Consulenza linguistica | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Guadambiare e sparambiare: da dove arrivano?Pietro TrifonePUBBLICATO IL 12 luglio 2024
Quesito: Alcuni lettori chiedono chiarimenti sul verbo guadambiare: si tratta di “un termine arcaico, caduto in disuso o semplicemente di un regionalismo”? E anche: è riconducibile solo al romanesco? Analoghe domande riguardano il verbo (ri)sparambiare. Guadambiare e sparambiare: da dove arrivano?Il DEI Dizionario Etimologico Italiano di Carlo Battisti e Giovanni Alessio, uno strumento che nel panorama della lessicografia italiana si segnala per la non comune apertura al lessico regionale, lemmatizza il vocabolo guadambiare e quello strutturalmente affine sparambiare con queste asciutte ma comunque utili indicazioni: guadambiare tr., intr., ant., XIX sec.; ‘guadagnare’ idiotismo di area laziale, umbra e marchigiana; forse per reazione iperurbana; sparambiare tr. v. lucch., pis., e roman.; ‘sparagnare’; risparmiare; cfr. guadambiare per ‘guadagnare’. Qui preciseremo l’origine dell’ipercorrettismo e perché il suo sviluppo possa anche qualificarsi come il sintomo di una “reazione iperurbana”; forniremo inoltre precisazioni sull’area di diffusione e sulla cronologia di queste forme ipercorrette. Nei Sonetti del sommo poeta romanesco, Giuseppe Gioachino Belli, si registrano sia le forme cammia ‘cambia’, cammià ‘cambiare’, cammio ‘cambio’, di gran lunga maggioritarie, sia le più rare e italianeggianti cambia, cambià, cambio, che denotano la ricerca di elevazione sociolinguistica compiuta o tentata da alcuni personaggi. Nel sonetto Er parlà ciovile de più Belli fa il verso agli ipercorrettismi del romanesco “civile”, dove l’italiano e il dialetto si mescolano e si confondono, generando involontari svarioni, tra cui anche guadambio ‘guadagno’, che è messo in rima appunto con cambio. Il rapporto di analogia tra queste forme viene espresso dal poeta attraverso il seguente parallelo supposto dai parlanti: “se non si dice… cammio ma cambio… non si dirà… guadammio ma guadambio”; al quale si aggiunge l’annotazione “Il popolo dice guadagno e guadammio, sparammio e sparambio, risparammio e risparambio”. In realtà, nonostante le apparenze, questa spiegazione è incompleta, perché priva di un riferimento storico-linguistico significativo, che forse Belli ignorava: i testi del romanesco di I fase, cioè il dialetto precedente alla toscanizzazione rinascimentale, mostrano che nell’uso antico della città la forma normale del verbo cambiare era la diffusa variante meridionale cagnare, con assimilazione e successiva palatalizzazione mbj > mmj > /ɲɲ/. Il passaggio a cambiare e cammiare del verbo cagnare ha determinato un contraccolpo ipercorrettivo sul regolare esito toscano del germanismo guadagnare, e anche sul popolare sparagnare per ‘risparmiare’, ritenuti troppo simili al marcato dialettismo cagnare per ‘cambiare’ e quindi sostituiti da guadambiare e sparambiare. Si può parlare in questi casi di “iperurbanismi” perché le forme interessate non derivano direttamente dal dialetto, ma risentono al contrario di un desiderio esagerato di tenersene lontani, una tendenza che nel passato era particolarmente diffusa a Milano, a Roma, a Napoli e in altre città italiane, caratterizzando il cosiddetto parlar finito o civile della popolazione semiacculturata. Quanto alla cronologia di guadambiare e guadambio, da Google libri ricavo le loro prime attestazioni in testi teatrali del Seicento di autori marchigiani: guadambio nelle Due sorelle rivali di Eusebio Luchetti (Venezia, presso gli heredi d’Altobello Salicato, 1609); guadambiare negli Amanti seguiti di Ariodante Bettei (Macerata, appresso Agostino Grisei, 1646). Allo stesso periodo risalgono i più antichi esempi di sparambiare e sparambio, rispettivamente nella favola pastorale La Fiammetta d’Ibernia, scritta a Fondi da Attilio Balladori e pubblicata a Napoli da Egidio Longo nel 1626, e in un’opera di “arte militare”, la Difesa et offesa delle piazze di Pietro Paolo Floriani da Macerata (Venezia, per Francesco Baba, 1654). Stigmatizzate da vari lessici puristici dell’Ottocento, le forme citate risultano presenti in un’area più ampia di quella indicata nel dizionario etimologico di Battisti-Alessio: guadambiare e guadambio si trovano anche in Abruzzo, nel Molise e in Campania, con diramazioni più meridionali; (ri)sparambiare e (ri)sparambio si estendono nelle stesse aree, oltre che in Toscana e a Roma. All’interno della voce risparmiare il Dizionario della lingua italiana di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini (Tommaseo-Bellini 1861-1874) afferma, riduttivamente, che sparambiare è una forma romagnola; poi, alla voce sparagnare, osserva: “Vive in qualche dialetto; e dicono anche sparambiare”. Nel secondo Ottocento Michele Siniscalchi registra tuttavia il verbo sparambiare in una sua “raccolta di voci errate” pugliesi, spesso condivise con Napoli, dal titolo Idiotismi: voci e construtti di uso più comune nella provincia di Foggia (Cerignola, Stab. Tip. Brugnoli, 1887). Una spinta alla diffusione di questi regionalismi, soprattutto in età postunitaria, è venuta anche da Roma, dove perdura fino a oggi l’uso di guadambiare, guadambio, sparambiare, sparambio, come rileva il recente Vocabolario del romanesco contemporaneo di Paolo D’Achille e Claudio Giovanardi (con la collaborazione di Kevin De Vecchis, Roma, Newton Compton, 2023); mentre la variante risparambio è definita invece “non comune” nell’aggiornato e accurato repertorio del lessico dialettale capitolino.
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