Consulenza linguistica | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Lavarone: come è approdato sulle spiagge della Versilia?Matilde PaoliPUBBLICATO IL 07 febbraio 2025
Quesito: Tre lettori ci chiedono chiarimenti sulla parola lavarone: un lettore, che scrive da Torino e che ha trovato il termine, a lei ignoto, in un testo di Giovanni Papini, ne domanda significato e origine; altri due, che scrivono da Prato e Viareggio, si stupiscono che il termine, da loro ben conosciuto, usato dai media locali e presente in documenti pubblicati sul sito della Regione Toscana, non sia registrato nei dizionari di lingua. Lavarone: come è approdato sulle spiagge della Versilia?Il passo di Giovanni Papini, scrittore fiorentino nominato dal lettore, è riportato tra le citazioni letterarie a corredo del lemma lavarone dal GDLI, che glossa la voce come Region[ale]: Dopo aver tratto su dal mare la rete piena di pesci, [il pescatore] siede sulla spiaggia e mette quelli mangerecci nelle ceste e butta il lavaróne alla spazzatura. (Giovanni Papini, Storia di Cristo [1921], in Id., Cristo e santi, Milano, A. Mondadori, 19621, p. 243) La seconda citazione letteraria riportata nel dizionario, in cui appaiono anche altre voci toscane come buzzo (della rete) e dimolto, è tratta dal Figurinaio (Firenze, Vallecchi, 1942 [19201], p. 60) di Bruno Cicognani, anche lui fiorentino: Ce n’è del pesce nel buzzo della rete e di quello fine, ma c’è anche del lavaróne e dimolto: accidenti! E i pescatori imprecando vuotano la rete e fanno la scelta. Possiamo rispondere al lettore che nel testo di Papini, e anche in quello di Cicognani, il termine si può intendere come ‘tutto ciò che una rete raccoglie e che non è pesce di qualità, sia che si tratti di rifiuti veri e propri sia di piccoli animali non commerciabili’, o, come sinteticamente scrive il GDLI, “rifiuti di mare”. Più “tecnica” e puntuale è un’altra testimonianza, la prima in ordine cronologico, tratta dal Dizionario universale critico enciclopedico della lin¬gua italiana (1797-1805, vol. IV [K-O], 1803) di Francesco Alberti di Villanova, nato a Nizza ma, dal 1793, vissuto in Toscana e in particolare a Lucca: LAVARONE, s. m. Tutto ciò che il fiume porta a galla, e depone sulla riva, o ’l mare rigetta sulla spiaggia. Non solo piccoli pesci o alghe o altri rifiuti che possono rimanere impigliati nella rete, quindi. Nel Dizionario universale troviamo due elementi significativi che il GDLI non riporta: la glossa “T[ermine] Idraulico, e dell’uso” e la citazione dei Moti del Mare di Livorno. Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali, e gli antichi monumenti di essa… (Firenze, Cambiagi, 1768-17792 [già nella I ed. 1751, t. II, p. 182]) del medico e naturalista fiorentino Giovanni Targioni Tozzetti. Come lo stesso Targioni Tozzetti spiega (vol. II, p. 492 e sg., nota 1), il passo in cui compare lavarone è tratto dalla Relazione che concerne il Taglio della Macchia di Viareggio. Quanti poi, e quali siano i Moti del Mare di Bernardino Zendrini (1679-1747), “matematico della Serenissima Repubblica di Venezia” ed esperto di idraulica al servizio della Repubblica di Lucca. Benché Zendrini non attribuisca espressamente ai locali la paternità del termine, che usa al plurale (“[…] noi osserviamo le arene di qualunque Fiume, i lavaroni, gli svelti arboscelli, ed ogni altra materia, venire sempre portata alla destra per lungo tratto, Spargendone ampiamente la Spiaggia…”), il testo fa specifico riferimento a Viareggio, a partire dal titolo. Ancora un autore toscano, il viareggino Lorenzo Viani (1882-1936), è il testimone del secondo significato del termine riportato nel GDLI: “Fascia di spiaggia dove il mare deposita i rifiuti galleggianti; bagnasciuga”: Sopra c’era la statua di Mastrilli tutta fatta di pane casalingo, col trombone fatto con uno stecco colto sul lavaróne. (Mare grosso, Firenze, Vallecchi, 