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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Attitude: attitudine o atteggiamento?

Edoardo Lombardi Vallauri

PUBBLICATO IL 31 luglio 2023

Quesito:

Alcuni lettori ci chiedono se sia corretto adoperare attitudine come sinonimo di atteggiamento, uso che incontrano spesso in programmi televisivi. Altri, probabilmente anche in considerazione di tale fluttuazione di significato, chiedono se l’inglese attitude sia da tradurre con attitudine o con atteggiamento.

Attitude: attitudine o atteggiamento?

Il sostantivo attitudine ha per lo più in italiano il senso di una dote o inclinazione innata, che facilita una pratica o un’attività. Si può avere attitudine per il canto, per la matematica, per gli sport di palla. Questo è coerente con l’origine della parola, che è dal tardo latino aptitudo, derivato di aptus, ‘adatto’, da cui anche l’aggettivo italiano atto, con lo stesso significato: atto al servizio militare. Chi ha attitudine è dunque adatto a fare una cosa. Si tratta di una condizione permanente o almeno durevole, ben radicata nella persona.

Diverso è dunque il significato di atteggiamento, che significa una posizione del corpo o un modo di porsi nei confronti di persone e cose, dunque il manifestarsi di opinioni, gesti o azioni che può essere anche momentaneo e transitorio, e che comunque pertiene più all’agire di qualcuno nelle situazioni, che non alle caratteristiche intrinseche della sua persona. Atteggiamento infatti ha origine nei termini latini actus e actum, che significano ‘atto, azione’, derivati di agere, ‘condurre, agire, fare’.

Tuttavia, da questa radice latina del ‘fare, agire’ è stato tratto in italiano (almeno a partire dal XVI secolo) anche un secondo termine attitudine, che aveva in origine il senso di ‘posizione, postura o atteggiamento del corpo’. Così lo adopera Leonardo da Vinci già prima del 1519, e in seguito molti altri. Ecco alcuni esempi:

tenendo la spada in mano o altr’arma, si pon senza pensar scioltamente in una attitudine pronta, con tal facilità che paia che il corpo e tutte le membra stiano in quella disposizione naturalmente e senza fatica alcuna. (B. Castiglione)

aveva il ditto giove innella sua mano destra accomodato il suo fòlgore in attitudine di volerlo trarre. (B. Cellini)

sani con feriti, moribondi con boccheggianti s’abbaruffano in ogni strana attitudine. (B. Davanzati)

Meno frequente dell’altro termine nell’uso durante tutta la storia dell’italiano, questo è di solito presente nei dizionari come attitudine2, mentre quello derivato da aptus con senso di ‘dote o inclinazione’ figura come attitudine1. Entrambe le parole sono state coniate come voci dotte, cioè non sono state direttamente tramandate dai parlanti modificando in modo inconscio le loro abitudini di pronuncia del latino. La perfetta convergenza fonetica dei due termini è peraltro del tutto regolare, perché in italiano si assimilano in -tt- sia il nesso latino -pt- che quello -ct-: optimum ottimo, e lacte latte.

Nel XIX secolo attitudine2 ha poi acquisito anche il senso traslato di modo di porsi non solo corporeo ma anche mentale o verbale, dunque un significato analogo a quello di atteggiamento: un’attitudine intesa come l’atteggiarsi nei confronti di qualcosa: porsi in un’attitudine di ascolto. Se ne vedano qui alcuni esempi letterari:

il frate mise la mano sul capo bianco del servitore, che, quantunque più vecchio di lui, gli stava curvo dianzi, nell’attitudine d’un figliuolo. (A. Manzoni)

poi, spianando la destra per aria sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di predicatore,... esclamò. (A. Manzoni)

quello che più mi addolora nel momento presente non è tanto l’attitudine dell’autorità di fronte alle idee che ispirano il nostro movimento religioso, quanto la durezza dei suoi metodi. (A. Fogazzaro)

io non potevo avere verso di lui altra attitudine che quella di un cane impaurito. (G. D’Annunzio)

ella ha atteso nella stanza in quell’attitudine di fatalmente rassegnata. (A. Palazzeschi)

