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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Caspo, cespo o cesto di insalata?

Marzia Caria

PUBBLICATO IL 26 gennaio 2024

Quesito:

Alcuni lettori chiedono se la forma caspo può essere utilizzata in riferimento a insalata, o anche a banane, in luogo di cesto o cespo.

Caspo, cespo o cesto di insalata?

I quesiti dei lettori sull’uso di caspo per cespo o cesto nell’ambito del lessico alimentare, con particolare riferimento a lattuga e insalata, sono del tutto legittimi poiché si tratta sostanzialmente di tre sinonimi che servono a indicare, in questo caso specifico, l’insieme delle foglie che nascono dalla stessa radice di una pianta. Sono quindi tre parole collegate tra loro sul piano del significato, ma distanti l’una dall’altra per fortuna lessicografica, diffusione e frequenza d’uso nell’italiano odierno e, secondo alcuni dizionari, anche per etimologia.

Partiamo da cespo, forma presente nella lingua italiana fin dal XIII secolo, come segnala il TLIO, con il significato di ‘insieme di foglie e erbe nate da un’unica radice’, la cui prima attestazione sembra risalire a un testo in versi di area lombarda, di autore anonimo, Disputatio roxe et viole, 328, p. 112: “Roxa mata e iniga, per que te vo’ tu gabà / de loxo e de bontà che in ti no se pò trovà? / no se’ tu che eo vallio in flore, in folie e in cepli / per medexine, ch’eyo utelle de resanà l’infirmi?” (cfr. TLIO s.v. cespo), in cui il sostantivo cepli sta per “radici, cespi” (la l è dovuta probabilmente a falsa analogia, cfr. il dizionario milanese di Francesco Cherubini [1839-1856], s.v. scèpp ‘cesto’, ovvero ‘pianta di frutice e d’erba, e propriamente dicesi di quelle piante che sopra una radice moltiplicano molti figliuoli in un mucchio’).
A questa attestazione segue, ancora nel TLIO, quella del Trecento, tratta dal Canzoniere di Francesco Petrarca, 160-11: “Qual miracolo è quel, quando tra l’erba / quasi un fior siede, o ver quand’ella preme / col suo candido seno un verde cespo!”, riportata come prima attestazione dal GDLI, s.v. cespo per ‘insieme di rametti, steli, foglie, fiori (a forma di ciuffo o viluppo più o meno espanso), cresciuto dalla stessa radice’. È sempre il TLIO a ricordare come la voce fosse usata anticamente anche al femminile, forse in riferimento all’uva, per indicare ‘l’insieme dei chicchi che formano un grappolo’; se ne ha un’attestazione nella Cronaca volgare isidoriana, un testo tre-quattrocentesco di area abruzzese (su cfr. l’edizione a cura di Paolo D’Achille, L’Aquila, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, 1982), p. 173.18:

Et ciascuna de le colompne haveva d’oro fino li soi capitelli, nele quale erano sculpite vigne con viti piantate, le quale spandevano d’entorno auree frondi, fra le quale pendevano cespe de uva mirabili, le cui racemi erano tucti de fine cristallo.

Dal punto di vista della distribuzione geolinguistica, possiamo quindi concludere, sulla base della documentazione offerta dal TLIO, che la forma avesse anticamente una diffusione piuttosto ampia.

La voce cespo è registrata anche nel Vocabolario della Crusca, fin dalla prima impressione del 1612, con l’accezione di ‘mucchio d’erbe, o di virgulti’, affiancata dalla citazione petrarchesca (dove però si legge piede anziché seno: “O ver quando ella preme, col suo candido piede un verde cespo”, poi modificato in seno nella IV e V impressione).
All’attestazione tratta dal Canzoniere segue nel Vocabolario quella di Giovanni Boccaccio, tratta dall’Elegia di madonna Fiammetta, lib. 4. 148: “Quanto è grazioso, ec. sopra i nudi cespi menare i lievi sonni”.
La voce viene identicamente ripetuta nella seconda, terza e quarta impressione (edite rispettivamente nel 1623, 1691 e 1729-1738); mentre nella V edizione (1863-1923) la definizione si amplia e si fa più precisa: ‘erbe o virgulti pullulati dalla stessa radice, ovvero uniti insieme per modo da formare un tutto’.

