Consulenza linguistica | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Il paziente (non) va contenuto o contenzionato?Stefano MianiPUBBLICATO IL 02 dicembre 2024
Quesito: Alcuni lettori, per lo più medici e infermieri, segnalano che per indicare una persona alla quale vengono applicate delle contenzioni, oltre a contenuto/a, ultimamente viene utilizzato contenzionato/a (es. “paziente contenzionato con spondine a letto”), chiedendo se si tratti di un recente neologismo oppure se sia il termine tecnico più appropriato. Ci si chiede, inoltre, se esista e quale sia la parola per indicare l’esatto opposto della contenzione. Constatando, infine, che in molti testi giuridici coazione, coercizione e contenzione sono usati come sinonimi, in particolare con riferimento all’esecuzione dei Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO; L. 833/1978 artt. 33, 34 e 35), chiedono se questi termini siano effettivamente tali. Il paziente (non) va contenuto o contenzionato?Una doverosa premessa Nel trattare, seppur da un punto di vista puramente terminologico, il delicato argomento delle contenzioni, cioè dei mezzi che nella cura dei pazienti servono a immobilizzarli o comunque a limitarne la libertà di movimento, dobbiamo tenere sempre presente la Costituzione, che, nella prima parte dell’articolo 13, sancisce che “la libertà personale è inviolabile” non ammettendo “forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge” e, nel secondo comma dell’articolo 32, ribadisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Chi scrive sente il bisogno di definirsi un convinto basagliano ‘seguace, studioso di Franco Basaglia’, parola che è attestata dal 1977 (GRADIT), all’apice, cioè, di un dibattito che avrebbe portato, l’anno successivo, al varo della legge 180, la cosiddetta legge Basaglia, che decretò la chiusura degli Ospedali Psichiatrici. Sempre chi scrive condivide e fa proprie le parole della Corte di cassazione che, pronunciandosi sul caso Mastrogiovanni, il maestro morto dopo essere rimasto legato ben 83 ore durante un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), dichiara che la contenzione “non ha né una finalità curativa né produce materialmente l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente” (Corte di Cassazione, sez. V penale, sent. n. 50497, Roma, 20 giugno 2018, caso Mastrogiovanni, p. 45; copia non ufficiale reperibile in rete). Dai mezzi di coercizione alla contenzione: come contenere il paziente. Un breve excursus Per capire se contenzionato sia un neologismo o se appartenga (o si avvii a farlo) alla terminologia specialistica della medicina appare opportuno compiere un breve percorso nella storia della psichiatria e della legislazione italiana. Diciamo subito che chi volesse, anche da un punto di vista terminologico, cercare appigli nelle leggi, attuali o passate, troverebbe poco o niente. Gli interventi del legislatore sono così rari e trattano così indirettamente l’argomento che è possibile affermare che “in Italia [...] la contenzione non è disciplinata dalla legge” (Marta Caredda, Introduzione all’analisi comparata: riflessioni critiche e ambito di studio, in La contenzione del paziente psichiatrico. Un’indagine sociologica e giuridica, a cura di Mario Cardano et al., Bologna, Il Mulino, 2020, pp. 71-86: p. 71). Di fatto, la possibilità di applicare una contenzione, privando un individuo della propria libertà e commettendo quindi un reato, è possibile solo in riferimento al cosiddetto “stato di necessità”, così come è previsto dall’art. 54 del Codice penale: Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo. Nella legge 833 del 1978 con cui viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale non si fa riferimento alla contenzione dei malati, neppure negli articoli 33, 34 e 35, che si occupano del TSO. Come è noto, la legge 833 recepiva la legge 180 del 13 maggio 1978 (la cosiddetta legge Basaglia). Quest’ultima abrogava la legge del 14 febbraio 1904 numero 36, intitolata Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Nonostante nel corso degli anni ci sia stata molta incertezza, sembra evidente che con l’entrata in vigore della legge 180/1978 venne abrogato – seppur “in modo implicito”, ma, di fatto, rendendolo “non più vigente