La Crusca rispose | OPEN ACCESS SOTTOPOSTO A PEER REVIEW Mangiarsi una pizza, fumarsi una sigaretta, ascoltarsi una canzone…Massimo BellinaPUBBLICATO IL 23 giugno 2016
Quesito: Sono arrivate in redazione varie domande che chiedono se sono corrette espressioni come “ora ci ascoltiamo una canzone” invece di “ora ascoltiamo una canzone”, “stasera mi cucino una bistecca” invece di “stasera cucino una bistecca” o “con la moto ti giri mezzo mondo” invece che “con la moto giri mezzo mondo”. Mangiarsi una pizza, fumarsi una sigaretta, ascoltarsi una canzone…In generale, l’uso di accompagnare a verbi transitivi pronomi personali atoni, non necessari ai fini della compiutezza sintattico-grammaticale dell’enunciato né del suo significato (mangiamoci una pizza, fatti una vacanza, me ne vado a passeggio, ecc.), esprime un particolare coinvolgimento del soggetto nell’evento descritto dal verbo. Si tratta pertanto di usi pronominali intensivi, a cui si ricorre per soddisfare un’esigenza che nel sistema della grammatica italiana non è rappresentata da una funzionalità verbale specifica. Nel latino pre-letterario e nel greco antico esisteva per questo scopo la cosiddetta "diàtesi media", ossia un sistema di coniugazione verbale, "intermedio" fra forma attiva e passiva, che consentiva di esprimere una particolare partecipazione del soggetto all’azione verbale. Rispetto alla forma attiva, che descrive un processo che parte dal soggetto e termina in genere "fuori" di esso, nella forma "media" lo stesso evento resta interno al soggetto o ricade comunque nell’ambito dei suoi interessi (come, per esempio, nei verbi dispiacersi, nutrirsi e servirsi (di qualcosa)). Nell’italiano, la funzione "media" traspare anzitutto in una serie di verbi pronominali in cui l’utilizzo del pronome è obbligatorio (i cosiddetti "intransitivi pronominali": annoiarsi, vergognarsi, pentirsi, risentirsi, accorgersi, ricordarsi, adirarsi). Si manifesta inoltre nell’utilizzo ridondante dei pronomi intensivi o "affettivi" di cui si sta appunto parlando, in espressioni del tipo mangiarsi una torta, godersi lo spettacolo, ecc. Ciò che caratterizza questi usi è: 1) la prospettiva intermedia fra l'attivo e il passivo: queste forme esprimono, a seconda dei casi, un'azione che la persona del soggetto esercita per sé o su sé stesso, il personale e sentito coinvolgimento negli effetti dell’azione svolta (il soggetto è allo stesso tempo origine e destinatario dell’evento: annoiarsi, mangiarsi una pizza); 2) la variazione morfologica in virtù della quale i verbi transitivi così utilizzati vengono trattati come verbi pronominali a tutti gli effetti, come è chiaro dal cambiamento dell’ausiliare nella coniugazione dei tempi composti (ho fatto una passeggiata, ma mi sono fatto una passeggiata). D’altra parte, il coinvolgimento del soggetto nell'evento di cui il soggetto stesso è fonte e protagonista permette di avvicinare questi usi intensivi o "di affetto" ai verbi cosiddetti intransitivi pronominali (pentirsi, addormentarsi ecc.) e ai riflessivi indiretti (anche detti "riflessivi apparenti" o "impropri" o "transitivi pronominali", che rivelano l'appartenenza dell'oggetto alla persona del soggetto: lavarsi le mani, radersi la barba, togliersi il cappello). Si tratta di usi tutti generalmente riflessivi, sulla base di una nozione estesa della riflessività che attribuisce "valore riflessivo a tutte le forme verbali accompagnate dal pronome atono indicante il soggetto stesso. [...] Tutte queste forme verbali hanno un fondamentale valore comune: indicano che il soggetto è punto di partenza e punto di arrivo dell'evento descritto dal verbo" (Sabatini-Coletti, s.v. riflessivo). E Andrea De Benedetti (Val più la pratica, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 62) definisce questi usi «una forma di iper-codificazione della persona verbale (“mi sono visto un bel film”, “si è mangiato un panino con la mortadella”) che si fa in due comparendo contemporaneamente come soggetto e come beneficiario dell’azione». In altri casi, diversi tuttavia dagli esempi proposti dalle domande dei lettori, l’introduzione di una particella pronominale "ridondante" assume una funzione conativa e comunica atteggiamenti o azioni dell’interlocutore che comunque interessino il parlante, o viceversa, più affettivamente che realmente: cosa mi hai combinato?; e in prospettiva opposta: chi ti vediamo? Si osservi però che in questi casi la persona del soggetto e quella del pronome non coincidono.
