Consulenza linguistica | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW SottomissivoYorick Gomez GanePUBBLICATO IL 12 febbraio 2025
Quesito: Chiara D. da Venezia chiede se l’aggettivo sottomissivo, da lei riscontrato in riferimento ad interazioni sociali, sia corretto e utilizzabile. SottomissivoLa richiesta di chiarimento è del tutto lecita, in quanto nella principale lessicografia italiana l’aggettivo non è registrato: manca in vocabolari storici ed etimologici quali il Battaglia (GDLI, da integrare con i dati raccolti nella rivista lessicografica AVSI), il Dizionario etimologico della lingua italiana di Cortelazzo e Zolli (DELI) e l’Etimologico di Nocentini e Parenti, come pure in dizionari dell’uso ricchi e affidabili quali il Grande dizionario italiano dell’uso di De Mauro (GRADIT), il Vocabolario Treccani (VOLIT, da integrare con i dati nel sito della Treccani dedicato ai Neologismi) e gli ottimi vocabolari monovolume Zingarelli 2025, Devoto-Oli 2024 e Sabatini-Coletti 2024 (per analoga condizione di assenza nella lessicografia cfr. la risposta di Vittorio Coletti su istallativo). In assenza di punti di riferimento saldi (quali sono, nel sentire comune dei parlanti, i vocabolari) è comprensibile che si affaccino delle perplessità, come nella riflessione metalinguistica di questa prosa recente: Sono una persona anche fortemente presuntuosa, ma siccome è una cosa “brutta” mi maschero da persona umile e “sottomissiva” (non sono certa che questa parola esista, ma rende l’idea), perché ho il terrore che le persone mi giudichino per questo mio difetto. (Noemi Ferrara, Autobiografia, in Poesie bianche e poesie nere, Edizioni Esordienti E-book, 2021) In questo brano il valore dell’aggettivo sottomissivo risulta chiaro, anche in virtù del quasi sinonimo umile che lo precede: ‘sottomesso, remissivo, arrendevole’. Una rapida indagine in internet tramite i motori di ricerca restituisce un numero abbondante di attestazioni dell’aggettivo. Restringendo il campo all’uso che se ne fa nelle voci di Wikipedia si ottiene un corpus di attestazioni ridotto (10 occorrenze) ma sufficiente a mostrare sfumature lessicali variegate: accanto al significato di ‘remissivo’ che abbiamo appena incontrato (che rispecchia una sottomissione non vera a propria ma di tipo estensivo: il “carattere tranquillo e sottomissivo” di un personaggio di un fumetto giapponese alla voce Blue Dragon Ral Ω Grad e l’“energia accomodante e sottomissiva” del Śakti, che nell’induismo indica il potere di una dea di dare luogo al mondo fenomenico), la sottomissione veicolata dall’aggettivo può essere di tipo proprio, con vincoli di natura istituzionale o giuridica (i prìncipi cinesi di piccolo potere “sottomissivi” verso quelli di grande potere alla voce De (religioni taoiche) o l’“atteggiamento servile e sottomissivo” di cui alla voce Servitrice), oppure di tipo quasi proprio in casi di rapporti interpersonali estremizzati, come negli àmbiti affettivo ed erotico (“persone sottomissive” in situazioni di dipendenza emotiva alla voce Manipolazione e “sessualità sottomissiva per se stessi e/o per il partner” alla voce Ipomania). Al significato primario, riferito a esseri umani, può essere accostato, con le dovute differenze, l’uso dell’aggettivo in rapporto agli animali gregari, per i quali gli atti di sottomissione gerarchica sono parte costitutiva e ben codificata della vita in branco (“posture sottomissive” di alcuni carnivori alla voce Carnivora, coyote “sottomissivi” che producono guaiti bassi alla voce Canis latrans e “canino sottomissivo” che evita il contatto oculare con il maschio dominante alla voce Caninae). In Wikipedia infine compare un uso decontestualizzato, l’aggettivo in funzione di traducente (e cioè l’equivalente semantico di un termine di un’altra lingua), a dimostrazione di una piena autonomia di utilizzo della parola, che il redattore italiano della voce non ha sentito la necessità di sostituire con un altro aggettivo («Gli Han registrano il primo nome noto del Giappone, “Wa” (倭), “storpio, distante, sottomissivo”», alla voce Kanji). L’aggettivo