all’interno del nostro ordinamento” (Corte di Cassazione, sez. V penale, sent. n. 50497, Roma, 20/6/2018, caso Mastrogiovanni, p. 46) – anche l’articolo 60 del Regio Decreto del 16/8/1909 n. 615, collegato alla legge 36/1904, che era l’unico luogo nel corpus legislativo italiano in cui era trattato l’argomento dei mezzi di coercizione: Nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell’Istituto. (DR 615/1909) È interessante osservare come questa legge ponesse seri limiti all’utilizzo di tali strumenti, e specificasse che nel prescrivere tali misure il medico fosse tenuto a “indicare la natura e la durata del mezzo di coercizione”, prescrivendo pene pecuniarie e penali per autorizzazioni indebite e vietando “l’uso dei mezzi di coercizione [...] nella cura in case private” (Ibidem). Il decreto del 1909 utilizzava il termine coercizione (dal fr. coercition), datato da GRADIT al 1812 (ma al 1797 da DELI e ulteriormente retrodatabile alla prima metà del XVIII sec. con una ricerca su Google libri). Questa parola si era diffusa in àmbito medico soprattutto grazie all’espressione mezzi di coercizione ‘strumenti impiegati per immobilizzare o limitare la libertà del paziente’, come possiamo vedere da alcune attestazioni della prima metà dell’Ottocento che riportiamo a puro titolo d’esempio: spetterà ad esso [il medico] l’ordinare tutti quei sperimenti di bagni a sorpresa, o di qualunque altra specie di doccie, di camera oscura, della macchina rotatoria, di mezzi di repressione, ed altri simili. Eviterà di sottoporre i suoi malati a quei mezzi di coercizione, i quali deprimono lo spirito umano, e senza migliorarlo lo avviliscono, come sarebbe il caricarli di catene, o di altri legami, l’assoggettarli alle battiture. (Regolamenti e statuti pel nuovo Ospedale provinciale de’ mentecatti in Pesaro, Pesaro, Annesio Nobili, 1828, p. 52) i seggioloni [...], i manicotti di cuoio, e le cinture con alcune catene sono i più ordinari mezzi di coercizione adoperati. (Stefano Bonacossa, Sullo stato de’ mentecatti e degli ospedali per i medesimi in varii paesi d’Europa. Narrazione con osservazioni critiche, Torino, Fratelli Favale, 1840, p. 82) Poco più tardo di coercizione è il termine contenzione ‘immobilizzazione’ (GRADIT), che è un lessema diverso da contenzione ‘disputa, contesa’, che, infatti, nei dizionari ha un’entrata distinta. Quest’ultimo termine deriva dal latino contentiōne(m) ed è attestato fin dal XIII sec. in questo e in significati affini (cfr. TLIO). Siamo davanti a un caso di omonimia grammaticale perfetta, cioè di due parole appartenenti alla stessa categoria grammaticale che hanno la stessa grafia e pronuncia ma diversa etimologia (cfr. Beccaria 2004, s.v. omonimia, p. 549). Per l’entrata che ci interessa (contenzione ‘immobilizzazione’), normalmente i repertori lessicografici propongono un’origine per trafila dotta, da contentum, supino del latino continere ‘trattenere, comprimere’, con l’aggiunta del suffisso -ione, datando la parola al 1877. Tuttavia il termine è retrodatabile alla prima metà del XIX sec. ed è verosimile ipotizzare che sia stato fatto un calco semantico sul fr. contention, che già agli inizi del XIX sec. sembrerebbe aver avuto questo significato (cfr. TLFi) e che varcò, come coercizione, le Alpi in sella alla psichiatria francese. Lo troviamo, infatti, per la prima volta nel 1828, nella traduzione italiana del Dictionnaire des termes de médecine, chirurgie, art vétérinaire, pharmacie, histoire naturelle, botanique, physique, chimie, etc. (Paris, Chevot-Béchet-Ballière, 1823): CONTENZIONE, s.f., contentio, (continere, contenere); azione di contenere. Riunione dei mezzi che servono a contenere. (Dizionario dei termini di medicina, chirurgia, veterinaria, farmacia, storia naturale, botanica, fisica, chimica, ec. di Begin, Boisseau, Jourdan, Montcarny, Richard [...] ridotto ad uso degli italiani con molte aggiunte da Giovanbattista Fantonetti [...] ed Amedeo Leone [...] e riveduto da Annibale Omodei [...], Milano, Presso gli editori degli annali universali delle scienze e dell’industria, 1828, p. 279) La parola conosce una rapida diffusione, sia per indicare ‘la fasciatura di un’ernia o di una frattura, fatta per contenere la prima o per mantenere l’arto immobile