Consulenza linguistica | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Molle, mollo, a mollo e ammolloAnna M. ThorntonPUBBLICATO IL 07 maggio 2025
Quesito: Diverse lettrici e lettori chiedono che rapporti ci siano tra gli aggettivi molle e mollo, e tra le espressioni mettere a mollo e mettere in ammollo. Molle, mollo, a mollo e ammolloIn latino si aveva l’aggettivo mollis, molle ‘morbido, tenero’, che ha dato in italiano molle, aggettivo della classe cosiddetta “a due uscite”, con forme maschili e femminili omofone sia nel singolare, in ‑e, che nel plurale, in ‑i (sing. molle, pl. molli). Questa classe di aggettivi è quantitativamente minoritaria rispetto a quella “a quattro uscite”, con forme maschili e femminili distinte sia nel singolare che nel plurale dalle desinenze (o “uscite”) ‑o, ‑a, ‑i, ‑e. Già Rohlfs (1968, § 396) osserva che “il trapasso” dalla classe a due uscite a quella a quattro è stato frequente, e cita esempi quali acre / agro (con sonorizzazione dell’occlusiva sorda in contesto intersonantico), fine / fino, triste / tristo (in questo caso con una differenziazione semantica per cui triste vale ‘mesto’ e tristo ‘malvagio’). Questo passaggio da una classe di flessione a un’altra ha colpito anche molle, che si presenta come mollo (o almeno con una forma femminile molla accanto a un maschile molle o mol) in numerose varietà italoromanze, soprattutto ma non esclusivamente settentrionali, come documentato dalla carta 1583 dell’AIS, citata già da Rohlfs. Da queste varietà il tipo mollo è risalito anche a diverse varietà di italiano non standard: mollo è definito “popol[are]” dal GDLI e dal Sabatini-Coletti 2024, e regionale dal GRADIT, che lo qualifica come centromerid[ionale] nel senso di ‘intriso d’acqua, bagnato’ e come ven[eto] nel senso di ‘allentato, poco teso’ (detto di una corda o una fune); sulla qualifica di regionalismo veneto per questo senso concordano il Devoto-Oli e il Vocabolario Treccani online, che invece considerano pop[olare] mollo nel senso di ‘intriso d’acqua, bagnato’; lo Zingarelli 2025 online qualifica mollo come “variante pop. o region. di molle” in entrambi i sensi, nonché nel senso, considerato raro, di ‘morbido, molle’. Insomma, la lessicografia concorda sul fatto che la forma standard è molle, mentre mollo è di uso popolare o regionale. Tuttavia, il tipo mollo, benché substandard, è ben vivo nell’uso, anche in polirematiche quali pappamolla (o pappa molla) ‘persona indolente, fiacca, priva di energia’, che ha una frequenza paragonabile a quella della variante pappamolle / pappa molle, almeno nel corpus di libri in lingua italiana digitalizzati da Google (si veda qui per un quadro della frequenza delle quattro possibili varianti in libri pubblicati dopo il 1900). Un altro contesto nel quale la variante mollo è oggi più frequente di molle è l’espressione mettere a mollo. Confesso che io, nata nel 1960, non conoscevo altro che la variante mettere a mollo, e ho scoperto che l’uso più antico è mettere a molle solo facendo ricerche per scrivere questa risposta. Le espressioni stare / mettere in molle, e stare / mettere a molle sono attestate già nell’Almansore volgare, una traduzione di un libro di medicina persiano dal latino in volgare fiorentino, opera di un autore anonimo e prodotta all’inizio del XIV secolo (consultabile nel corpus TLIO). Qui si parla spesso di sostanze che devono essere messe o stare in molle, cioè immerse in acqua o altro liquido; ma si hanno anche alcune occorrenze di mettere a molle e stare a molle: “l’acqua ne la quale il cece fie messo a molle” (L. VI, cap. 19, 548.17), “una oncia d’acqua, ne la quale summac fia stato a molle” (L. VI, cap. 19, 549.13). Nelle locuzioni mettere / stare a m., la forma molle prevale su mollo fino alla fine del XVIII secolo, ma a partire dal XIX, e soprattutto dopo la metà del XX, prevale invece la forma mollo (si veda qui per l’andamento tra 1500 e 2022 delle quattro espressioni stare a molle, stare a mollo, mettere a molle e mettere a mollo nel corpus di libri in lingua italiana digitalizzati da Google). Dunque oggi sembra standard l’espressione mettere a mollo, che costituisce un altro caso in cui la variante mollo prevale su quella etimologica molle. Una lettrice chiede anche se si debba scrivere mettere a mollo o mettere ammollo. La forma corretta e ben attestata è senz’altro la prima. La seconda ha però qualche attestazione, per esempio in siti e blog dedicati a ricette di cucina. La grafia ammollo nasce probabilmente per influsso del sostantivo ammollo, derivato per conversione dal verbo ammollare ‘rendere molle, specialmente bagnando con un liquido’ (Nuovo De Mauro), a sua volta derivato per parasintesi da molle, e attestato fin dal XIII secolo. Il nome deverbale ammollo secondo i principali dizionari è di attestazione recente: Zingarelli 2025, Sabatini-Coletti 2024, Nuovo De Mauro, Devoto-Oli e l’Etimologico sono unanimi nel datare la voce al 1970, e il GDLI non la contiene nel I volume, che risale al 1961, e la inserisce solo nel Supplemento 2004, senza esempi. La voce manca anche nel DELI. Tuttavia la voce è attestata ben quattro secoli prima del 1970. Il corpus di libri in lingua italiana digitalizzati da Google, che contiene opere stampate a partire dal 1500, ci offre un’attestazione del 1570, nell’Opera...con la quale si può ammaestrare qualsivoglia cuoco, scalco, trinciante, o mastro di casa (Venezia, Tramezzino) di Bartolomeo Scappi, “cuoco secreto di Papa Pio quinto” (come si legge nel frontespizio); nel capitolo CCXX del libro II, intitolato Per far diverse minestre di zucche turchesche, si spiega un trattamento delle scorze delle zucche che prevede che queste siano “state in ammollo in acqua fredda”. Con riferimento all’immersione in acqua di panni, troviamo la locuzione in ammollo in un testo che raccoglie testimonianze volte alla beatificazione e canonizzazione di padre Domenico Girardelli da Muro Lucano (1632-1683), pubblicato nel 1744 (Roma, ex Typographia Rev. Cameræ Apostolicæ, consultabile qui). Nella testimonianza resa da una suora, Rosa Gertrudes Salato, nell’ambito di un processo svoltosi nel 1694, si legge: Io giudicai, che fosse cagionato detto sangue da un gran cilizio, che detto Padre Domenico portaua à carne nuda [...] e tanto più mi comprobai, che portasse cilizij, perche quando noi li faceuamo la carità, quasi per forza di lavarli l'abito, io precisamente ò visto, che posto quello in ammollo, tingeua l'acqua di sangue. Dunque sia stare / mettere a mollo che stare / mettere / porre in ammollo sono espressioni ben attestate nella storia della lingua italiana, e al lettore che chiede quale sia “la versione corretta” possiamo rispondere che lo sono entrambe.
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