Più o meno con lo stesso significato fornito dai vocabolari storici, la voce è registrata nei più autorevoli dizionari dell’uso della lingua italiana, come il Nuovo De Mauro (che marca la voce come “comune”), Vocabolario Treccani, Garzanti, Sabatini-Coletti, Hoepli, che allegano quasi sempre come esempi d’uso, per l’appunto, le espressioni cespo di lattuga o cespo di insalata. La maggior parte di questi dizionari definisce il cespo come una sorta di “ciuffo” di foglie, fiori o rami, che nascono dalla stessa radice o dalla base del fusto principale di una pianta (Nuovo De Mauro, Treccani, Garzanti), mentre il dizionario Hoepli glossa la parola con “cespuglio” (‘gruppo di steli, di rami, di fiori nascenti dalla base di un fusto, che formano un piccolo cespuglio’). Sabatini-Coletti definisce cespo ‘complesso di steli, rami, foglie spuntati dalla stessa radice in una pianta priva di fusto’, aggiungendo, prima dell’esemplificazione cespo di lattuga, il sinonimo cesto.

Rimanendo ancora su cespo, uno sguardo ai dizionari etimologici (cfr. DELI e l’Etimologico) ci consente di ricostruire l’etimologia della parola: cespo (con la é chiusa) deriva dal latino parlato *cēspu(m) ‘zolla erbosa’, per il classico cāespite(m), accusativo di caespes, -ĭtis ‘zolla erbosa, ceppo’ (voce probabilmente di origine preindeuropea), da cui l’italiano ha ereditato per via dotta anche il sostantivo cespite (questa volta con la è aperta).

In effetti, per cespite, forma usata oggi come tecnicismo del linguaggio finanziario per ‘fonte di reddito, guadagno’ (Nuovo De Mauro), GDLI indica come prima accezione proprio quella di ‘cespo (di foglie, di fiori)’. Sempre nel GDLI cespite per cespo viene marcata come forma letteraria con esempi da Boccaccio, a Manzoni (“come rugiada al cespite / dell’erba inaridita, / fresca negli arsi calami / fa rifluir la vita”, Adelchi, La morte di Ermengarda, Coro dell’atto IV), fino a Carducci e D’Annunzio.

Da cespo, a sua volta, come ci ricorda ancora il DELI, hanno avuto origine in italiano, tramite suffissazione, sia il sostantivo cespuglio ‘insieme intricato di pianticelle emesse da una sola radice’ (ovvero ‘insieme di cespi’: -ùglio è infatti un suffisso che ha prodotto pochi nomi con valore collettivo), sia l’aggettivo cespuglioso ‘pieno di cespugli’.
A queste forme derivate aggiungiamo inoltre, in ambito fraseologico, due locuzioni: far cespo ‘accestire’, termine tecnico-specialistico della botanica, usato in riferimento alle piante erbacee con il significato di ‘mettere rami secondari alla base del fusto, fare cespo’ (Nuovo De Mauro); a cespo ‘a forma di cespo’ (GDLI). Quest’ultima espressione ricorreva in passato pure nella locuzione iterativa a cespo a cespo, quando ci si riferiva ai capelli, che però già il Tommaseo-Bellini registrava con la crux anteposta a parole ed espressioni desuete, affiancandole la più comune a ciocca a ciocca (cfr. s.v. cespo), espressione avverbiale che nell’italiano odierno è usata più comunemente al plurale e di solito ridotta al suo primo elemento: a ciocche ‘a mazzetti: perdere i capelli a ciocche’ (Nuovo De Mauro, s.v. ciocca). Tutto torna, tra cespo e ciocca, se pensiamo che la prima definizione che il GDLI ci dà di ciocca è proprio quella di ‘mazzetto, gruppetto di fiori, di foglie, di frutti raccolti insieme sul medesimo stelo o ramoscello’ (s.v. ciocca1).