e favorire la guarigione’ (cfr., per es., il Trattato di patologia esterna e di medicina operatoria con sunti di anatomia dei tessuti e delle regioni di Augusto Vidal [...] traduzione italiana del dottor Alessandro Del Corso, II, Milano, Maisner e compagnia editori libraj, 1864, p. 98: “gli apparecchi usitati per la contenzione delle fratture sono numerosi”), sia in espressioni come mezzi di contenzione (forzata), cioè ‘l’insieme dei mezzi e degli strumenti utilizzati per immobilizzare gli animali e gli esseri umani’. A quanto ci risulta, la prima occorrenza di questa espressione in campo psichiatrico è databile al 1838: “I mezzi di contenzione forzata per maniaci sono l’isolamento, e l’oscurità, ed il così detto gilet de force” (Bernardino Bertini, Viaggio medico in Germania nella state del 1837, Torino, Tip. Cassone, Marzorati e Vercellotti, 1838, p. 31). Si prenda, a puro titolo d’esempio, un articolo del 1842, in cui si discute dell’opera riformatrice dell’inglese John Conolly (1794-1866), che si era battuto per l’abolizione totale dell’uso delle catene, delle camicie di forza e delle cinghie nei manicomi. Lo scritto mostra anche come l’abolizione di tali mezzi fosse considerata pressoché impossibile: pochissimi sono i mezzi di contenzione forzata in uso; non può tuttavia l’Autore credere con Hill, Blanche e Conolly che sia possibile farne senza assolutamente. Il giacco [la camicia di forza], i guanti di forza, la sedia, le trappole, il letto forzato sono gli unici che s’adoprano (Bernardino Bertini, Notizie e voti concernenti il manicomio di Eidelberga, in “Giornale delle scienze mediche compilato da veri membri della Facoltà medico-chirurgica di Torino”, V, vol. XIII, pp. 211-213: p. 212) In questo breve excursus, che non ha pretese di esaustività, oltre a rilevare il “successo” in àmbito psichiatrico di contenzione e l’impiego nelle leggi di inizio XX sec. di coercizione, annotiamo che questi nomi mancano dei relativi verbi e aggettivi per indicare, rispettivamente, l’azione di ‘limitare, per lo più meccanicamente, il movimento, immobilizzare’ e ‘lo stato, la condizione di chi è sottoposto a mezzi di contenzione’. Mentre coercire ‘costringere’ è attestato solo dal 1988 e fa parte della terminologia del diritto (GRADIT), contenzionare è attestato dal TLIO fin dal 1268, ma nel significato di ‘fare contesa’ (in rapporto quindi all’omonimo), alla metà del XIX secolo era in disuso (cfr. Tommaseo-Bellini, s.v.) e non è più presente nei repertori sincronici odierni (GRADIT, Zingarelli 2024, Devoto-Oli 2024, Sabatini-Coletti 2022). Fin dal XIX sec., laddove non si utilizzino perifrasi (o il semplice verbo legare) è ben attestato il verbo contenere. Questo verbo, derivato dal latino continere (cum + tenere) – che nel significato di ‘racchiudere, accogliere, comprendere’ risale alle origini della nostra lingua (lo troviamo nel Placito capuano del 960: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”) –, fin dal XIII sec. vede registrato tra i suoi significati anche quello di ‘impedire un’azione, un movimento’ (TLIO), da cui il significato che ci interessa. In àmbito psichiatrico, accanto al verbo contenere (cfr. per es., Biagio Gioacchino Miraglia, Un raro caso di demonomania subbiettiva, in “Giornale della R. Accademia di medicina di Torino”, XXXIII, s. III, vol. IX, 1870, pp. 112-121: p. 117: “[il paziente] divenuto così pericoloso fu custodito e contenuto nel letto di repressione; ma dopo alcuni istanti svolgendo una forza gigantesca lacerò il giubbetto che lo frenava ed uscito dal letto repressivo lo fece a pezzi”), troviamo già attestazioni ottocentesche dell’uso sostantivato del participio passato contenuto ‘chi è immobilizzato’: la camiciola di forza, i manicotti, le cinghie sono usati in Francia, in Germania, in Italia e se le statistiche degli alienisti di questi paesi dessero come quella degli inglesi il numero di contenuti, le ore per le quali fu necessario l’atto di contenzione, sarebbe facile dire dove più e dove meno sono tali mezzi adoperati (Augusto Tebaldi, Delle istituzioni che reggono la vita interna degli asili per gli alienati, in “Giornale della R. Accademia di medicina di Torino”, V, 1864, pp. 373-392: p. 389) e dell’agg. contenuto ‘immobilizzato, legato’: