

I dati a nostra disposizione confermano effettivamente che il termine si diffonde in italiano e nei dialetti italo-romanzi, in modo sempre più consistente, nel corso del ’500 e del ’600 ed evidenziano anche che le varianti attestate in questo periodo sono, in realtà, molteplici: oltre a musulmano e mussulmano, sono documentate, per esempio, le forme masulmano, mo(s)sulmanno, monsulmano, mu(s)sulmanno, mu(s)surmanno, muslumano, a testimonianza del fatto che la veste formale del termine è stata a lungo incerta e oscillante; ma la parola compare anche prima.

Per la variante musulmano è possibile risalire fino alla metà del ’400: diverse occorrenze del nome e dell’aggettivo nelle forme con una sola -s- compaiono, infatti, in alcuni documenti veneziani che riferiscono della conquista di Costantinopoli da parte dell’impero ottomano e delle vicende successive. La variante è attestata, per esempio, nella dettagliata relazione sull’assedio di Costantinopoli, scritta in veneziano da Nicolò Barbaro in forma di diario giornaliero, che ripercorre i fatti succedutisi dal 1451 al 1453 (il manoscritto autografo è conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia, mentre la prima edizione a stampa, curata da Enrico Cornet, è del 1856), es. [1], e compare anche nell’accordo di pace siglato dalla Repubblica di Venezia con il sultano Maometto II, il 18 aprile 1454, a un anno di distanza dalla caduta di Costantinopoli sotto il dominio turco (il testo in volgare dell’accordo, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia, è riportato integralmente da Maria Pia Pedani in alcuni suoi appunti, datati Vicenza 2005 e accessibili qui), es. [2]:

[1] Per la dita via, non se possi trar alcuna testa, che sia musulmana, e quanti se troverà de simel condition, se possi meter in libertà senza pagamento alcun. Ma se alcun Venitian havesse menà cum lui schiavo over schiava, che fosse deventà christiani, posto chel fosse stà musulman, chel i non se daga alcun impazo, ma se quel tal schiavo over schiava volesse vegnir musulman, che subito el romagni libero, e che al suo misser no se sia obligadi dar cosa alcuna. (Giornale dell’assedio di Costantinopoli 1453 di Nicolò Barbaro, corredato di note e documenti per Enrico Cornet, Vienna, Libreria Tendler & Comp., 1856)

[2] Item se homo che fosse subdito de la mia Segnoria scampasse per furto, over tratado, et tolesse roba de Musulmani et fugisse in luogo de Venitiani, et trovassesse, debiasse restituir la roba insieme cum lo homo. Simelmente la granda mia Segnoria debia far verso la illustrissima domina Signoria de Venexia. (Testo in volgare dell’accordo di pace del 18 aprile 1454, Archivio di Stato di Venezia, Commemoriali, reg. 14, cc. 136-137v [=143-145v])

La stessa variante ricompare poi nei Diarii di Marin Sanudo, monumentale cronaca in volgare veneziano della storia di Venezia e dell’Italia fra il 1496 e il 1533 (i 56 volumi autografi, conservati nella Biblioteca Marciana, sono rimasti inediti fino a fine ’800, quando furono pubblicati tra il 1879 e il 1903), es. [3]. Un dettaglio a margine, che può essere per noi interessante e che si può verificare consultando l’edizione ottocentesca dei Diarii, digitalizzata e resa disponibile qui, è che mentre nei testi di Sanudo è attestata la variante con una sola -s-, nell’indice curato dagli editori ottocenteschi compaiono le forme con doppia s.

[3] Se alcun del tuo sanzachato, da poi terminà la pace, fusse andà nel paese de la Signoria de Venetia et Havesse tolto alcun suo subdito, quello troverai e libererai da le lor man, et se alcuni dei ditti fusse facto musulman, lo lasserai in sua libertà (Diarii di Marino Sanuto, Tomo V [1° aprile 1503-31 marzo 1504], a cura di Federico Stefani, Rinaldo Fulin, Guglielmo Berchet, Nicolò Barozzi, Venezia, Tip. Visentini, 1881, p. 455)

Dalla metà del ’500 le attestazioni della parola diventano sempre più numerose, soprattutto in testi che raccontano costumi, luoghi, storia e storie dei Turchi. Fra le testimonianze che documentano la forma musulmano ne segnaliamo due, di area veneta, scritte non più in veneziano bensì nel nascente italiano, codificato sulla base del toscano letterario trecentesco: le Historie di messer Marco Guazzo ove se conteneno le guerre di Mahometto imperatore de turchi (Venezia, 1545) – es. [4], in cui compare anche la forma masulmano – e le Navigationi et viaggi di Giovan Battista Ramusio: l’es. [5], in particolare, è tratto dal secondo dei tre volumi (pubblicato postumo a Venezia nel 1559), nella parte in cui l’autore raccoglie, “traduce” e commenta le descrizioni contenute nel Milione di Marco Polo.

