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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Molte parole nascono ma poche crescono: chi lo decide?

Rita Librandi

PUBBLICATO IL 07 ottobre 2024


Sui neologismi l’Accademia della Crusca è tornata in più occasioni, ma i fraintendimenti che continuano ad affiorare nelle pagine dei giornali, nelle discussioni in rete o nelle trasmissioni televisive ci inducono a riprendere ancora una volta l’argomento.

Cerchiamo, questa, volta, di ricostruire un po’ di storia, che forse ci aiuterà a chiarire meglio non solo che cosa siano i neologismi ma anche perché suscitino da sempre tante reazioni contrastanti. Cominciamo con il dire che il termine neologismo è un composto che si attesta in italiano nel XVIII secolo ed è formato da due componenti greche, il sostantivo lógos (‘parola’) preceduto dall’aggettivo néos (‘nuovo’). Che faccia la sua apparizione nel Settecento non è probabilmente un caso, sia perché molte furono le necessità in quel secolo di formare parole nuove per colmare vuoti in ambito filosofico e scientifico, sia perché tanti dei nuovi termini furono attinti dal francese; il che suscitò numerose reazioni negative. In realtà, ogni lingua si caratterizza per la necessità intrinseca di rinnovare costantemente il proprio lessico, formando parole per designare oggetti fino a quel momento ignoti, per denominare elementi di particolari scoperte scientifiche, per indicare concetti elaborati da una speculazione filosofica in continuo divenire, e così via; non mancano, d’altro canto, formazioni dovute all’estro di scrittori, cantanti, giornalisti, che talvolta riescono ad attecchire e che godono, ai nostri giorni, della complicità delle comunicazioni di massa. Nonostante si tratti, dunque, di un procedimento che è parte integrante della vita di ogni lingua, i neologismi sono spesso guardati con sospetto e con il timore che la lingua stia subendo un’aggressione e una contaminazione che la snaturerà. Si tratta di una diffidenza antica, di cui si trova traccia fin dagli autori dall’età classica, ma che probabilmente è andata crescendo, negli ultimi tempi, a causa della rapidità con cui alcune parole ed espressioni ripetute solo per moda (spesso in maniera impropria e in modo irriflesso) invadono l’italiano, contribuendo all’incremento della cosiddetta “lingua di plastica” (Ornella Castellani Pollidori, La lingua di plastica. Vezzi e malvezzi dell’italiano, Napoli, Morano 1995). In buona parte dei casi, tuttavia, il timore è alimentato soprattutto dalle parole nuove che entrano attraverso altre lingue, come confermano le critiche già ricordate contro il gran numero di francesismi regolarmente penetrati nella nostra lingua almeno fino ai primi del Novecento. La comune origine di italiano e francese, d’altro canto, ha reso possibile il pieno amalgama di tanti prestiti giunti dalla Francia, che da tempo non sono più percepiti come elementi estranei; lo stesso, però, non può accadere con gli anglismi, che suscitano, anche per questo motivo, le reazioni più accese. Si dovrebbe in realtà distinguere tra le mode che si diffondono supinamente tra i parlanti e che spesso non hanno vita duratura, e le situazioni che, al contrario, possono realmente mettere a rischio alcuni settori della lingua, soprattutto quelli tecnico-scientifici. Non è su questi aspetti, tuttavia, che vogliamo, per il momento, soffermarci, bensì su ciò che decide della nascita e della permanenza dei neologismi.