potè a suo agio introdurre quelle riforme che valsero in soli quattro mesi a non contare più un malato contenuto, avendone trovati quaranta sopra ottocento in diversi modi assicurati. Dieci anni vi rimase e non ricorse più una volta alla contenzione di verun malato. (Augusto Tebaldi, rec. a A memoir of John Conolly, M. D. D. C. L… By sir James Clark etc., London, 1869, in “Archivio italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le malattie mentali”, VII, 1870, pp. 394-396: p. 394) All’inizio del XX sec. abbiamo, insomma, la seguente situazione: coercizione e contenzione sono usati come sinonimi per ‘insieme di pratiche tendenti all’immobilizzazione fisica del paziente’. A questi due sostantivi possiamo affiancare il verbo contenere ‘immobilizzare’ e l’agg. contenuto per indicare ‘chi/che è ‘immobilizzato mediante mezzi di contenzione’. Coercizione, contenzione e coazione: attestazioni lessicografiche Coercizione nel corso del Novecento si è specializzato nel significato propriamente giuridico di ‘mezzo con cui viene ripristinato l’ordine giuridico con l’uso della forza o con l’applicazione di sanzioni in caso di inosservanza di un precetto legale’, come ci conferma GRADIT, che marca appunto il termine come specialistico e con l’etichetta dir. ‘diritto’ e non con le etichette med. ‘medico’ o psich. ‘psicologia, psicanalisi, psichiatria’. Contenzione ‘immobilizzazione’ è registrato da GRADIT con marca CO (cioè vocabolo di uso comune), mentre con marca TS (tecnico-specialistico) e doppia etichetta med. ‘medicina’ e chir. ‘chirurgia’ quando indica ‘il contenere, il comprimere’, rimandando cioè principalmente alla contenzione delle fratture o ernie in chirurgia. Tra le sue polirematiche GRADIT registra camicia di contenzione ‘camicia di forza’, letto di contenzione ‘letto munito di cinghie e sponde, un tempo usato per immobilizzare malati mentali in preda a particolari stati di agitazione’ e mezzo di contenzione ‘ciascuno degli strumenti usati negli ospedali psichiatrici per impedire il movimento dei malati, come ad es. la camicia di forza’, indicandole, rispettivamente, con la marca BU (vocabolo raro, di basso uso), OB (vocabolo obsoleto) e CO. Allo stesso modo Zingarelli 2024 registra, oltre al significato di ‘il contenere, il comprimere’, la locuzione mezzo di contenzione: “negli ospedali psichiatrici, qualunque mezzo usato per limitare i movimenti di persone agitate: camicia di contenzione”. Se da un lato queste definizioni danno un chiaro riferimento all’àmbito d’uso dei termini in campo psichiatrico, dall’altro lasciano perplessi, tenuto conto che dal 1978 gli ospedali psichiatrici sono stati aboliti: camicia di forza e letto e mezzo di contenzione andrebbero, semmai, segnalate come locuzioni utilizzate solo in passato (e usabili in contesti metaforici). Sotto questo aspetto appare molto più chiara la definizione proposta dal Sabatini-Coletti, che indica contenzione come il ‘mantenimento nella sede normale di un organo o di un osso fratturato che sta fuoriuscendo’ e inquadra storicamente mezzo di contenzione: “quelli un tempo usati negli ospedali psichiatrici per l’immobilizzazione forzata dei malati (letto di c., camicia di forza ecc.)”. Allo stesso modo il Devoto-Oli 2024, s.v. contenzione2 annida letto di contenzione e mezzi di contenzione sotto il significato ‘immobilizzazione’, specificando che erano strumenti e pratiche usati negli “antichi ospedali psichiatrici”. Consultando repertori specialistici, come il Dizionario delle scienze psicologiche (Bologna, Zanichelli, 2012) di Luciano Mecacci, s.v. contenzione leggiamo la seguente definizione, che ne amplia il significato (la contenzione non più ottenuta solo meccanicamente, ma dopo la rivoluzione farmacologica del secolo scorso, anche mediante la somministrazione di farmaci): Compressione, immobilizzazione. In psichiatria con contenzione si indica l’insieme dei mezzi adottati per immobilizzare un paziente che è in stato di agitazione e può commettere azioni violente contro sé stesso o gli altri; questi mezzi possono essere adottati anche nei casi in cui il paziente non è in grado di badare a sé stesso e può farsi male (per esempio, cadendo dal letto). Nel passato i mezzi di contenzione erano essenzialmente fisici (fasce, cinghie, camicia di forza, ecc.) [...]