Parole nuove | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Ambiente protesicoKevin De VecchisPUBBLICATO IL 08 novembre 2024La locuzione sostantivale ambiente protesico è un’espressione tecnica di àmbito sociosanitario, circolante anche in testi di medicina e architettura, che ha il significato di ‘spazio (sanitario, ospedaliero o domestico) progettato ad hoc per persone a cui è stata diagnosticata una forma di demenza’. Si tratta di un calco dall’angloamericano prosthetic environment, nato in America intorno agli anni Sessanta nell’àmbito della psicologia comportamentale per opera dello psicologico Ogden R. Lindsley (Geriatric behavioral prosthetics, in New Thoughts on Old Age, a cura di Robert Kastenbaum, New York, Springer, 1964, pp. 41-60). Nella fattispecie, lo studioso individuava tre possibili ‘strategie protesiche’ (“prosthetic strategies”) per la riabilitazione ‘di persone con disabilità comportamentali’ (“behaviorally handicapped”): 1. i ‘dispositivi protesici’ (“prosthetic devices”), ossia gli strumenti che permettono alle persone con disabilità di frequentare gli ‘ambienti comuni’ (“average environment”), come per es. apparecchi, stampelle, arti artificiali, sedie a rotelle ecc.; 2. ‘l’addestramento protesico specializzato’ (“specialized prosthetic training”), ovvero l’insegnamento di tecniche (per es. la lettura labiale, l’uso di dispositivi mnemonici) o di riabilitazione muscolare per consentire alle persone con disabilità ‘di comportarsi in modo efficiente in ambienti comuni’ (“to behave efficiently in average environments”); 3. gli ‘ambienti protesici’ (“prosthetic environments”), ossia ambienti di vita circostanti, opportunamente adattati alle esigenze della persona con disabilità comportamentale o cognitiva e non viceversa (si cita da Ogden R. Lindsley, Direct measurement and prosthesis of retarded behavior, “Journal of Education”, 147, 1964, pp. 62-81). La progettazione di un ambiente protesico consiste in una serie di semplificazioni e accorgimenti strutturali – i più comuni all’interno delle case o delle residenze sanitarie assistenziali sono per es. la rimozione di ostacoli potenzialmente pericolosi come scale e gradini, l’installazione di sistemi tecnologici, come i rilevatori di fumo, e la creazione di spazi volti a stimolare le funzioni cognitive –, che rendono la vita della persona nell’ambiente così adattato più agevole e sicura, permettendo al contempo ai familiari o al personale sanitario di avere a disposizione tutti gli strumenti necessari per svolgere al meglio l’attività assistenziale. Dal punto di vista linguistico, sono da notare alcuni aspetti. Il primo riguarda la traduzione dall’inglese. In italiano prosthetic in questa collocazione (ormai diventata una polirematica, come vedremo più avanti) è stato reso con protesico e non prostetico (la combinazione ambiente prostetico ha una sola occorrenza su Google libri e tre soli risultati sulle pagine in italiano di Google). La motivazione risiede nella storia e nella trafila etimologica delle parole pròstesi (da cui prostetico), che oggi si usa esclusivamente in linguistica nel senso di “aggiunta di una consonante, di una sillaba o spec. di una vocale all’inizio di una parola per ragioni eufoniche” (Zingarelli 2025), ma che in passato aveva anche il valore medico di ‘apparecchio sostitutivo’ (cfr. GDLI), e pròtesi (da cui protesico), che ha i medesimi significati di prostesi, rispetto al quale è preferito in àmbito medico. Secondo l’Etimologico il termine prostesi, voce dotta entrata nel Settecento, deriverebbe dal. lat. tardo prosthĕsis -is, a sua volta dal gr. prósthesis, derivato di prostíthēmi (formato dal verbo títhēmi ‘porre’ col pref. pros- ‘presso, verso’); pròtesi, anch’essa voce dotta, attestata col significato linguistico nel 1540 e poi con quello medico nel 1835, deriverebbe invece dal lat. tardo prothĕsis -is, a sua volta dal gr. próthesis, derivato di protíthēmi ‘porre innanzi’ (formato anch’esso da títhēmi ‘porre’ col pref. pro- ‘davanti’). I continuatori di prothĕsis sarebbero stati poi confusi con quelli di prósthesis, assumendone il significato a partire dal lessico della medicina. Oggi, infatti, l’italiano predilige in àmbito medico l’aggettivo protesico (sulla formazione si rimanda a