sottomissivo non è registrato nei vocabolari, come si è detto, ma ha oltre mezzo millennio di vita. La prima attestazione che è stato possibile reperire è in una lettera che l’ambasciatore Nicodemo Tranchedini invia da Roma a Francesco Sforza il 7 luglio 1452, con il consiglio di usare “bone parole e non sottomissive”. Il valore di ‘che denota l’atteggiamento del sottomettersi’ (a fronte di un teoricamente possibile significato di ‘che denota l’atteggiamento del sottomettere’) si ricava dal contesto (qui di seguito riprodotto senza tagli), soprattutto dal “non ve devete tanto sottomettere” che precede: Et infine questo tale amico è condesceso cum meco a dire tanto male del re che nil ultra, pur per mostrarmi che non ve devete tanto sottomettere et che, quando vogliate cosa veruna dal re, ve recorda a mandare persona che ’l re sapia sia de li vostri a bon seno, et che da prima usiate bone parole e non sottomissive, et quando pur finalmente vedete facia del rencressevele, gli faciate dire che facia bona guardia se sa, che l’havete a caciare del reame ad omne modo etc. […] Et in fine disse che ’l spagnolo et castigliano è el più superbo animale del mondo ad chi gli va cum le bone, el più ville ad chi gli mostra el viso, et equiparòlo al’odro pien de vento che per una porta d’agochia se desgonfia. (Dispacci sforzeschi da Napoli, a cura di Francesco Senatore, vol. I, Salerno, Carlone, 1997, p. 109) Questa prima attestazione si presenta però come un caso isolato, probabilmente estemporaneo, da attribuire all’estro del colto scrivente piuttosto che a un uso linguistico ai suoi inizi, di cui si sarebbero poi perse le tracce. La seconda attestazione che è stato possibile reperire si registra infatti dopo più di quattro secoli, in un saggio di argomento giuridico. Anche qui è opportuno riportare un contesto ampio: il reggitore vivente, nell’aver di mira, diciam così, la sacramentalità del cerimoniale, ha pure l’obbligo di farlo osservare; ed ecco che come guerriero, cioè depositario della maggior forza, egli costringe all’obbedienza dei precetti aviti o suoi, e s’erge a vendicatore delle offese a questi precetti. Ed anche in questi atti egli esplica un complesso di simboli, un cerimoniale esecutorio, una larva di giustizia. Da tutto ciò si rileva che in questa fase embrionale della vita del diritto, le forme visibili della sua estrinsecazione si riducono ad espressioni simboliche dinotanti l’origine sottomissiva del sentimento giuridico che anima le singole unità dell’aggregato, espressioni simboliche che formano un apparato cerimoniale dettato ed osservato in omaggio al volere del potente visibile od invisibile. (Francesco Saverio Sancipriani, Ritologia giuridica: saggio di diritto procedurale scientifico, Roma, Casa editrice libraria italiana, 1893, p. 46) Non è chiaro se nel nesso origine sottomissiva del sentimento giuridico si indichi che tale sentimento nasce ‘dal sottomettersi’ oppure ‘dal sottomettere’. Ma occorre pur dire che la seconda ipotesi costituirebbe l’eccezione che conferma la regola: per l’aggettivo sottomissivo il significato ordinario è quello di ‘relativo, incline al sottomettersi’. Grazie all’ausilio della ricerca nel corpus di Google libri possiamo trovare sin dai primi del Novecento occorrenze molto numerose di sottomissivo, con un ventaglio di sfumature lessicali che non si discosta da quello già visto sopra per le voci di Wikipedia. Vi sono, innanzitutto, le attestazioni con significato proprio, di matrice giuridica, in cui la sottomissione di cui si fa atto va riferita alla ‘condizione di chi è soggetto a un’autorità politica, sudditanza a una potenza dominante o simili’ (cfr. GRADIT, s.v. sottomissione): L’Abiuratio de vehementi, come è noto, si riduce ad un riassunto, ancora più sottomissivo e più rigidamente conforme al formolario inquisitoriale, di ciò che si dice nei famosi otto articoli di quell’altra parte dell’atto di abiura, eufemisticamente chiamata “spontanea comparizione”. (Vita di Pietro Giannone scritta da lui medesimo, Napoli, L. Pierro, 1905, p. 462) meritate, o Cartaginesi, non poche lodi per