. Successivamente, l’uso degli psicofarmaci ha permesso di eliminare, almeno in moltissime situazioni, i tradizionali mezzi di contenzione, anche se è dibattuta la funzione di “controllo” del paziente che può esercitare lo psicofarmaco. Insomma, possiamo senz’altro considerare contenzione come un tecnicismo psichiatrico, cioè un termine impiegato in psichiatria con riferimento a tutte quelle pratiche volte a contenere i comportamenti dei malati mentali attraverso tecniche che vanno dall’immobilizzo del paziente alla somministrazione di psicofarmaci. (Nuovo Dizionario di Psicologia, Psichiatria, Psicoanalisi, Neuroscienze, a cura di Umberto Galimberti, Milano, Feltrinelli, 20192, s.v. contenzione) A riprova dell’uso specialistico di contenzione, solo per fare un esempio recente e significativo, nell’articolo 35 del Codice Deontologico delle Professioni infermieristiche approvato dal Comitato Centrale della Federazione e dal Consiglio Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche riuniti a Roma nella seduta del 12 e 13 aprile 2019 si legge: L’Infermiere riconosce che la contenzione non è atto terapeutico. Essa ha esclusivamente carattere cautelare di natura eccezionale e temporanea; può essere attuata dall’equipe o, in caso di urgenza indifferibile, anche dal solo Infermiere se ricorrono i presupposti dello stato di necessità, per tutelare la sicurezza della persona assistita, delle altre persone e degli operatori. La contenzione deve comunque essere motivata e annotata nella documentazione clinico assistenziale, deve essere temporanea e monitorata nel corso del tempo per verificare se permangono le condizioni che ne hanno giustificato l’attuazione e se ha inciso negativamente sulle condizioni di salute della persona assistita. Rispondendo già al terzo quesito, possiamo quindi dire che contenzione oggi non è un sinonimo di coercizione o di coazione. Coazione (dal latino coactiōne(m), derivato di cogĕre ‘costringere’), che è datato dal TLIO al 1363, ma dal GRADIT av. 1343, è un termine impiegato per lo più dal linguaggio giuridico per indicare ‘un atto di forza compiuto dall’autorità statale per far rispettare una legge’ (GRADIT tra i suoi sinonimi, infatti, include coercizione). Ha conosciuto anche una discreta fortuna come termine medico, nello specifico psicanalitico, per indicare una ‘spinta irrefrenabile a compiere gesti ai quali l’individuo si sente costretto pur rendendosi conto della loro inadeguatezza’ (GRADIT), da cui la famosa espressione polirematica coazione a ripetere ‘tendenza a ripetere in modo compulsivo comportamenti, esperienze o situazioni già vissuti dall'individuo e in qualche modo acquisiti nel loro meccanismo’. Da contenzione a contenzionare Mentre, come abbiamo detto, il verbo contenere ‘immobilizzare’ è ben attestato nell’uso medico fin dal XIX sec., anche se nessun dizionario specifica questo àmbito di utilizzo, contenzionare ‘immobilizzare, sottoporre a contenzione’ non è ancora registrato nei repertori in quest’ultima accezione. Nel XX sec. abbiamo trovato un’unica attestazione, sulla “Rivista agraria polesana”, III, 1903, p. 281, in cui si parla di “contenzionare un toro fuori dalla stalla”. Ricercando su Google “contenzionare” si ottengono appena 102 risultati (348 senza le virgolette), molti dei quali si riferiscono all’omonimo contenzionare ‘far contesa’ (ricerca dell’11/7/2024). Tuttavia, almeno dal 2008, contenzionare vanta attestazioni online in contesti tutto sommato specialistici (forum di argomento medico, commenti di medici ad articoli scritti da altri medici, risposte di medici a domande di pazienti), che negli ultimi anni sembrano consolidarsi. Riportiamo (lasciando inalterato il testo, errori di battitura compresi), a titolo d’esempio, le prime due attestazioni che siamo riusciti a trovare, tra i commenti di utenti in un forum che si occupa di primo soccorso: non sò [sic] se la definizione è valida da tutte le parti, ma da noi in spdc dicono che un tso per definizione deve essere contenzionato anche se sedato altrimenti è un ricovero volontario. (risposta al post Armi in ambulanza??? dell’utente jeppovallelunga del 25/9/2008) Ovviamente senza eccessi. ma contenzionare uno in crisi di astinenza