Bruno Migliorini, Saggi sulla lingua del Novecento, 3ª ed., Firenze, Sansoni, 1963, pp. 168-195), a differenza dell’inglese, che utilizza prosthetic e soltanto raramente prothetic (l’OED registra prothetic “Medicine. = prosthetic adj. rare”). Il secondo aspetto da notare è l’uso di protesico riferito ad ambiente. Tale accostamento (sia in italiano, sia già in inglese) non appare una scelta particolarmente felice dal punto di vista semantico. L’aggettivo significa infatti ‘che si riferisce, che è proprio di una protesi; che ha la funzione di sostituire un organo mancante’ (GDLI). Nella locuzione dovremmo desumere, dunque, che l’ambiente stesso sia considerato una protesi esterna, che integra e ripristina (se non addirittura sostituisce) una serie di funzionalità che la persona afflitta da demenza ha ormai perso. Il terzo e ultimo aspetto da considerare è che l’espressione può essere considerata una polirematica (o unità lessicale superiore), ossia una combinazione di due o più parole (nel nostro caso N + Agg.), graficamente separate, che costituiscono tuttavia un unico lessema. Ciò implica che il significato lessicale non si può ricavare sommando i significati dei singoli componenti e che nella sequenza non è possibile inserire altri elementi né sostituire un componente con un sinonimo. Se passiamo, invece, alla storia dell’espressione in italiano e alla sua diffusione, possiamo notare che la locuzione, non ancora registrata dalla lessicografia, è entrata nella nostra lingua soltanto alla fine del Novecento. La prima attestazione risale al 1996 all’interno di un testo settoriale di àmbito socioassistenziale pubblicato su una rivista dedicata all’urbanistica e all’architettura: [1] La struttura progettata integra una struttura del tipo RSA a una struttura di cura per affetti da demenza di Alzheimer. Hanno informato la stesura del progetto le particolari acquisizioni sulla concezione dello spazio fisico per anziani non autosufficienti e dementi, come “ambiente protesico”, rivalutando il ruolo del verde come spazio opportunatamente strutturato in grado di concorrere, se effettivamente utilizzato nei programmi terapeutici, alle condizioni di benessere dei ricoverati. (Luigi Chiara, Patrizia Valla, Servizi socio-assistenziali per anziani autosufficienti parzialmente autosufficienti e affetti da demenza di [A]lzheimer, “Paesaggio urbano. Dossier di cultura e progetto della città”, V, 2, 1996, pp. 76-77: 76) Negli anni Duemila si concentra pressoché la totalità delle attestazioni disponibili. Le occorrenze reperite su Google libri appartengono a precisi àmbiti settoriali, quali la sociologia [2], la sanità [3], la medicina [4] e l’architettura [5-6]: [2] Nel programmare un ambiente protesico sarà necessario intervenire almeno a due importanti livelli: 1. ambiente interpersonale; 2. ambiente fisico. (Maurizio Pilone, Il X sistema di classificazione della disabilità intellettiva e i principi della riabilitazione, in Disabilità mentale e istituzioni. Riflessioni sulla presa in carica, a cura di Franco Lolli, Stefania Pepegna, Fabio Sacconi, Milano, Franco Angeli, 2009, p. 83) [3] L’ambiente protesico sul quale si investe deve trovare un modello organizzativo ed una squadra di operatori in grado di tradurre i pensieri e le idealità in una quotidianità intrisa di nuovi significati all’interno del processo assistenziale tradizionale. (Sara Angelini, Alzheimer: curarlo e gestirlo in RSA, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2013, p. 63) [4] Prestazioni erogate in nuclei specializzati […] a pazienti con demenza senile nelle fasi in cui il disturbo mnesico è associato a disturbi del comportamento e/o dell’affettività che richiedono trattamenti estensivi di carattere riabilitativo, riorientamento e tutela personale in ambiente “protesico”. (Raffaele Antonelli Incalzi et al., Manuale di geriatria, Milano, Edra, 2019, s.p.) [5] L’organizzazione di un ambiente protesico fonda la sua efficacia sull’interazione dinamica fra operatori sanitari con una formazione specifica, programmi terapeutici individuali, calibrati alle condizioni di ciascun paziente, e uno spazio fisico progettato e realizzato in base a quei requisiti che derivano dall’osservazione e interpretazione del comportamento del