[4] Ali Bassà huomo astuto, et sagace con una sua nova inventione fuggì l’ira del suo Signore […] con dire che tal rotta era processa per miracolo del profeta […] et che un vento chiamato in lingua araba cubla, contra il qual vento per commandamento del profeta à niun Masulmano e permesso guerreggiando andare contro altri Musulmani… (Historie di messer Marco Guazzo ove se conteneno le guerre di Mahometto imperatore de turchi…, Venezia, Al segno de la Croce [Per Bernardino Bindoni Milanese], 1545)

[5] Oltra il deserto che è sopra il Corassam, fino a Samarcand e fino alle città idolatre, signoreggiano Iescilbas, cioè le berrette verdi, le quali berrette verdi son alcuni Tartari musulmani che portano le loro berrette di feltro verde acute, e così si fanno chiamare a differenzia de’ Soffiani, suoi capitali nemici, che signoreggiano la Persia, pur anche essi musulmani, i quali portano le berrette rosse. (Delle navigationi et viaggi raccolto già da M. Gio. Battista Ramusio, 3 voll., Stamperia de’ Giunti: vol. I, 1550; vol. II, 1559; vol. III, 1553)

Per la variante mussulmano non si trovano attestazioni anteriori a quella del 1557, già segnalata nel DELI e anche nel GDLI, ma vale la pena osservare che nel tardo Quattrocento è attestata un’altra variante che presenta la doppia s: mussurmanno, di cui si trovano due occorrenze nel Morgante di Luigi Pulci (edizione del 1483, XXV, 192 e XXVII, 242; cfr. GDLI s.v. mussurmanno e Cardona 1969).

Merita infine osservare che il termine, in tutte le sue varianti, non compare in testi italiani medievali (la voce è infatti assente nel TLIO – il più importante dizionario storico dell’italiano antico – e non si ottengono risultati nemmeno interrogando il corpus OVI, banca dati di testi dell’italiano antico accessibile alla consultazione). Nei secoli dell’alto e del basso Medioevo, infatti, i termini usati per designare i popoli islamici, con cui pure i rapporti erano intensi, sono altri: primo fra tutti l’etnonimo Saraceni (entrato nell’italiano antico nella forma saracino/sarracino, a partire dal latino tardo Saracēnu(m), adattamento del greco bizantino Sarakēnós, di cui esistono varie ricostruzioni etimologiche e paraetimologiche; cfr. DELI, s.v.); a questo si affiancano altri nomi etnici – Arabi, Mori (‘abitanti della Mauretania’) – usati estensivamente, oppure nomi biblico-genealogici – Ismaeliti, Agareni (discendenti di Ismaele, figlio di Abramo e della schiava egiziana Agar) – o il termine Maomettani (‘seguaci di Maometto’, comune ancora nel Novecento, ma oggi in disuso). Le designazioni medievali, del resto, corrispondono a una conoscenza dei popoli islamici piuttosto vaga dal punto di vista che oggi diremmo etnografico (fanno eccezione mercanti e diplomatici di città come Pisa, Genova e Venezia, che avevano contatti più frequenti e diretti con il mondo islamico, ma i primi per lo più non ne scrivevano, mentre le testimonianze dei secondi, scritte in latino, greco o volgare, non erano destinate a un’ampia divulgazione). Per questo motivo il nome musulmani, che gli aderenti all’Islam usano e usavano per identificarsi, è rimasto a lungo ignorato o negletto.

È appunto nel secondo Quattrocento, quando la conquista di Costantinopoli (1453) e l’espansione militare dell’impero ottomano verso occidente rendono la “minaccia turca” sempre più vicina e incalzante, che in Italia e in Europa cresce vertiginosamente l’interesse nei confronti dei Turchi, i quali in questo periodo sono i Musulmani per antonomasia. Nel periodo rinascimentale le informazioni diventano sempre più numerose, frequenti e accurate, anche grazie alla stampa e ai resoconti di viaggio che rivoluzionano le conoscenze geopolitiche ed etnografiche di un mondo allargatosi, con le scoperte geografiche e le esplorazioni a occidente e a oriente, e apertosi a una visione che, per quanto saldamente eurocentrica, è diventata tuttavia più precisa e più laica. Non stupisce quindi che la parola mu(s)sulmano, con le sue varianti, entri nei testi italiani proprio in questo periodo, e lo stesso vale per i termini corrispondenti nelle altre lingue europee: rimandiamo ancora una volta alla voce mussulman dell’OED, e in particolare alla sua sezione etimologica, in cui sono presenti forme e datazioni in varie lingue; per una storia della parola in francese si può leggere Willems 2020 (per approfondimenti sulle relazioni fra Occidente, Italia e Islam, segnaliamo Cardini 1999, Höfert 2000, Pedani 2010).

Da quanto detto finora si può forse già dedurre la risposta alla domanda su una possibile connotazione negativa della forma mussulmano con la doppia s: nessuna delle varianti formali del termine è di per sé connotata positivamente o negativamente. Nel periodo umanistico-rinascimentale, come in seguito, non è la scelta di una variante (musulmano o mussulmano) a veicolare un particolare atteggiamento o giudizio nei confronti del mondo islamico e di chi vi appartiene, ma il punto di vista, l’ideologia, le conoscenze e le credenze a partire da cui se ne parla o se ne scrive.