che ha appena demolito una casa, sputa e minaccia tutti.... non mi sembra un eccesso di forza!!! (risposta al post Forze dell’ordine a bordo... dell’utente Il Primario Azzurro del 30/4/2010) Notiamo che nella prima attestazione, dove contenzionato ha valore aggettivale, quel “noi” utilizzato da chi scrive ne fa, quasi certamente, un operatore di un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (indicato nel testo con la sigla SPDC). Ancora più interessante appare la seguente attestazione: La paziente NON era “legata a una barella” bensi [sic] contenzionata in maniera atraumatica mediante le lenzuola e (essendo obnubilata) con il consenso dei parenti presenti. Una barella e’ + alta e assai meno stabile di un letto. E’ quindi BUONA PRASSI contenzionare temporaneamtne [sic] pazienti obnubilati, in stato confusionale o in coma leggero per evitare che cadano o rovescino la barella con grave rischio di farsi male (risposta al post Il Pronto Soccorso. Il grande imbuto del Servizio Sanitario Nazionale dell’utente G. Cortassa del 10/3/2012) Oltre a osservare, nuovamente, contenzionata sulla “soglia” del passaggio da participio a aggettivo, segnaliamo che l’autore del commento è un medico che, pur nella modalità dello scritto trasmesso, meno formale e sorvegliata, cerca di dimostrare la non sussistenza di una notizia di presunta malasanità (una paziente legata per quattro giorni senza acqua e cibo in un Pronto Soccorso). Si noti, inoltre, che l’autore, in qualità di medico, cerca di “smontare” l’articolo cui fa riferimento, riportando tra virgolette le parole del giornalista, per poi ribattere utilizzando quello che, in qualità di medico, sente essere un tecnicismo (non “legata al letto” ma contenzionata). Appare opportuno indagare l’uso degli specialisti, perché è ovvio che, come testimoniato implicitamente nella domanda, contenzionato e contenzionare stanno circolando proprio tra gli psichiatri e gli infermieri. Anche in questo caso, abbiamo qualche riscontro in alcuni documenti operativi, per lo più linee guida ospedaliere, facilmente reperibili online. Nelle Linee guida per la gestione dell’osservazione breve intensiva del Grande Ospedale Metropolitano “Bianchi Melacrino Morelli” di Reggio Calabria, pubblicate nel 2021 (reperibile in formato PDF in rete), tra i pazienti da escludere dall’osservazione breve intensiva sono segnalati i “pazienti da contenzionare” (p. 5). Nella Relazione di attività gestione del rischio clino aziendale dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova (p. 53), tra gli obiettivi degli audit clinici sulla contenzione troviamo l’aggettivo e sostantivo contenzionati, il sostantivo contenzione e il verbo contenzionare: 1. Determinare il numero di contenzionati per singolo reparto, al momento dell’indagine In quest’ultimo esempio è possibile osservare il processo di formazione del sostantivo a partire dall’aggettivo/participio: numero di pazienti contenzionati > numero di contenzionati. Una recentissima occorrenza sembrerebbe aprire alla possibilità di un prossimo approdo in àmbito giornalistico. Troviamo infatti contenzionare in un articolo di cronaca del 10 luglio 2024 pubblicato sul quotidiano ligure online primaillevante.it, in cui sembra lecito ipotizzare che l’autore abbia riprodotto il verbo traendolo dal referto medico o dal verbale di polizia: Lo straniero trasportato presso il pronto soccorso del nosocomio del Tigullio in quanto soccorso per strada in stato di forte agitazione dovuta all’ingestione di alcolici, al momento di essere medicato, senza apparente motivo, è andato in escandescenza colpendo con degli schiaffi la guardia giurata in servizio e causando danni alla struttura nonché a un’autoambulanza della Croce Rossa. Intervenuti i militari (anch’essi minacciati) della Stazione supportati da una pattuglia dell’Aliquota Radiomobile della Compagnia di Sestri Levante, per riportare la calma sono stati costretti a contenzionare il “paziente” che è stato finalmente sottoposto a cure mediche. (Lavagna, ubriaco danneggia pronto soccorso: denunciato) Una possibile serie paradigmatica: contenzione, contenzionare, contenzionato A questo punto non resta che osservare che contenuto e contenzionato, non registrati dai principali repertori nel