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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Etica e morale: c’è differenza?

Simona Cresti

PUBBLICATO IL 15 febbraio 2023

Quesito:

Alcuni lettori ci chiedono quale sia la differenza tra etica e morale.

Etica e morale: c’è differenza?

Nei dizionari contemporanei troviamo etica messo a lemma come sostantivo femminile, e morale invece come aggettivo che può avere anche un uso sostantivato, sia al femminile che al maschile. Quello che interessa ai nostri lettori è il rapporto tra il significato del sostantivo femminile etica e quello di morale nel suo uso sostantivato femminile (la morale e non il morale, con cui invece si intende lo ‘stato d’animo’, la ‘condizione psicologica’, per esempio in contesti come “avere il morale alto”, “essere giù di morale”, Zingarelli 2022).

A ben guardare, anche etica nasce però da un aggettivo: per la precisione, etico ‘relativo all’etica’, a cui nei dizionari è dedicata un’entrata a sé stante, riproduce l’aggettivo greco ēthikós ‘relativo al carattere’, a sua volta riconducibile al sostantivo greco êthos, il quale può essere tradotto in molti modi: innanzitutto come ‘dimora, sede, abitazione, soggiorno’ ma, in senso esteso, anche come ‘consuetudine, uso, abitudine, costume, istituzione’ e come ‘carattere, indole, inclinazione, stato dell’animo’. Centrale, per comprendere il passaggio semantico, è il concetto di “abitudine”, che unisce idealmente l’idea dell’“essere a casa” (se vogliamo, il luogo sicuro, in cui mettiamo in atto i ritmi quotidiani a noi consueti) con quella dell’“avere un certo carattere” inteso come una serie di consuetudini e attitudini psicologiche, personali o comunitarie. Da êthos, per esempio, deriva anche la parola etologia, che è appunto lo ‘studio dei caratteri e dei costumi di un popolo’ e anche il ramo della biologia che studia il comportamento animale (Vocabolario Treccani online). E pure ethos è una parola presente nei vocabolari italiani, adottata dal greco in forma semplicemente traslitterata o al massimo, ma più raramente, come etos (privata della h, che dopo la t traslittera la lettera greca theta, che rende l’aspirazione della dentale sorda che manca alla tau, resa con la semplice t) e messa a lemma col significato attuale di ‘regola, norma di vita’ (Zingarelli 2022), oppure, come specifica il Vocabolario Treccani online, con un significato specialistico di ambito filosofico-sociologico e uno più ampio:

èthos <ètos> s. m. [traslitt. del gr. ἦϑος]. – Nel linguaggio filos. e delle scienze sociali, il costume, la norma di vita, la convinzione e il comportamento pratico dell’uomo e delle società umane, e gli istituti con cui si manifestano storicamente: è l’oggetto proprio dell’etica. In senso più generale, comportamento e abitudini di vita, riferito anche agli animali e alle piante (v. etologia […]).

Morale, similmente, è l’esito italiano dell’aggettivo latino moralis (moralem all’accusativo), da ricondurre a sua volta al sostantivo mos, moris, che – a differenza di êthos – non è passato come tale nei dizionari italiani. Anche mos, in latino, è una parola ricca di sfumature, che può essere tradotta come ‘maniera di comportarsi, modo d’agire, costume, usanza, abitudine, tradizione’, anche caratterizzandola in senso positivo o negativo (‘buoni costumi, moralità’ e ‘malcostume, corruzione’) o, al pari della cugina greca, come ‘carattere’ (in certi casi ‘volontà, desiderio, capriccio, arbitrio’) e, in determinati contesti, come ‘legge, regola, norma’.

Secondo Bruno Migliorini [Parole d’autore (onomaturgia), Firenze, Sansoni, 1975, p. 72], l’aggettivo moralis fu coniato da Cicerone ricalcando il greco ētikhós, dunque con un’operazione simile a quelle che facciamo oggi quando vogliamo “dire nella nostra lingua” una parola appresa da un’altra. Nell’incipit del De Fato si legge, infatti:

[…] dato che si riferisce al nostro comportamento, che loro chiamano ethos, mentre noi siamo soliti chiamare quella parte della filosofia “scienza dei costumi”; ma è il caso di chiamarla “filosofia morale”, se si vuole arricchire la lingua latina [quia pertinet ad mores, quod ethos illi vocant, nos eam partem philosophiae de moribus appellare solemus, sed decet augentem linguam Latinam nominare moralem] (Cicerone, Il fato, Roma, Carocci, 2014, p. 45 [De Fato, I])