L’ultima questione posta dai lettori riguarda l’uso del termine in un contesto particolare come quello dei campi di concentramento nazisti. Nel gergo dei lager – rudimentale sottocodice fatto di poche espressioni, per lo più tedesche, ma anche yiddish, polacche, spesso mistilingui, che i prigionieri di diverse nazionalità usavano tra di loro per scambiare informazioni minime necessarie alla sopravvivenza – il termine Muselmann (pl. Muselmänner) indicava “il prigioniero irreversibilmente esausto, estenuato, prossimo alla morte”, secondo la definizione di Primo Levi (I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986, p. 73; sulla lingua dei lager cfr. Fontana 2004). I Muselmänner sono dunque quegli internati che Levi stesso, già in Se questo è un uomo, definisce “i sommersi”, quelli che soccombono per primi, sopraffatti, annichiliti dalla non-vita dei lager:

Entrati in campo, per loro essenziale incapacità, o per sventura, o per un qualsiasi banale incidente, sono stati sopraffatti prima di aver potuto adeguarsi; sono battuti sul tempo, non cominciano a imparare il tedesco e a discernere qualcosa nell’infernale groviglio di leggi e di divieti, che quando il loro corpo è già in sfacelo, e nulla li potrebbe più salvare dalla selezione o dalla morte per deperimento. La loro vita è breve ma il loro numero è sterminato. Sono loro, i Muselmänner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla.
Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero. (Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2014, p. 86 [I ed. 1956])

Muselmann è quindi una sorta di termine tecnico della lingua speciale dei campi di concentramento, che in italiano viene reso indifferentemente con musulmano o mussulmano: per fare solo due esempi, Levi, nei suoi scritti, usa la forma con la doppia s, Giorgio Agamben in Quel che resta di Auschwitz (Torino, Bollati Boringhieri, 1988) usa la forma con s semplice; anche in questo caso si tratta di una scelta puramente formale.

L’origine di quest’uso del termine Muselmann/mu(s)sulmano rimane sconosciuta. Sono state proposte diverse interpretazioni che rimandano al fatalismo tradizionalmente attribuito ai musulmani o alle fasciature in testa che avrebbero ricordato un turbante o, ancora, alla gestualità e alla postura simili a quella degli islamici in preghiera. Sulle prime due Levi si dichiara scettico (cfr. I sommersi e i salvati, p. 75); per nessuna delle tre esistono conferme o documentazione. È chiaro, comunque, che in questo contesto il termine fa una deviazione semantica, cambia referente e racconta una storia che niente più ha a che fare con gli islamici e con l’Islam.

Nota bibliografica:

  • Cardini 1999: Franco Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Roma-Bari, Laterza, 1999.
  • Cardona 1969: Giorgio Raimondo Cardona, L’elemento orientale nel Morgante e nel Ciriffo, “Lingua nostra”, XXX, 4, pp. 95-10.
  • Demartini 2010: Silvia Demartini, Lettere doppie, in Enciclopedia dell’italiano, diretta da Raffaele Simone, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2010-2011.
  • Fontana 2004: Franco Maria Fontana, Auschwitz: la lingua della morte, la morte della lingua, “La Rassegna mensile di Israel”, LXX, 2, pp. 17-49.
  • Fontanot 1995: Roberto Fontanot, Retrodatazioni italiane in Istria, in Scritti di linguistica e dialettologia in onore di Giuseppe Francescato, Trieste, Edizioni Ricerche, 1995, pp. 103-111.
  • Höfert 2000: Almut Höfert, The order of things and the discourse of the Turkish Threat. The conceptualisation of Islam in the rise of occidental anthropology in the fifteenth and sixteenth centuries, in Almut Höfert, Armando Salvatore (a cura di), Between Europe and Islam. Shaping modernity in a transcultural space, Bruxelles, P.I.E.-Peter Lang, 2000, pp. 39-69.
  • Migliorini 1938: Bruno Migliorini, Lingua contemporanea, Firenze, Sansoni, 1938.
  • Pedani 2005: Maria Pia Pedani, Venezia tra Mori, Turchi e Persiani, Vicenza, 15 dicembre 2005.
  • Pedani 2010: Maria Pia Pedani, L’Italia, Venezia e la Porta. Diplomazia e letteratura tra umanesimo e rinascimento, in Franziska Meier (a cura di), Italien und das Osmanische Reich, Herne, Gabriele Schäfer Verlag, 2010, pp. 57-74.
  • Petrocchi 1892: Policarpo Petrocchi, Novo dizionario universale della lingua italiana, Milano, Fratelli Treves, 1892.
  • Rocchi 2023: Luciano Rocchi, Parole di origine turco-ottomana nelle fonti storiche slovacche, “Rivista Internazionale di Tecnica della Traduzione / International Journal of Translation”, 25, pp. 167-183.
  • Willems 2020: Marie-Claire Willems, Histoire du mot «musulman», “La vie des idées”, 28/8/2020.



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