significato che ci interessa (contenzionato non è registrato in nessuna accezione), sono aggettivi derivati da un participio passato, secondo un processo di transcategorizzazione che può essere riassunto nei seguenti passaggi: trasformazione di una frase da attiva a passiva – l’infermiere ha contenuto il paziente (al letto) > il paziente è stato contenuto – per poi, tramite una relativa, compiere il passaggio dalla categoria verbale a quella aggettivale – il paziente che è stato contenuto > il paziente contenuto (cfr. Dardano 2009, p. 81). Mentre per contenuto il percorso è lineare e ben documentabile e ne fa, se non un termine tecnico vero e proprio, un tecnicismo collaterale della psichiatria moderna (Serianni 2005, pp. 127-159), contenzionato presuppone un verbo contenzionare ‘immobilizzare con strumenti di contenzione’ ricavato dal sost. contenzione (come da azione > azionare o da arma > armare) secondo uno dei processi più semplici e produttivi nella formazione delle parole (cfr. Dardano 2009, pp. 46-47). Come abbiamo visto, questo verbo, seppur recente, è attestato in più luoghi, il che rende, dunque, la trafila possibile. Premesso, quindi, che “la scelta tra sinonimi concorrenti e la formazione di classi di termini nel vocabolario disciplinare dipendono dall’accordo interno alla comunità scientifica e da esigenze di registro e di tipologia testuale” (Gualdo 2021, p. 56), sebbene l’aggettivo contenuto sia ben attestato da oltre un secolo e sia quindi nella disponibilità d’uso dei parlanti, non solo specialisti, possiamo senz’altro affermare che contenzionato negli ultimi anni sembrerebbe in una fase di espansione in ambienti specialistici, non solo nella comunicazione quotidiana nei reparti, ma anche in documenti ufficiali e che, formando col già affermato contenzione e col verbo contenzionare una di quelle serie paradigmatiche che i linguaggi specialisti prediligono, sembrerebbe aver buone possibilità di sopravvivenza e di successo, tanto più che si tratta di una parola correttamente formata secondo le regole della lingua italiana. Scontenzione, decontenzione, scontenere: antonimi in formazione Nessun repertorio registra un sostantivo che indichi ‘la cessazione del regime di contenzione a cui è sottoposto un paziente’, né un verbo o un aggettivo. Tuttavia è facilmente comprensibile la necessità che potrebbero avere medici e infermieri di indicare che un paziente al momento privo di contenzioni le abbia avute in precedenza, per esempio nella compilazione di una cartella clinica o di un’anamnesi. Tra i possibili antonimi ottenuti per prefissazione (cfr. Dardano 2009, pp. 168-170 e 174-175) prendendo come base contenzione abbiamo qualche attestazione di decontenzione o scontenzione, mentre prendendo il verbo contenere abbiamo scontenere (non *decontenere). Le poche ed eterogenee testimonianze di queste parole (ricavate, per lo più, da ricerche su Google) in varie tipologie di testi – dai protocolli di aziende ospedaliere o di reparti psichiatrici, ai forum di argomento psichiatrico, dalle diapositive o dai titoli dei corsi di formazione per infermieri e personale sanitario, fino a forum, blog e riviste generaliste, per lo più nel dibattito che si è venuto a creare dopo il già ricordato caso Mastrogiovanni – non aiutano a farsi un quadro chiaro. I (pochi) articoli di giornale, monografie e documenti “ufficiali” (sentenze, atti parlamentari e sim.) che presentiamo di seguito, testimoniano più la mancanza di un accordo che la vitalità dei singoli termini, che appaiono spesso come veri e propri occasionalismi, legati cioè allo stile espressivo dello scrivente di turno e alla sua creatività linguistica. Decontenzione appare agli inizi del XXI sec. in un documento del Comitato Nazionale per la Bioetica, datato 24 novembre 2000 e intitolato Psichiatria e salute mentale: orientamenti bioetici. Per superare la pratica della contenzione, si deve considerare ogni contenzione, come peraltro consigliato dall’O.M.S., come evento sentinella, un evento cioè che deve essere analizzato dall’équipe curante per sapere se e come potrebbe essere evitato. Si devono inoltre costruire dei protocolli che prevedano tutte le pratiche e le procedure da attuare per evitare la contenzione, cosa fare durante