Per quanto riguarda il giudizio richiesto sulla correttezza, è necessario premettere che si tratta di un uso proprio del registro familiare e colloquiale, diffuso soprattutto nell’italiano centro-meridionale, generalmente ammesso nel parlato ma inopportuno negli scritti più formali e sorvegliati. Escludiamo anzitutto i casi già visti in cui in cui la forma pronominale è obbligatoria (accorgersi, congratularsi, incamminarsi, rammaricarsi, vergognarsi); e quelli in cui l’espressione del pronome non è indifferente, in quanto comporta la trasformazione del verbo da transitivo a intransitivo pronominale, con mutamento di costruzione e di prospettiva dell’azione (sbagliare/sbagliarsi, servire/servirsi). L’uso del pronome, d’altra parte, corrisponde a oggettive necessità di disambiguazione nei casi che sono stati detti «di appartenenza somatologica», ossia quando ci si riferisce a parti del corpo o indumenti o accessori che appartengano al soggetto: tagliarsi la barba (perché potrei anche tagliarla a un altro), lavarsi le mani, asciugarsi le lacrime, mettersi gli occhiali (ma certo si può anche dire, con poche possibilità di equivoco risolte dal contesto, soffiare il naso, grattare la testa, togliere la giacca). Questo anche perché, a differenza di altre lingue moderne (francese, inglese, tedesco), l’italiano in questi casi ammette raramente l’alternativa dell’uso dell’aggettivo possessivo (si è rotto una gamba, ma non ha rotto una sua gamba). Restano i casi in cui l’utilizzo del pronome è certo meno motivato sul piano logico e sarebbe quindi, secondo la vecchia terminologia, "pleonastico". Si tratta appunto dei casi in cui è prevalente la funzione affettivo-intensiva, e che possono comportare un cambio di costruzione e l’espressione di particolari sfumature: guardarsi un film (e altri casi globalmente riconducibili ad «attività biologiche o psicobiologiche dell’organismo»: appunto il mangiare, il bere, il godere, l’ascoltare, ecc.), rubare/rubarsi, sedere/sedersi («siedi!» e «siediti!»), sposare e sposarsi (il secondo si può usare anche assoluto), ricordare/ricordarsi (il secondo ammette anche l’uso intransitivo: «ti ricordi di quella vacanza?»), sbagliare/sbagliarsi («ho sbagliato» e «mi sono sbagliato»: si noti il diverso ausiliare). Si osservi infine che in alcune espressioni decisamente familiari il pronome non possa omettersi: farsi una pizza, spararsi una birra e sim. In generale, il giudizio sulla correttezza di questi usi non può prescindere dal contesto comunicativo e testuale in cui ricorrono, che può ammettere o richiedere l’espressione dell’affettività e, in testi letterari, l’immediatezza narrativa e la mimèsi del parlato. Ma in alcuni casi questi usi pronominali sono da ritenere certamente non accettabili. Per esempio, è oggi da considerare errore il mantenimento dell’ausiliare avere in presenza del pronome, che pure si sente, specie in area centromeridionale per condizionamento dialettale, come in questo esempio di parlato, da un video che ho trovato in rete: "Io m’ho bevuto tutta l’acqua". Ma in passato era possibile che l’ausiliare fosse avere: ce ne offre vari esempi il teatro comico ("Ho bevuto e mangiato" [...] "Anch’io m’ho reficiato" – ossia ‘mi sono ristorato’ – in Goldoni; "m’ho bevuto quasi una bottiglia di Sciampagna", in Filippo Casari, 1829). Quanto alla presenza del pronome di prima o seconda persona singolare, ce n’è un esempio in questo passo del Manzoni: "Che ti fanno i bergamaschi? Spediscono a Venezia Lorenzo Torre, un dottore, ma di quelli!" (Promessi sposi XVII). Anche il latino classico poteva esprimere questa dimensione "affettiva" mediante l’utilizzo di un pronome pleonastico, particolarità registrata nelle grammatiche scolastiche come "dativo etico". Nelle grammatiche in uso nei licei, gli esempi più frequenti per documentare quest’uso sono tratti da Cicerone: Quid mihi Tulliŏla agit? ['Che mi fa la piccola Tullia?', nel senso di 'come sta la piccola Tullia a me tanto cara?']; At tibi repente venit Caninius ['Ed ecco che all’improvviso ti arriva Caninio']; Tu mihi istius audaciam defendis? ['e tu mi vieni a difendere la sfrontatezza di costui?']. E dacché siamo tornati al latino, ancora una nota sulla coniugazione "media" dei verbi. La primitiva funzione del sistema dei verbi deponenti latini (che, come scolasticamente sui dice, "si coniugano al passivo ma hanno significato attivo") era proprio quella indicare eventi o azioni che si manifestano nel soggetto o partono dal soggetto, il quale è al tempo stesso origine, protagonista e "destinatario" dell’azione: ne sono esempi tipici nascor 'nasco', morior 'muoio', patior 'soffro', vescor 'mi cibo'.
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