Questo significato traslato è – a seconda dei contesti e delle epoche – calco semantico sul francese attitude, che ha il senso dell’italiano atteggiamento, o sull’inglese attitude (Klajn 1972, p. 138), che ha lo stesso senso benché sia un esito successivo di aptitude, il quale a sua volta è dal francese aptitude, termini questi ultimi che in ambo le lingue continuano a significare ‘disposizione, inclinazione, talento’, cioè attitudine1. Dunque nell’accezione che i nostri lettori pongono al centro delle loro domande il termine è frutto di influsso francese o inglese a seconda dei casi, ma non recentissimo. Ad esempio è lecito supporre che Manzoni recepisca un prestito semantico dal francese. Inversamente, si può attribuire alla recente accresciuta familiarità dei parlanti italiani con l’inglese, e quindi in sostanza a un riproporsi del meccanismo del calco semantico basato su quella lingua, se negli ultimi anni è divenuto più frequente incontrare la parola italiana attitudine usata nel senso di ‘atteggiamento’.

Rientrano in questa recente vitalità del calco semantico dall’inglese i casi di linguaggio giornalistico a cui accennano i nostri lettori, e facilmente rintracciabili da chiunque. Ad esempio, una lettrice ha ascoltato questa frase in un programma televisivo:

Nell’esibizione canora, il ragazzo aveva un’attitudine positiva;

e ci chiede conferma che sarebbe stato meglio dire “un atteggiamento positivo”. Usi simili si rinvengono del resto anche da parte di chi si rivolge all’Accademia chiedendo consigli su altre questioni:

Ho vagamente idea che esista un termine appropriato per definire l’attitudine di chi scredita i tempi contemporanei a favore di quelli passati;

oppure:

Sul mio luogo di lavoro un dirigente si rivolge ai quadri scrivendo delle lunghe lettere tutte in maiuscolo. Trovo questa attitudine una forma di grande scortesia.

Tirando le fila della situazione che abbiamo descritto, e venendo alla domanda dei nostri lettori su quali termini sia più giusto adoperare, si deve anzitutto dire che la minore frequenza di attitudine2 rispetto ad atteggiamento o ad attitudine1 non deve far pensare a un termine poco corretto, o confinato in forme meno sorvegliate della lingua. Esso anzi percorre la storia della lingua colta, come mostrano fra i molti altri gli esempi letterari che abbiamo dato sopra. Entrambi i sensi sono dunque disponibili e associati alla parola italiana attitudine. Il parlante può scegliere di usarla anche nel secondo significato, oppure di ricorrere per quel senso al più usuale e collaudato atteggiamento.

La scelta, però, come sempre in materia di lingua, determina effetti diversi. Ad esempio, nessuno può dire se sia più giusto usare pantaloni o brache per designare quell’indumento, ma è chiaro che il risultato è differente. Possiamo dunque cercare di caratterizzare i diversi effetti che si producono usando attitudine oppure atteggiamento, quando si voglia esprimere il senso di ‘modo di porsi e di agire verso qualcosa o qualcuno’. Fino a qualche anno fa, usare attitudine con questo senso era una scelta che produceva un effetto arcaizzante e quasi solenne, per via della relativa rarità di tale accezione e del suo essere stata prevalentemente adottata in contesti letterari o comunque formali. Oggi la situazione si è quasi capovolta, perché questo uso di attitudine richiama immediatamente la contiguità all’inglese, quindi esprime piuttosto, da parte del parlante, una matrice culturale e un atteggiamento linguistico (o se si preferisce un’attitudine!) moderni o disinvolti. Come moderno, anche se forse non disinvolto, doveva apparire il calco semantico dal francese attitude sotto la penna del Manzoni.

Nota bibliografica:

  • Klajn 1972 = Ivan Klajn, Influssi inglesi nella lingua italiana, Firenze, Olschky, 1972.

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