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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Vedavamo, chiedavamo, leggiavamo: che italiano è?

Anna M. Thornton

PUBBLICATO IL 12 aprile 2024

Quesito:

Diverse lettrici e un lettore chiedono se forme di imperfetto indicativo come vedavamo, chiedavamo, leggiavate siano accettabili. C’è chi ipotizza che si tratti di arcaismi, e chi ritiene che si tratti di forme proprie di varietà settentrionali di italiano (le domande provengono tutte tranne una da persone residenti nell’Italia settentrionale o nel Canton Ticino).

Vedavamo, chiedavamo, leggiavamo: che italiano è?

Le ipotesi formulate da chi ha posto il quesito sono in larga misura corrette. Forme di prima e seconda persona plurale dell’imperfetto indicativo di verbi della seconda coniugazione nelle quali la vocale tematica e del verbo è sostituita da a, come vedavamo, corravamo, leggiavamo, vedavate, leggiavate sono attestate in testi di italiano antico, a volte anche in autori ben noti, come Dante (“Noi leggiavamo un giorno per diletto /di Lancialotto come amor lo strinse”, Inferno V, 127-128) e Boccaccio (Calandrino che crede di aver trovato l’elitropia che lo ha reso invisibile dice a Bruno e Buffalmacco “veggendo che voi [...] non mi vedavate”).

Tuttavia anche nei testi del XIII e del XIV secolo queste forme non sono le uniche in uso. Nel corpus dell’OVI abbiamo, per esempio, 5 occorrenze di vedavamo e 16 di vedevamo, 3 di corravamo e nessuna di correvamo, ma 2 di correvate e nessuna di corravate.

Pietro Bembo, nelle sue Prose (libro 3, 30), osserva:

Resterebbe, nelle pendenti voci, a dirsi della seconda del numero del più [cioè la seconda persona plurale], che è questa, Amavate Valevate Leggevate Udivate; ma ella altra mutazione non fa se non questa, che la vocale, la quale innanzi alla penultima si sta, si mutava dagli antichi, di quella che ella dee essere, nella A, Vedavate Leggiavate Venavate, quasi per lo continuo; come che essi alle volte ciò facevano ancora nella prima voce di questo numero, Leggiavamo Venavamo e similmente dicendo.

Bembo dunque riconosce l’uso antico di forme di prima e seconda persona plurale di imperfetto nelle quali le vocali tematiche e e i dei verbi della seconda e della terza coniugazione sono sostituite da a, ma considera corrette le forme nelle quali la vocale tematica non cambia, ma resta “quella che ella dee essere”.

La sostituzione delle vocali tematiche di coniugazioni diverse dalla prima con la a può spiegarsi per effetto di diversi fattori, che operano spesso in concorso e non in alternativa tra loro.

La prima ipotesi è quella di un’assimilazione a distanza regressiva, dalla /a/ tonica delle desinenze ‑vámo, ‑váte alla vocale tematica predesinenziale. Questa ipotesi è sostenuta da Rohlfs:

Le forme avavámo, credaváte, dovaváte, solavámo (Decam.) del toscano antico debbono il loro irregolare a a un’assimilazione (Rohlfs 1968, § 550, n. 2)

Altra possibilità è che le forme nascano per analogia con i verbi della prima coniugazione, molto più numerosi di quelli delle altre (soprattutto di quelli della seconda). Questa è la spiegazione proposta per esempio da Federica Guerini (L’italiano popolare, in Le varietà dell’italiano contemporaneo, a cura di Silvia Ballarè, Ilaria Fiorentini ed Emanuele Miola, Roma, Carocci, 2024, pp. 67-80) per le forme che appaiono in “noi li combattavamo, non accendavamo nemmeno il fuoco” (p. 75), enunciati prodotti da parlanti di italiano popolare di area lombarda.

Guerini aggiunge però che per spiegare l’origine di queste forme

[n]on si può escludere l’azione dell’interferenza esercitata dal sostrato dialettale, che tende a tradursi nella creazione di forme ipercorrette, costruite nell’intento di allontanarsi il più possibile dalla corrispondente forma in dialetto. (p. 76)

Questo fenomeno di ipercorrettismo sarebbe dovuto al fatto che i parlanti seguono un principio formulato da Gaetano Berruto (in L’italiano popolare e la semplificazione linguistica, “Vox Romanica”, 42 [1983], pp. 38-79, ripubblicato in Id., Saggi di sociolinguistica e linguistica, a cura di Giuliano Bernini et al., Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012, pp. 141-181, da cui si cita) nei termini seguenti: “ricostruisci in italiano la forma più distante da quella dialettale”.

Come si è detto, tutti i fattori individuati possono concorrere a spiegare l’uso di forme come vedavamo, leggiavate, ecc. Tuttavia, si tratta di forme oggi estranee all’italiano standard, confinate in testi antichi o in testi di italiano popolare (come altre forme di cui abbiamo trattato qui e qui).

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