Il significato di ‘accestire’, citato poc’anzi in relazione all’espressione far cespo, ci permette di passare a cesto, l’altra forma sollevata nel secondo quesito dei lettori, sempre a proposito di insalata, lattuga ecc., segnalata dal Sabatini-Coletti come sinonimo di cespo (cui si è fatto già cenno). Anche il Nuovo De Mauro conferma questa sinonimia, s.v. cesto2, ma la marca con BU = basso uso. Per quanto riguarda i dizionari storici, il TLIO registra come equivalente sinonimico di cespo la prima entrata di cesto (cfr. s.v. cesto1 ‘lo stesso che cespo’), la cui prima attestazione risale a Dante, Inf., 13-142: “O anime, che giunte / siete a veder lo strazio disonesto / c’ha le mie fronde sì da me disgiunte, / raccoglietele al piè del tristo cesto”.
La citazione dantesca è anche nel GDLI, ma nella seconda accezione di cesto2, dove si legge che il sostantivo veniva usato anticamente per ‘cespo, cespuglio’, con ulteriori esempi letterari in Boccaccio, Dec., 4-7 (439): “Era in quella parte del giardino, dove Pasquino e la Simona andati se ne erano, un grandissimo e bel cesto di salvia”; fino a Pascoli, Primi poemetti, 18-20: “Menami un poco nella selva ai cesti: / ai cesti ch’ora a tutto ciò che cada, / aprono i lor fioretti color carne”. Mentre nella prima accezione di césto2, il GDLI registra il significato di ‘insieme fitto e addensato delle foglie che nascono da un fusto molto breve: in molte piante erbacee, come la lattuga, l’indivia, anche il grano’, molto simile dunque a quello già visto per cespo. Qui le attestazioni vanno dal Trecento, nel Libro o sia Trattato della cura di tutte le malattie, tradotto da ser Zucchero Bencivenni. Sullo spoglio degli antichi Accademici, fatto da un testo Redi, ora smarrito, nel quale troviamo cesto riferito proprio alla “lattuga”: “Disse Galieno in sua vecchiezza: Io mangiava ciascuna sera cesti di lattughe con buone spezie”; fino agli anni Venti del Novecento, nei Trucioli di Camillo Sbarbaro:

E qui il colloquio ebbe termine, perché il vecchio si ringinocchiò sulla zolla a togliere da un cesto pianticelle che rincalzava via via di terra con delicatezza materna. (Milano, Mondadori, 1948, p. 78)

Sulla sovrapponibilità di cesto e cespo è emblematico il caso della Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi (che si cita qui dall’edizione del 1911), testo nel quale, in almeno due punti, l’autore utilizza simultaneamente la coppia di sinonimi, mettendo cespo tra parentesi tonde subito dopo cesto, quasi a volerlo glossare:

37. – Zuppa di acetosa. Acetosa, grammi 200. Un cesto (cespo) di lattuga» (p. 63);
107. – Minestra di erbe passate. Prendete un mazzo di bietola, uno di spinaci, un cesto (cespo) di lattuga e uno spicchio di cavolo cappuccio. (p. 114)

L’equivalenza tra cespo e cesto è presente pure nella fraseologia: il TLIO e il GDLI riportano infatti, sotto cesto, la locuzione avverbiale far cesto, ma con significati diversi: per il TLIO, s.v. cesto1, significa ‘germogliare’; per il GDLI, s.v. cesto2, vuol dire ‘mettere le foglie riunite a cesto, accestire’ (in quest’ultimo caso, quindi, perfettamente corrispondente, come abbiamo visto, a far cespo ‘accestire’).

Quanto all’etimologia di cesto, i dizionari non sembrano essere d’accordo. Secondo il DELI (ma anche per il Nuovo De Mauro e Treccani), la forma deriva dal latino cĭsthu(m) ‘cisto, rosa canina’, dal gr. kísthos, di origine preindeuropea; mentre per l’Etimologico (ma anche per il GDLI, e già per il Vocabolario della Crusca, in cui la voce è presente in tutte e cinque le edizioni), l’etimologia dovrebbe essere la stessa di cespo (dal latino cespĭte), di cui cesto è variante per riduzione del nesso secondario -spt- a -st- e non a -sp-.

A questo punto è però opportuno fare una precisazione, a proposito di cesto, per non confondere le idee ai lettori. Il sostantivo cesto a cui abbiamo finora fatto riferimento, cesto2 nei vocabolari (tranne che nel TLIO, dove è cesto1), non ha niente a che fare con cesto per ‘paniere di vimini o altro materiale, cesta’. Si tratta infatti di due termini omografi e omofoni (hanno entrambi la e chiusa), cui corrispondono due lemmi distinti nei dizionari e due diverse etimologie. Diversamente da cesto2, di cui abbiamo già visto l’origine, cesto1 per ‘paniere, cesta’ (cistum nel lat. medievale, da cui l’italiano cesto a partire dal Quattrocento), muove direttamente da cesta, parola a sua volta discesa dal latino cĭsta(m) ‘cesta, urna’, dal gr. kístē ‘cesta, paniere’, di origine preindeuropea (cfr. l’Etimologico e DELI, s.v. cesta). Al significato di ‘cesta’ rinvia la voce cesto2 del TLIO, che aggiunge anche un’altra antica accezione, quella di ‘paniere a forma di imbuto usato per pescare’, registrata anche dal GDLI, ma s.v. cesta.