la vostra pronta obbedienza e per il vostro spirito sottomissivo. (Lyno Guarniri, Roma e Cartagine sul mare, Roma, Biblioteca d’arte, 1931, p. 237) il carattere poco sottomissivo di numerosi elementi dell’aristocrazia che, desiderosi d’indipendenza nei confronti dell’autorità ducale, erano costretti all’esilio. (Renzo Chiovelli, Tecniche costruttive murarie medievali: la Tuscia, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2007, p. 363) Riguardano la psicologia e la sociologia casi di rapporti interpersonali in qualche modo codificati ma atipici, in cui la sottomissione è conseguenza di psicosi, disparità sociale o violenza traumatica: non si notano che espressioni sottomissive, parole di dolcezza per l’amica, paura di perderne le grazie. (Rodrigo Fronda, L’omosessualità nella donna, “Il Manicomio”, XXVII, 1912, pp. 123-134: p. 132) Ovviamente [la donna] è ancora guidata da norme sottomissive quando interpreta il suo lavoro non in termini personali, ma come «missione» verso il mondo esterno («il lavoro non deve essere una ricerca di successo ma di servizio»). (Gaetana Cazora Russo, Status sociale della donna, vol. I, Roma, De Luca, 1978, p. 331) Secondo Gilbert e Trower […] le persone socialmente ansiose […] sentendosi inferiori e avendo bassa fiducia in se stesse, oltre che basse aspettative di riuscire in tale obiettivo, adottano strategie sottomissive per limitare il danno rappresentato dal rifiuto e dall’esclusione sociale. (Pietro Grimaldi, A quale timidezza appartieni? Comprendere e prevenire le varie forme di ansia sociale, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 45) reazioni di tipo “passivo” o “sottomissivo” sono spesso il risultato di paralisi emotive causate dallo stato di shock in corso e supportate dal convincimento, più o meno fondato, che siano le strategie migliori per rendere meno prolungata la violenza. (Iacopo Benevieri, Cosa indossavi? Le parole nei processi penali per violenza di genere, Roma, Gruppo editoriale Tab, 2022, p. 107) Tra gli esempi dell’uso proprio si possono includere anche in questo caso quelli relativi ai comportamenti degli animali gregari: Addestratori e comportamentisti definiscono questo comportamento urinazione sottomissiva; un cane lo riterrebbe segno di rispetto nei confronti di un membro dominante del branco. (Gina Spadafori, Il mio cane for dummies, Milano, Apogeo, 1998, p. 161) Numerose sono infine le occorrenze del significato estensivo, in rapporto ad interazioni più o meno ordinarie, come nel seguente esempio caratterizzato da una terna sinonimica: aveva un carattere dolce, affettuoso e sottomissivo. (Lyno Guarnieri, Roma e Cartagine sul mare, cit., p. 179 del vol. I, della 2a ed., Roma, Campitelli, 1932) La diffusione dell’aggettivo è tale da aver addirittura sviluppato una reggenza, sottomissivo a, verosimilmente modellato sul sintagma verbale sottomettersi a: lo spirito dei colonisti non poteva essere generalmente sottomissivo a simili metodi di governo. (Orlando Della Porta, L’ordinamento degli Stati Uniti, Roma, Cremonese, 1928, p. 7) – Hai vinto! – in tono sottomissivo a don Cesare. (Attilio Giuliani, Rassegnazione (Romanzo), Poggibonsi, Lalli, 1978, p. 42) Si potrà notare, negli esempi sin qui incontrati, l’alto numero di casi in cui l’aggettivo viene accompagnato da uno o più sinonimi o quasi sinonimi: «umile e “sottomissiva”», “tranquillo e sottomissivo”, “accomodante e sottomissiva”, “servile e sottomissivo”, «“passivo” o “sottomissivo”» o “dolce, affettuoso e sottomissivo”. Questa tendenza si potrebbe spiegare col fatto che si tratta di un cultismo, che gli scriventi hanno voluto “spiegare” facendolo precedere da sinonimi. Ma potrebbe anche derivare dall’incertezza dei parlanti di fronte a un termine non ancora registrato negli strumenti normativi di riferimento, dunque avvertito come un elemento ancora in parte “estraneo” alla lingua, e per questo bisognoso di essere glossato. La natura di cultismo giustifica di certo l’assenza dell’aggettivo nei principali corpora del parlato (ad esempio VoLIP o KIParla), e il suo uso scritto in contesti