Non sono poche le parole nuove che, pur godendo di un rapido e improvviso successo, dopo poco scompaiono nel nulla; quand’è, dunque, che possiamo dirle a tutti gli effetti parole del nostro lessico? Molti ritengono che proprio l’Accademia della Crusca abbia l’autorità di scegliere quali parole possano essere accolte nei dizionari, ma, come ogni linguista sa, è solo l’uso che la comunità linguistica mostrerà di farne per un significativo lasso di tempo che sancisce l’immissione di una parola o di un’espressione nella lingua. Che cosa invece può fare l’Accademia della Crusca? Può sicuramente esprimere il proprio parere sulla correttezza o meno di una neoformazione, sulla sua rispondenza, cioè, alle regole che governano la formazione delle parole in italiano e che qui non è possibile riassumere brevemente. Diciamo solo, per fare un rapido esempio, che nella gran parte dei casi le parole nuove si ottengono in italiano modificando parole già esistenti, soprattutto con l’aggiunta di prefissi o suffissi (in-capiente, sovran-ismo o, con l’aggiunta simultanea di prefisso e desinenza, im-piatt-are ecc.). Alcuni suffissi, in particolare, si specializzano nella formazione di sostantivi (berluscon-ismo, ecolog-ista ecc.) e aggettivi (veltroni-ano, argill-oso ecc.) o anche nella derivazione da un solo tipo di base: il suffisso -oso, per esempio, può formare aggettivi solo partendo da un nome e mai da un verbo o da un altro aggettivo (sono impossibili, quindi, formazioni come *dormoso o *faciloso). È ciò che è avvenuto qualche anno fa con petaloso; quando il servizio di consulenza dell’Accademia,  interpellato sulla possibilità di adottare questa parola, rispose che l’aggettivo era ben costruito, in quanto rispondeva alle regole di formazione delle parole dell’italiano, ma che ciò non bastava a farla ammettere nel nostro vocabolario. Nonostante ciò, i giornali, sintetizzando in modo un po’ sommario la risposta e inserendo titoli ambigui, finalizzati a catturare l’attenzione, hanno avvalorato convinzioni inesatte, che, come ha sottolineato l’accademico Marco Biffi in un articolo del 2021, sono alimentati ciclicamente dai titoli ad effetto. Ancora qualche settimana fa (il 23 agosto 2024) è andata in onda, su Canale 5, la replica di un gioco a quiz (già trasmesso tra il 2018 e il 2019), durante la quale si sosteneva che l’aggettivo cioccolatoso non era stato ammesso dalla Crusca e ci si interrogava sul motivo di questa esclusione, visto che petaloso era stato invece autorizzato. Nonostante le tante spiegazioni fornite dall’Accademia su permanenza o meno dei neologismi, nessuno ha pensato di correggere la svista della vecchia trasmissione né di verificare la correttezza delle informazioni fornite al concorrente. È molto probabile, infatti, che il presunto rifiuto di cioccolatoso sia stato dedotto dalla sua assenza nella sezione del sito della Crusca destinata ai neologismi, assenza più che legittima, dato che cioccolatoso è registrato da tempo nei dizionari Zingarelli e Devoto-Oli, che danno come data di prima attestazione il 1923. Quanto a petaloso, l’unico dizionario che lo ha voluto registrare è il Sabatini-Coletti nell’ultima edizione (2024), proprio perché di quest’aggettivo (datato 1991, prima dunque della sua “esplosione mediatica”) si continua tuttora a parlare. 

L’equivoco permane a causa di un vuoto di conoscenza sul funzionamento delle lingue che la Crusca cerca stabilmente di colmare. Ciò che l’Accademia deve fare, infatti, è studiare i neologismi, la loro provenienza, le variazioni nei meccanismi di formazione, la loro capacità di acclimatarsi o le cause della loro vita effimera. Un modo diverso di studiare le neoformazioni è nato soprattutto agli inizi del Novecento con il Dizionario moderno redatto dallo scrittore, critico e giornalista Alfredo Panzini, il cui lavoro ebbe a partire dal 1905 sette edizioni, oltre a un’ottava che, curata da Bruno Migliorini e Alfredo Schiaffini, fu pubblicata nel 1942 dopo la sua morte. Da allora gli studiosi di linguistica italiana hanno fatto molti passi avanti nella ricerca sui neologismi, come testimoniano, in particolare, gli importanti lavori di Valeria Della Valle e del compianto Giovanni Adamo, che nel 1998 hanno anche costituito l’ONLI (Osservatorio neologico della lingua italiana).  L’Accademia della Crusca offre, nella sezione “Parole nuove” del suo sito, lo studio e la descrizione di parole selezionate sulla base di un esame dei mezzi di comunicazione, con l’obiettivo di "fornire uno strumento di informazione completa e corretta" su parole che si possono ascoltare o leggere ma che non sempre hanno trovato (e forse non troveranno) una trattazione adeguata negli strumenti lessicografici.

Studiare in modo rigoroso e scientifico l’avvicendarsi delle parole può darci informazioni preziose sui cambiamenti storici e sociali di un paese o sui motivi culturali che determinano accoglienze ed esclusioni. La divulgazione sensazionalistica, al contrario, rischia sempre di diffondere errori o alimentare luoghi comuni, bloccando ogni possibile crescita della conoscenza.

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