19551 [ed. postuma], p. 33) Già l’elenco delle citazioni del GDLI e la diversa motivazione delle domande dei lettori ci danno l’indicazione che si tratta di un termine toscano. Nonostante le testimonianze di tre autori fiorentini, Targioni Tozzetti, Cicognani e Papini, il termine non è però presente nelle cinque edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca, né nel Tommaseo-Bellini, né nel Giorgini-Broglio compilato “secondo l’uso di Firenze”. Lo registra invece il pistoiese Policarpo Petrocchi nel suo Novo dizionario universale della lingua italiana (1891), nella parte bassa della pagina, che contiene la lingua “fuori d’uso” ma anche quella “scientifica”; poiché Petrocchi non fornisce alcuna indicazione rispetto all’area di diffusione del termine e cita come fonte Targioni Tozzetti, è probabile che, come l’Alberti di Villanova, lo consideri un tecnicismo. In effetti lavarone è presente in dizionari ottocenteschi, settoriali e no, spesso glossato come termine proprio dell’idraulica: lo troviamo nel Vocabolario universale italiano diretto da Raffaele Liberatore, nel Dizionario della lingua italiana di Francesco Cardinali, nel Vocabolario metodico italiano di Francesco Zanotto, nel Vocabolario domestico di Gianfrancesco Rambelli. Sempre nel XIX secolo il termine viene usato in testi di àmbito tecnico-scientifico, anche non riferibili alla Toscana e a volte neppure all’Italia: rotundata Müll. − Nel lavarone del Santerno, della Marecchia ed in quello di molti rii. […] MINIERE. RAME, ARGENTO PIOMBO, FERRO, CARBON FOSSILE MARMI SALI (1). Nelle provincie di Europa trovasi il piombo, l’argento, il rame, il ferro, il mercurio, lo zinco, e l’arsenico; i fiumi della Valacchia volgono sabbie aurifere; formansi de’ lavaroni sul gran Timock e sul Pek, e sulle rive di altri corsi d’acqua. Esistono cave di piombo argentifero nelle montagne della Tessaglia e dell’Epiro, e in ispecie sul monte Ergenik, al sud di Tebelen, e sul versante del Pelione, dal lato di Volo, dove sonosi scoperte miniere di galena argentifera. (B[ernard] C[amille] Colas, La Turchia nel 1864, Trad. dal francese, Milano, Corona e Caimi, 1865, cap. XIV, p. 222) Anche al di là dell’incile [ndr: ‘imbocco di un canale di irrigazione o di bonifica’] esistente, vedonsi dei tratti di canale abbandonato. Il canale più antico dunque c’è, e se ne potrebbe anche determinare l’estensione, se non rendessero ciò difficile e pericoloso, la scoscesa roccia ed i detriti dei lavaroni, che vanno a terminare giù nell’Aterno. (Antonio De Nino, Dell’acquedotto Corfiniese. Note topografiche, in “Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei”, 1888, pp. 645-646: p. 646) Si noti in particolare nelle ultime due citazioni l’uso al plurale del termine, già visto in Zendrini. Sul versante delle varietà locali toscane troviamo lavarone in repertori dialettali di area lucchese e versiliese, spesso con espliciti riferimenti a Viareggio, a partire dal Vocabolario lucchese di Idelfonso Nieri e dal saggio sul Dialetto della Versilia di Silvio Pieri dei primi del ’900 fino al Vernacolario lucchese di Giovanni Giangrandi, stampato nel 2013, in cui si precisa che è voce viareggina. Iberico Gianni nel suo Vocabolario viareggino (1993) riporta l’uso di lavarone in riferimento al caffè mal filtrato (“Il caffè che m’hai dato era un lavarone”) testimoniato da Quinto Del Carlo (Viareggio 1919-1983). Significato analogo, ‘brodaglia, cibo insipido e di poca sostanza’, ha lavarόn attestato da Luciani (1986-1988) per il carrarese e da Novani (2019) per il massese. Ancora più a Nord, in Lunigiana, troviamo, per lavarún, la testimonianza di un valore diverso (ma come vedremo significativo), “scroscio d’acqua, piena improvvisa”, nell’uso del poeta Mauro Rocati (1941-2019) riportato da Luciano Bertocchi nel suo Dizionario della lingua dialettale pontremolese. Si tratta sempre di