E ora veniamo a caspo: la forma è assente nei vocabolari dell’uso, dove troviamo, invece, la variante femminile caspa, parola di etimologia incerta, usata in passato (Nuovo De Mauro la registra infatti con la marca d’uso OB = obsoleto) come sinonimo di ‘ceppaia’, ovvero il ‘ceppo d’albero tagliato a fior di terra, da cui spuntano due o più polloni’ (Nuovo De Mauro). Un significato quindi non troppo lontano da quello visto sia per cespo sia per cesto, perché in tutti e tre i casi abbiamo a che fare con più elementi che in natura si originano dalla medesima “radice” di una pianta.

Ancora più forte ed esplicita è la relazione tra caspo e cespo, se diamo uno sguardo ai dizionari storici. Per esempio, il GDLI, che lemmatizza caspa (ma riporta tra parentesi anche caspo), associa al sostantivo – marcato come “raro” – proprio il significato di ‘cespo (d’una pianta erbacea)’, accanto a quello di ‘ceppaia’; del sostantivo il GDLI non fornisce alcun esempio, limitandosi a citare la definizione del Dizionario di Tommaseo: “La ‘caspa’ è quando i rami partono da fior di terra, e vengono su divisi”. Non abbiamo dal GDLI neppure informazioni sull’etimologia del termine (si parla infatti “di etimo sconosciuto”), e si rinvia anche in questo caso a una fonte lessicografica esterna, e cioè al Vocabolario etimologico italiano di Angelico Prati (Milano, Garzanti, 1951, p. 243): “È una parola che ritorna in vari dialetti d’Italia con significati diversi: pad[ovano] caspo ‘cesto, garzuolo’, sicil. caspa ‘frasca d’olivo potato’, corso caspa ‘pina’ e altri”. All’area settentrionale rimanda anche il TLIO, dove per caspo (ritorniamo al maschile), di “etimo incerto” e dalla definizione dubbia di “Lo stesso che cespo (?)”, si riporta un’unica attestazione tratta dal Tesoro de’ rustici – un poemetto di didattica agricola, in endecasillabi a rime baciate – di Paganino Bonafé, rimatore bolognese del Trecento:

Sichè semina adoncha primadiço / Prima che vegna el fredo e ’l striço / Che ’l primadiço fa caspo e radiçe, / Ed è vero quelo che ‘l proverbio diçe: / Loda el serodan e tienti al primadiço, / E sapi mo’ far questa gropo alliço.

In effetti la voce caspo (da non confondere con l’omonimo caspo (o caspio), aggettivo antico o letterario usato con il significato di ‘relativo al mar Caspio’: “Non da l’ispano Hibero a l’indo Ydaspe / ricercando del mar ogni pendice, / né dal lito vermiglio a l’onde caspe, / né ’n ciel, né ’n terra, è più d’una fenice”, scriveva Petrarca, Canzoniere, 210), intesa con il significato di ‘cesto, mazzo’, si rintraccia anche in numerosi dialetti italiani. Se ne parla in particolare in uno studio di Renato Agostino Stampa, Contributo al lessico preromanzo dei dialetti lombardo-alpini e romanci (Zürich-Leipzig, Niehans, 1937), in cui si registra la voce caspo

nei dialetti della pianura padana fino nelle Marche: monferr. casp ‘cespo o palla del cavolo o dell’insalata’, poles. caspo ‘cesto di lattuga, grumolo’, incaspare ‘accestire, tallire’, ferrar. casp ‘mazzocchio, cesta’, caspar ‘accestire’ […], bol. casp ‘cesto’, acaspar ‘accestire’, Arcevia caspo ‘cesto d’insalata’ e forse cors. caspa ‘pigna’. (p. 187 nota 3)

La diffusione di caspo per ‘cesto, mazzo’ nei dialetti dell’Italia settentrionale viene confermata da alcuni repertori lessicografici sette-ottocenteschi. Così, per es., per l’area emiliana, nei Vocaboli del nostro dialetto modanese: con appendici reggiana e ottocentesche modenesi di Lodovico Antonio Muratori, Pietro Ercole Gherardi et al. (a cura di Fabio Marri, Firenze, Olschki, 1984), dove è a lemma caspo d’insalata (ma anche di noci); per il Veneto, nel Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio (Venezia, Santini, 1829), dove leggiamo, s.v. caspo, la definizione di “cesto, pianta come cavoli, lattughe e simili a’ quali sono congiunti molti figliuoli”, seguita dall’esempio Salata de bel caspo ‘insalata cestuta’ e dal modo di dire far caspo ‘accestire, far cesto’; per la zona del Piemonte, nel Glossario monferrino di Giuseppe Ferraro (Torino, Loescher, 1889, 2a ed.), in cui si registra casp ‘il cespo o la palla del cavolo e dell’insalata’, ricordando che a Ferrara gli corrisponde caspo.