demente. (Salvatore Lombardo, Residenze per anziani. Guida alla progettazione, Palermo, Dario Flaccovio Editore, 2017, p. 35) [6] La risposta alle reali esigenze dell’utenza, soprattutto di quella più debole, e il concetto di ambiente protesico che le nuove tecnologie possono consentire di sviluppare in direzione di una maggiore umanizzazione e fruibilità degli spazi di vita, in particolare quelli per la salute, riemergono nell’articolo […] (Roberto Bologna, Maria Chiara Torricelli, Romano Del Nord. Teoria e prassi, Firenze, Firenze University Press, 2021, p. 226) L’espressione compare anche in documenti ufficiali. Segnaliamo 9 risultati nei testi pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità (si tratta di documenti dedicati al trattamento della demenza e alla sorveglianza delle RSA, per es. I sintomi comportamentali e psicologici della demenza della Regione Lombarda - ASL Milano 1, 2010; il protocollo “Sorveglianza strutture residenziali socio-sanitarie nell’emergenza COVID-19” del 2022) e 1 in quelli emanati dal Ministero della Salute (Modello per la definizione dei fabbisogni di prestazioni sanitarie e sociosanitarie di lungo assistenza, riabilitazione e mantenimento, POAT SALUTE 2007-2013 della Regione Campania). Sarà poi importante citare l’occorrenza presente nell’art. 30 (Assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale alle persone non autosufficienti) del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12/1/2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, “Gazzetta Ufficiale” n. 65, 18/3/17, Supplemento ordinario n. 15). Per quanto riguarda la sua diffusione, nelle pagine in italiano di Google si contano 3.361 risultati (2.810 risultati al sing. + 551 al plur. alla data 7/10/2024), mentre sugli archivi giornalistici in rete si riscontrano soltanto 2 risultati su “la Repubblica”: Attraverso il progetto si studia la valorizzazione di prodotti e soluzioni a servizio dei sistemi di cura, secondo i principi di ambiente protesico, in particolare per determinate patologie (morbo di Alzheimer, autismo), ma soprattutto finalizzati all’invecchiamento attivo e in sicurezza in casa propria, un’urgenza del nostro tempo, al centro della programmazione europea sulla longevità della popolazione. (Benedetta Spadolini, Disegnare barche e case intelligenti quando lo stile è anche sostanza, “la Repubblica”, 27/3/2015, p. 14) "Abbiamo cominciato nel 2013 all’Ospedale di Biella, insieme all’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer" - racconta Ruggero Poi, formatore Montessori - «con l’idea di trasformare un’aula del diurnato del reparto di geriatria in uno spazio riconoscibile dai lungodegenti come protetto, accogliente, domestico, dove incontrare i familiari senza sentirsi in un ospedale. Ma anche un ambiente protesico, cioè che aiuta a sviluppare autonomia attraverso l’uso di materiali specifici». (Elisa Manacorda, Alzheimer & Montessori, “la Repubblica”, 6/3/2018, p. 60) Mette conto menzionare, infine, la registrazione dell’espressione nel glossario dell’ergonomia di Ergopedia.it (“sistema di supporto alla vita della persona con demenza, in grado di sostenere piuttosto che mettere alla prova il malato, con l’obiettivo di comprendere la peculiarità della disabilità creata dalla malattia, ma al tempo stesso di cogliere e valorizzare le competenze residue, le preferenze e i desideri del malato stesso”) e la trattazione scientifica da parte di Maria De Santis, professoressa associata di Progettazione tecnologica e ambientale dell’architettura all’Università degli Studi di Firenze, all’interno del Manifesto lessicale per l’accessibilità ambientale. 50 parole per progettare l’inclusione (a cura di Adolfo F. L. Baratta, Christina Conti, Valeria Tatano, Conegliano, Anteferma edizioni, 2023, pp. 62-68). In conclusione, possiamo affermare che l’espressione, sebbene abbia una circolazione ancora limitata, è ben diffusa nel settore specialistico sociosanitario, oltreché in quello della medicina e dell’architettura, nei quali è riuscita a imporsi rispetto al termine originario inglese. L’uso di prosthetic environment, in effetti, sarebbe stato poco di supporto (o poco protesico, per l’appunto!) per i parlanti italiani.
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