settoriali (psicologia, sociologia o zoologia) spiega il ridotto numero di attestazioni nella lingua dei giornali (ricavate per lo più da quegli àmbiti: “Corriere della Sera”, “la Repubblica” e “l’Unità” forniscono, equamente distribuite tra il 1963 e il 2019, solo 5 attestazioni) e la sua totale assenza in un àmbito della prosa italiana di grandissimo rilievo come i romanzi più significativi del Premio Strega (dalla prima edizione del 1947 a quella del 2021: PTLLIN). Dal punto di vista della correttezza formale, anche qui la richiesta di chiarimento indirizzata all’Accademia non è affatto fuori luogo, in quanto in sottomissivo gli elementi morfologici costitutivi non sono di immediata individuazione. Che sia un suffissato in -ivo (suffisso usato a partire da verbi, sostantivi o avverbi per indicare qualità, capacità, disposizione o relazione: GRADIT) si intuisce facilmente, ma la sua base, sottomiss-, è diversa dal tema verbale sottomett- (mentre ad esempio le basi degli aggettivi combattivo e sorgivo corrispondono a quelle dei temi verbali di combattere e sorgere) né è la stessa del participio passato sottomess-, a cui si potrebbe pensare di doverla ricondurre. All’origine di sottomiss(ivo) si possono ipotizzare due forme: la base del nome di azione sottomiss(ione) (come in estors(ivo), non da estorc(ere) ma da estors(ione): Davide Ricca, Aggettivi deverbali in Grossmann-Rainer 2004, pp. 419-450: p. 435) oppure una base «grosso modo coincidente con una versione “italianizzata” del participio perfetto latino» (ibid., p. 426), vale a dire sottomiss- dal latino submiss- (così come trasmissivo dipende dalla base del participio passato latino transmiss-). Si tratta in entrambi i casi di derivazioni che ricorrono “in prevalenza in strati del lessico ereditati dal latino, ma anche in conii dotti posteriori su modello latino” (ivi). Nel caso del sottomissivo quattrocentesco, attestato quando sottomissione non era ancora nato (è documentato a partire dal Cinquecento nella forma sottomessione: DELI), si dovrà pensare alla base participiale erudita sottomiss- dal latino submiss- (facilitata dalla derivazione di sottomettere da submittere). Mentre per le prime attestazioni di sottomissivo a partire da fine Ottocento si potrà anche ipotizzare una derivazione dal nome di azione sottomissione (i due tipi di derivazione non sono incompatibili tra loro, in quanto avvenuti in tempi diversi e, soprattutto, in maniera indipendente l’una dall’altra). Andrà dunque valutata con cautela l’idea che l’italiano sottomissivo sia un calco dell’inglese submissive, che troviamo espressa, ad esempio, in un post del 2013 pubblicato in un forum dedicato ai romanzi rosa: Oggi mi è toccato l’aggettivo SOTTOMISSIVO ([…]) per ben due volte nello stesso libro (L’iniziazione di Evie Hunter alle pagine 147 e 173). […] A quanto pare toccano a me tutti gli adattamenti dall’inglese... dopo l’improbabile avverbio TENTATIVAMENTE […] da tentatively, ecco l’aggettivo SOTTOMISSIVO da submissive. […] Ma dico... se l’inglese attinge dal latino, perché noi dobbiamo attingere dall’inglese? (romance.forumfree.it, 20/6/2013) Come abbiamo appena visto, invece, è proprio dal latino (direttamente oppure tramite un derivato italiano del latino) che lo ha preso l’italiano. In tempi recenti non è da escludere che si sia tradotto spesso l’inglese submissive con l’italiano sottomissivo. Ma dal momento che la storia di sottomissivo è antica, il ruolo dell’inglese non andrà collegato alla creazione del termine italiano, ma tutt’al più alla più intensa e capillare espansione di una parola che in italiano esisteva già (una tipologia di interferenza linguistica non infrequente, come si segnala in D’Achille 2024, p. 37, con ulteriore bibliografia). Per concludere, l’aggettivo sottomissivo è del tutto corretto dal punto di vista formale ed è, in linea con la piena cittadinanza di cui gode da secoli, certamente utilizzabile. Nei dizionari manca, ma alla sua registrazione i lessicografi dovranno provvedere appena possibile. Nota bibliografica:
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