Proprio in relazione al ferrarese caspo è possibile allegare un’altra fonte ottocentesca: il testo di un canto popolare intitolato Le nozze della formica, che inizia così:

La furmighina la si marida / Sott’al caspo de l’urtiga, / La furmighina s’è maridada / Sott’al caspo de l’insalata […]. (Canti popolari di Ferrara, Cento e Pontelagoscuro raccolti per cura del prof. Giuseppe Ferraro, Ferrara, Domenico Taddei e Figli, 1877, p. 26)

Alla zona piacentina rinvia un’attestazione della locuzione a caspo presente nel periodico “L’Italia agricola: giornale di agricoltura”:

In semenzai comuni si semina la lattuga a caspo (LXI/2, 15 febbraio 1924, p. 191).

L’assenza dai vocabolari dell’uso di caspo per cespo o cesto (in riferimento alla lattuga o all’insalata) non significa però che la voce sia del tutto caduta in disuso. Chiunque faccia una semplice ricerca in Internet di caspo avrà modo di trovare una serie di esempi in cui questo sostantivo è impiegato quando si parla di insalata. Diverse attestazioni di caspo nella scrittura giornalistica, rintracciate esclusivamente nelle edizioni locali (di Bologna) del quotidiano “la Repubblica”:

Rubano e picchiano per un caspo d’insalata. […] Sono finiti dietro le sbarre per un caspo di insalata; (03/07/2005)

I punk che hanno rubato un caspo di insalata in un orto giorni fa e hanno picchiato i coltivatori, sono già liberi; (06/07/2005)

Cosa vorrebbe dire ai vegetariani preoccupati del clima? – Che le nostre bistecche inquinano meno del caspo di insalata di un vegano. (12/09/2021)

Ne troviamo inoltre impiego in alcuni siti di aziende agricole che vendono online i loro prodotti (da una ricerca a campione sembra si tratti di aziende che operano per lo più nell’Italia del nord (Veneto ed Emilia-Romagna in particolare), e in alcuni blog di siti specializzati in argomenti culinari, per esempio in quello di GialloZafferano dedicato alla ricetta “Insalata verde e fagiolini viola”, nel cui elenco di ingredienti si consiglia di utilizzare “1 caspo di lattuga”.

Pur in presenza di tali casi, tuttavia, l’uso di caspo sembrerebbe essere piuttosto limitato e diatopicamente marcato: gli esempi riportati, come abbiamo visto, appartengono soprattutto all’area settentrionale. Per trovare dati numerici sulla diffusione di caspo (rispetto a cespo e cesto) abbiamo provato a inserire in Google le stringhe “caspo/cespo/cesto di insalata” (comprese quelle con la preposizione elisa, “d’insalata”), pur sapendo di non poter considerare del tutto affidabili e rigorosi i dati ottenuti.

Ecco i risultati (pagine in italiano al 01/07/2023): cespo di insalata 17.500 (c. d’insalata 11.700); cesto di insalata 17.300 (c. d’insalata 1.230); caspo di insalata 1.220 (c. d’insalata 384). I risultati non sono molto diversi se al posto dell’insalata mettiamo la lattuga: cespo di lattuga 17.200; cesto di lattuga 7.710 (ma qui ci può essere la sovrapposizione con cesto ‘paniere’); caspo di lattuga: 680 risultati.

Circa poi la possibilità di estendere caspo all’ambito della frutta (per es. caspo di banane), come chiesto da un lettore, effettivamente qualche volta capita di trovare questa espressione sul web, ma si tratta di usi sporadici. Ad esempio, nel sito di informazione locale Ravennanotizie.it (siamo dunque di nuovo in Emilia-Romagna), nel testo dell’articolo La storia di Raffaello, uno dei 50 italiani bloccati in Bolivia, si legge che

In giro ci sono molti militari chiamati per far rispettare le misure di quarantena: qui non tutti infatti comprendono appieno la situazione di emergenza, soprattutto gli indigeni, molti dei quali vivono giorno per giorno per sopravvivere, cercando di affollarsi nei mercati per riuscire a vendere un caspo di banane. (Elisa Bertini, La storia di Raffaello, uno dei 50 italiani bloccati in Bolivia, ravennanotizie.it, 23/4/2020)

Si tratta forse di un’estensione indebita di caspo, poiché in casi come questo, per riferirsi cioè all’‘infruttescenza del banano’, si dovrebbe usare esclusivamente casco, come ci ricordano i vocabolari (Nuovo De Mauro).

