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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Si possono avere molti, pochi o molto pochi dubbi di grammatica, ma non molti pochi!

Ilaria Bonomi

PUBBLICATO IL 22 marzo 2024

Quesito:

Sono molti i lettori che rivolgono al nostro servizio di consulenza domande sull’impiego della sequenza molto poco: è lecito usarla visto che appare “contraddittoria”? Non sarebbe più opportuno usare pochissimo? È corretto accordare entrambi i membri della sequenza con genere e numero del sostantivo che li segue?

Si possono avere molti, pochi o molto pochi dubbi di grammatica, ma non molti pochi!

È più diffusa di quanto si possa pensare, e i numerosi quesiti rivolti in proposito all’Accademia della Crusca lo dimostrano chiaramente, l’incertezza nell’uso di molto poco davanti a un sostantivo o a un aggettivo. La grammatica parla chiaro: nella sequenza molto poco davanti a un sostantivo, molto è avverbio, quindi invariabile, poco è aggettivo, variabile a seconda della necessaria concordanza con il sostantivo a cui si riferisce. Così diremo e scriveremo: “per questo lavoro ho avuto molto poco tempo”, “tuo fratello nella vita ha avuto molto poca fortuna”, “Giovanni ha guadagnato molto pochi soldi”. Davanti a un aggettivo, sia molto sia poco hanno funzione avverbiale, quindi restano invariati: “è una persona molto poco simpatica”, “i suoi genitori sono molto poco attenti alla sua educazione”. Il primo, molto, esercita la sua funzione avverbiale su poco (molto → poco), il secondo la esercita sull’aggettivo che segue (poco → simpatica, poco → attenti). È decisamente errato declinare molto e poco in frasi come “ha molti pochi soldi”, “ha sempre molta poca fame”, anche se questi costrutti hanno una certa diffusione nel parlato poco sorvegliato: lo dimostrano due esempi reali come “ci sono molte poche nuvole in cielo”, “di rondini se n’erano viste molte poche”, citati e documentati nel trasmesso giornalistico televisivo da due lettori.

Se non si devono avere dubbi, quindi, di ordine grammaticale, anche la semantica non deve trarre in inganno: l’avverbio molto può benissimo essere premesso a poco sia avverbio (“hai mangiato molto poco”) sia aggettivo (“ho molto poca fame”) anche se le due parole hanno significato opposto (elemento rilevato come ragione contraria al loro avvicinamento da qualche lettore), dato che l’avvicinamento dei contrari è una prassi normalissima nella lingua, senza che si arrivi di necessità alla figura dell’ossimoro, che, specie in testi letterari, realizza un contrasto voluto e retorico abbinando due parole semanticamente antitetiche: disperate speranze, convergenze parallele.

Ma, osserva qualcuno, non è meglio dire pochissimo invece di molto poco? Certo, il significato è praticamente lo stesso, ma nel preferire l’una o l’altra espressione possono intervenire ragioni di stile e di sfumature: il superlativo assoluto è, possiamo dire, il livello massimo della gradazione semantica, mentre molto poco è più di poco, ma forse non il massimo del poco (mi si perdoni il gioco di parole). E, quanto a ragioni di stile, leggendo due esempi di prosa leopardiana, in cui il superlativo stonerebbe, ci pare, ci rendiamo conto della non completa intercambiabilità tra molto poco e pochissimo:

e però io aveva già prima d’ora ma con molta incertezza osservato che le facce languide e verginali e del tutto delicate, capelli o biondi o chiari, statura bassa, maniere smorte, e così discorrendo, mi faceano molto poca forza, e forse forse qualche volta niuna, quando queste qualità davano in eccesso, e per avventura in altri facevano più gran presa. (Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in Poesie a Prose, a cura di Sirio Attilio Nulli, Hoepli, Milano, 1997, p. 598)

Se una volta in processo di tempo l’invenzione p. e. dei parafulmini (che ora bisogna convenire esser di molto poca utilità), piglierà più consistenza ed estensione, diverrà di uso più sicuro, più considerabile e più generale. (Giacomo Leopardi, Zibaldone, Firenze, F. Le Monnier, 1922, p. 247)

Osserviamo poi che troppo poco, com’è ovvio, dato il significato di troppo, indica un eccesso, qualcosa che porta delle conseguenze non volute: “hai mangiato troppo poco”, implica un giudizio negativo dell’azione, diversamente da “hai mangiato molto poco”, che si limita a una constatazione.

Provando a interrogarci sulle ragioni per cui, nonostante queste chiare indicazioni di ordine logico-grammaticale e semantico, il tipo molta poca carne, molti pochi soldi ha una presenza, pur marginale (forse in espansione: ma è arduo documentarlo con sicurezza), nell’italiano, andrà probabilmente chiamato in causa un costrutto ‘parente’ ma diverso proprio per la concordanza. Davanti a più e meno + sostantivo, molto si può declinare, concordato con il sostantivo: “mangia molta meno carne di prima”, “guadagna molti più soldi di lei”; ma sono comuni anche i costrutti senza concordanza, specie al singolare “mangia molto meno carne di prima”, “ho molto più fame al mattino che alla sera”.  In questi casi, però, meno e più sono aggettivi invariabili, con il valore rispettivamente di ‘minore, in minor numero’ e ‘maggiore, in maggior numero’. Sembra dunque di poter dire che molto davanti a un avverbio resta invariato (molto poco simpatico), davanti a un aggettivo variabile resta invariato (molto poca fame), davanti a un aggettivo invariabile può concordare (“essendoci molta più roba che gente”, Manzoni) o restare invariato (“ci sono molto meno disoccupati in Emilia che in Calabria”). Ma alla regola grammaticale, come al solito, si affianca, spesso contraddicendola, l’uso nelle sue mille sfaccettature, di registro e stile, e di significato. Difficile spiegare con la grammatica la differenza nell’uso mostrata da una semplice ricerca su Google: se la stringa molta meno fame è di poco prevalente (e più recente) rispetto a molto meno fame, la stringa molta più carne è di molto prevalente su molto più carne, decisamente rara. Eppure sono gemelle dal punto di vista sintattico.

E, per complicare ancor più le cose, chiudiamo con questa frase, ideale per saggiare la competenza grammaticale di uno scolaro: “i molti meno ricchi di te sono molto più ricchi di me”. Può sembrare quasi uno scioglilingua, invece è una frase esemplare in cui la concordanza e la sua mancanza sono ben motivate dalla funzione grammaticale e dal significato.


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