attestazioni novecentesche o posteriori, spesso con esplicito riferimento alla Versilia e a Viareggio in particolare, o all’area costiera a nord della località con sconfinamenti verso l’Appennino (Pontremoli). Il termine non compare invece nei repertori delle varietà della costa toscana a sud di Viareggio, né del resto della regione. Ancora oggi, sulla stampa lo si attribuisce al “gergo versiliese” e si avverte la necessità di una definizione, anche da parte di testate locali, come “Il Tirreno”: Sino a pochi anni fa la Lecciona non era solo selvaggia, ma anche pulita. Arrivavano gli operatori ecologici del Comune di Viareggio (ma anche volontari) e toglievano plastica, fogli di ogni tipo, cicche di sigarette. E soprattutto liberavano la sabbia dal “lavarone” che in gergo versiliese sono i sedimenti, soprattutto rami di albero ma anche bottiglie di plastica e altri rifiuti, che i fiumi depositano in mare e, dopo una libecciata, ritornano immancabilmente sulla spiaggia. (Marco Gasperetti, Viareggio, il fascino selvaggio della Lecciona si è perso tra i rifiuti, Corriere.it, 17/8/2010) Ma a che cosa servono i dromedari nel grande Parco toscano? Aiuteranno il turismo (si pensa di organizzare itinerari in groppa agli animali per i visitatori) e anche alla pulizia del litorale dal “lavarone”, ovvero i detriti, soprattutto legna, che il mare porta sulla battigia. (Marco Gasperetti, Ambientalisti contro scout. La disfida di San Rossore, “Corriere della sera”, 4/8/2014) In spiaggia con ancora qualche criticità: una su tutte risponde al nome di lavarone. La possibilità di andare oltre (ben oltre) i confini della Versilia ci viene offerta dai dizionari etimologici (cfr. DEI, VEI, nota etimologica alla voce in GDLI) i quali concordano nel confrontare lavarone col napoletano lavaronë ‘pozza, torrente’ e col tarantino lavaronë ‘spaglio (delle acque)’, entrambi derivati dal napoletano lava ‘rigagnolo’, da cui anche l’italiano lava ‘lava’. Il significato assunto dal termine al Sud è quindi diverso da quello della Versilia, ma richiama quello di “scroscio d’acqua, piena improvvisa”, testimoniato per il centro lunigianese di Pontremoli. La diffusione in area campana e pugliese è confermata da repertori lessicografici dialettali per i quali si rimanda alla nota bibliografica; in questa sede ci limitiamo a notare che nel Vocabolario napoletano-italiano, italiano-napoletano di Antonio Salzano, oltre al significato di “torrentaccio, stagno, pozza”, troviamo per lavarόne anche quello traslato di “cibo molto brodoloso e insipido”, che abbiamo visto testimoniato anche per il viareggino, il carrarino e il massese. Mentre non ci paiono legati al nostro i termini lavaro / lavaron(e) per indicare alcune piante e lavarello nome di un pesce, ci sembra doveroso fare un cenno al toponimo Lavarone o Lavaroni presente nel nord-est della penisola (oltre la nota meta turistica e il lago omonimo in provincia di Trento, abbiamo notizia di un Lavaroni vicino a Riva del Garda e un Monte Lavaron in Friuli-Venezia Giulia; cfr. Carulli-Zucchi Stolfa-Pirini Radrizzani 1983, pp. 66 e sg.), in Abruzzo (in documenti del XIII secolo troviamo un Castello di Lavarone e una pieve di Santa Maria di Lavarone nel Teramano; cfr. Di Meo 1805), e nelle Marche (abbiamo un Lavaroni [cfr. Sensi 1984, p. 512] e un Fosso Lavaroni nel Maceratese [cfr. Effetti sul terreno della crisi sismica del 26 settembre 1997 Evidenze di fagliazione superficiale]). Sappiamo che il toponimo trentino è legato al latino lābēs ‘caduta, frana’, ‘scivolamento’, e poi ‘luogo franoso’ (cfr. Mastrelli Anzillotti 1979) ed è probabile che anche i Lavarone del Teramano e i Lavaroni del Maceratese abbiano la stessa origine, visto che si tratta di località poste in aree montuose o collinari in cui è possibile il verificarsi di frane. Sappiamo anche che da lābēs deriva il napoletano (poi italiano) lava (DEI, VEI, DELI, REW 4806) e anche il lavarone “meridionale” (DEI, VEI). Abbiamo dunque tre “lavaroni” distinti: nel caso dei toponimi si parla di elementi franosi che precipitano lungo una dorsale come una sorta di torrente di detriti; nel caso delle voci meridionali si tratta di torrenti impetuosi provocati da piogge violente; infine, nel caso della costa settentrionale toscana, si parla di accumulo di detriti trascinati sulla spiaggia dalle correnti dei fiumi o del mare. Il legame semantico tra le tre accezioni ci sembra evidente. Resta da capire come, in epoca piuttosto tarda, il termine sia “sbarcato” a Viareggio. Un’ipotesi possibile è che la forma abbia viaggiato per mare e che il veicolo siano stati, come in altri casi, gli scambi tra gli equipaggi di pescherecci provenienti dalla Campania e gli abitanti della costa toscana; tanto più che la presenza di pescatori meridionali, benché non campani, è attestata anche per Viareggio (cfr. Pedreschi 1963). A favore di questa supposizione è l’attestazione del valore traslato riferito a cibo insipido, brodaglia, sia a Napoli sia in Toscana (anche se non può escludersi la poligenesi dell’estensione semantica), e il significato riferito a ‘scroscio d’acqua, piena improvvisa’ attestato a Pontremoli e al Sud. Appare comunque singolare che la voce sia diffusa in un’area così ristretta e non la si trovi impiegata per esempio a Livorno, o nella zona dell’Argentario, caratterizzata da contatti frequenti con l’area campana. È anche possibile ipotizzare che il termine abbia avuto un altro tramite: tra la fine del XIX secolo e la Prima guerra mondiale, infatti, la costa settentrionale della Toscana e Viareggio in particolare divennero la meta di intere famiglie di pescatori (circa 150 famiglie; cfr. Cavezzi-Marinangeli-Merlini-Passaglia 1998, p. 14) provenienti da San Benedetto del Tronto (AP). Poiché la comunità dei pescatori sambenedettesi era particolarmente attiva sulla costa adriatica e si spostava sia verso nord, sia verso sud, in Abruzzo e Puglia, non è del tutto da escludere che siano stati proprio loro a “portare il lavarone” sulle spiagge della Versilia. Ma, accettando questa ipotesi, resterebbe da spiegare la testimonianza di Zendrini e dell’Alberti di Villanova, anteriori di circa un secolo all’arrivo dei sambenedettesi a Viareggio. Un’ultima possibilità (che ci ripromettiamo di vagliare in un articolo più approfondito) è che il termine sia arrivato via terra dal Nord-Est magari attraverso l’Emilia-Romagna, dove è attestato ravôlò come equivalente di lavarone (cfr. Foresti 1855). Concludendo, rispondiamo ai nostri lettori toscani che lavarone, pur avendo avuto, nel corso del XIX secolo, una stagione in cui era approdato alla lingua, è rimasto un termine confinato in un territorio (sia virtuale, l’àmbito tecnico-scientifico, sia reale, Viareggio e la Versilia) troppo ristretto, senza riuscire a raggiungere il livello della lingua comune. Dobbiamo però riconoscere che lavarone continua ancora oggi a essere usato in testi tecnico-scientifici, benché previa “traduzione” e sempre in riferimento all’area lucchese: Fra le innovazioni legate al recupero, invece vi è l’introduzione di un piccolo impianto che consente di trasferire i rifiuti differenziati dai mezzi di raccolta direttamente a quelli di trasporto […]. Di notevole interesse è il metodo di vagliatura spinta del lavarone, i rifiuti spiaggiati da spazzamento, che consente di ottenere sabbia da portare a ripascimento, o nel caso di quello recuperato durante l’inverno, legno da rivendere in filiera. Questo sistema ha permesso di ridurre i conferimenti in discarica di lavarone di circa il 70% […]. (Marco Allegrini, Giuseppe D’Onza [Università di Pisa], Waste management. Un’analisi delle aziende dell’area lucchese, Milano, FrancoAngeli, 2012, p. 75) Nota bibliografica:
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