Uscendo dal campo di cespo/cesto/caspo, per completare il quadro sinonimico delle forme usate per indicare l’insieme delle foglie della pianta di lattuga o di insalata spuntate dalla stessa radice, vanno ricordati alcuni altri sostantivi. Ci riferiamo in particolare a piede, inteso fin dal XIV secolo anche come ‘parte inferiore di una pianta erbacea; gambo, cespo’ (GDLI). Con specifico riferimento alla lattuga, secondo il GDLI, lo ha usato nel XVI secolo Mambrino Rosèo da Fabriano, nella traduzione dell’Agricoltura tratta da diversi antichi e moderni scrittori di Gabriello Alfonso d’Herrera (Venezia, Bonelli, 1577): “Se sieno i piedi di esse [lattughe] piantate troppo spesse, lievisene qualche piede per far che restino rare”.

Per fare esempi più recenti, troviamo un’attestazione di piede in un noto manuale di cucina, il Piccolo focolare. Ricette di cucina per la massaia economica di Jacopo Turco, pseudonimo di Giulia Lazzari Turco, (1908; si cita dalla 3a ed., Trento, Monanni, 1947, p. 182), dove cespo (di lattuga) viene glossato con piede, messo tra parentesi: “9. Acqua d’orzo. – Fate bollire un cespo (piede) di lattuga con due manate d’orzo naturale in due litri d’acqua finché i grani s’aprono”.

L’uso di piede per cespo è rimasto nell’italiano odierno; si veda in proposito la voce riportata dal Vocabolario Treccani, nella quale tra i vari significati di piede c’è proprio quello tecnico-specialistico della botanica: ‘piede di una pianta, la base del fusto aereo (e in generale la parte basale di un organo, più ristretta del resto)’, per esempio ‘il piede (o gambo) dei funghi’, cui si aggiunge l’annotazione che piede è “nell’uso comune, un piede di lattuga, un piede d’insalata, lo stesso che cespo”.

Oltre a piede, è possibile trovare mazzo (“mazzo di lattuga”, “mazzo di insalata”), sostantivo che più propriamente dovrebbe indicare una ‘quantità di fiori, erbe o spighe raccolti e legati insieme’ (Nuovo De Mauro): diciamo infatti comunemente “mazzo di prezzemolo, di basilico, di carote” ecc. In riferimento alla lattuga o all’insalata, l’impiego di mazzo si registra più spesso in ambito gastronomico; così, per es., nel portale Cucinare.meglio.it, leggiamo “Valore nutrizionale e apporto calorico di 1 mazzo di insalata lattuga”.

Per altro, mazzo come sinonimo di cesto è già nel Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (Firenze, Tipografia Cenniniana, 1875), s.v. mazzo, dove si ricorda che, quando “detto di erbaggi”, il sostantivo indica ‘più cesti o pianticelle legati insieme: un mazzo di lattuga, di sparagi, di cipolle, di ramolacci’. Ma abbiamo anche cespo per mazzo, per es. a proposito del prezzemolo: così nella Cuciniera universale, ossia L’arte di spendere poco e mangiar bene, secondo il metodo delle cucine triestina, milanese, veneziana, piemontese, tedesca, Tedesca, Francese, Inglese, Spagnuola, Turca, Chinese, Americana, ecc. ecc.: “Gratichiolitii di mare. […] Per servirli, disponeteli in corona attorno un bel cespo di prezzemolo, sopra un tondo guernito di salvietta” (Venezia-Trieste, Tip. di C. Coen, 1878, p. 207).

Per concludere, e per tornare ai quesiti iniziali, sulla scorta di tutte le considerazioni qui svolte, è possibile l’impiego sia di cespo sia di cesto quando riferiti a verdure (specie per la lattuga e per vari altri tipi di insalata), in quanto diffusi e registrati in tutti i principali repertori lessicografici dell’italiano; maggior cautela è invece auspicabile per caspo, in quanto variante marcata diacronicamente e diatopicamente. Si può dunque spaziare tra cespo, cesto, piede, mazzo (caspo, magari solo nel parlato): l’importante è che sia verdura fresca!


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