l’eventuale contenzione, e come rianalizzare l’evento dopo la «decontenzione» del paziente. (Psichiatria e salute mentale: orientamenti bioetici: 24 novembre 2000, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 2000, p. 50) Si veda anche, sempre a titolo d’esempio, il commento a cura della Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) al già citato articolo 35 Codice Deontologico degli infermieri: Il tristemente noto “caso Mastrogiovanni” [...] si sarebbe potuto evitare si vi fosse stato il pieno e perfetto incrocio tra [...] elementi relazioni e assistenziali. In presenza di un adeguato livello di maturità etica, della disponibilità e competenza [...] nell’utilizzo di una checklist per la contenzione, recante gli appositi spazi per il monitoraggio dei parametri vitali e i tentativi di decontenzione. (Commentario al nuovo Codice deontologico delle professioni infermieristiche, Roma, FNOPI, 2020, p. 83) Anche scontenzione (derivato di contenzione con s-), presenta qualche attestazione. La prima che siamo riusciti a trovare è contenuta in un articolo del 23 ottobre 2009, oggi reperibile in rete nell’Archivio storico del giornale “Il Manifesto”. L’articolo si occupa di un processo e riporta la testimonianza di un medico: Quanto accaduto nei sette giorni successivi può essere ricostruito solo con le cartelle cliniche, il registro di passaggio di consegne degli infermieri e le «cartelle di contenzione». E proprio in queste ultime, come ha poi fatto notare l’ex direttore sanitario della Asl di Cagliari [...] rispondendo ad una domanda del giudice Nespoli, il riquadro che avrebbe dovuto indicare i «tentativi di scontenzione» era sempre in bianco. «Si desume - ha tagliato corto [...] - che il paziente, salvo qualche parziale scontenzione, sia rimasto in quella condizione per sette giorni» (Francesco Pinna, «Così hanno ucciso Giuseppe», 23/1/2009) La parola spicca in un verbale della 71a seduta della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale del Senato della Repubblica (XVI legislatura) del 18 maggio 2010 (documento desecretato nel 2013): La contenzione fisica era ritenuta una condizione non stretta, signor Presidente, perché gli arti erano liberi di agire – così si legge – e il tronco si poteva muovere. Il paziente è stato pulito e confortato nel corso di quelle drammatiche giornate e ha subito le terapie dovute. Inoltre, come riporta la relazione della commissione che consegnerò, gli sono stati controllati costantemente i parametri vitali; quindi, non c’erano le condizioni particolari – a detta dei medici che lo tenevano in cura – per poter decidere una sua scontenzione. I verbi *scontenzionare e *decontenzionare e gli agg. *scontenzionato e *decontenzionato, non ci risultano, invece, attestati. Scontenere compare in un articolo del 2013 che riporta le parole della sentenza di primo grado del caso Mastrogiovanni, pubblicato sul quotidiano “Il Manifesto”: La contenzione – come mostra il video – non gli consente «alcun autonomo movimento, come piegare le gambe o sedersi sul letto, e mai fu scontenuto per essere sottoposto a toletta personale, anzi per tutta la durata del ricovero l’unica pulizia che gli fu praticata fu quella di cambiargli il pannolone» (Giuseppe Galzerano, “Così hanno lasciato morire Mastrogiovanni”, “Il Manifesto”, 8/5/2013) Lo ritroviamo, per fare un altro esempio, accanto a scontenzione, in un articolo del 2019 pubblicato sulla rivista della Società italiana di Scienze Infermieristiche in Salute Mentale (S.I.S.I.S.M.): I quadri che sono riprodotti nella pagina seguente raccontano una storia di scontenzione. Raccontano degli albori della psichiatria moderna. Pochi anni separano il primo episodio dal secondo, ma sono due mondi. I protagonisti sono gli stessi, ma il contesto cambia, e così ciò che viene mostrato. Terminiamo con un rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale del gennaio 2022, riferito a un’ispezione del 2019, in cui troviamo addirittura un ricontenuto ‘nuovamente contenuto’. Si parla, infatti, di un paziente (detenuto) che viene dapprima "scontenuto per un’ora alla presenza di quattro poliziotti per essere lavato e mobilizzato" e poi "ricontenuto per 23 ore". Nota bibliografica:
Copyright 2024 Accademia della Crusca |