Già nelle lingue da cui derivano, le parole che qui ci interessano funzionavano come aggettivi sostantivati. Al neutro plurale, tà ēthikà ‘le cose etiche’ (l’Etimologico, Tommaseo-Bellini) può essere inteso appunto come ‘l’etica’, ‘le opere morali’. L’esempio più luminoso di quest’uso si trova nei titoli delle opere aristoteliche di filosofia pratica nell’edizione di Andronico di Rodi, realizzata appunto raccogliendo tematicamente i vari trattati cosiddetti “acroamatici” attribuiti allo Stagirita: pensiamo per esempio agli scritti denominati Ēthikà Nikomácheia, in latino più tardi tradotti – al singolare – Ethica Nichomachea, e in italiano divenuti l’Etica Nicomachea.
Malgrado, come si è visto, in latino esistesse anche l’aggettivo ethicus prestato direttamente dal greco, un’altra raccolta aristotelica (o più probabilmente pseudo-aristotelica, e meno famosa) di opere morali, Ēthikà Megála, fu nota al mondo intellettuale latino come Magna Moralia (in cui moralia è neutro plurale, ‘le cose morali’). Neppure la fortuna di questo aggettivo sostantivato può essere messa in dubbio: moralia ricorre spesso nei titoli di opere antiche e moderne: basti pensare all’omonima raccolta di Plutarco (nel cui caso il titolo è di nuovo una traduzione tarda di tà ethikà) e, per citare un autore molto più recente, a Minima Moralia di Theodor W. Adorno, che fa eco proprio al titolo dell’opera aristotelica. Eppure, nel passaggio all’italiano, la posizione nei dizionari italiani contemporanei del sostantivo morale si mantiene più discreta rispetto a quella di etica, ossia, come si è visto, nidificata all’interno del lemma dedicato all’aggettivo.

Al di là di queste riflessioni preliminari, veniamo al significato, che è molto vasto sia per etica sia per morale. I dizionari ci aiutano a fare ordine nella materia, segnalando generalmente, per entrambe le parole, un’accezione tecnico-specialistica desunta dal lessico filosofico, accompagnata dalle marche di voce “dotta” o “tecnico-specialistica”, e un’altra più comune (cfr., per esempio, Zingarelli 2022, GRADIT, o Sabatini-Coletti, che per morale dà priorità all’accezione comune, e Garzanti, che lo fa per entrambe le parole). Prendiamo, per semplificare, le definizioni fornite dallo Zingarelli 2022; nel caso di morale per adesso riferendoci, come si è detto, solo ai significati associati all’uso sostantivato:

etica
1. Parte della filosofia che studia i problemi e i valori connessi all’agire umano: “la distinzione fra bene e male è propria dell’etica”; “l’etica kantiana”. Etica normativa (o precettiva), etica descrittiva, a seconda che si proponga, o meno, di raccomandare norme di comportamento.
2. Insieme di norme di condotta pubblica e privata seguite da una persona o da un gruppo di persone: “un’etica severa”, “la mia etica professionale”, “l’etica cristiana”, “l’etica di Giolitti”, “etica di De Gasperi”.

morale
1. Parte della filosofia che studia i problemi relativi alla condotta dell’uomo. SIN. Etica.
2. complesso di consuetudini e norme che regolano la vita pubblica e privata: m. individuale, m. collettiva; è un uomo senza morale.

Fin qui, le definizioni appaiono molto simili, quasi sovrapponibili. Effettivamente etica e morale sono sinonimi: ma, come sappiamo, in una lingua è molto difficile imbattersi in due sinonimi perfetti (situazione che si presenta quasi solo nel caso di parole con significato molto ristretto e preciso: per fare un esempio, peraltro non universalmente condiviso, le preposizioni tra e fra). Più frequentemente, due sinonimi condividono il significato fondamentale, per il quale risultano spesso sostituibili l’uno con l’altro, ma mantengono alcune differenze per cui risultano non interscambiabili, su altri piani semantici (le accezioni secondarie) o in relazione ad altre variabili della situazione comunicativa (pensiamo alla scelta del registro e alle differenti connotazioni: non in tutti i contesti in cui diciamo nubile potremmo dire zitella).

Tra questi sinonimi “imperfetti” figurano anche le nostre due parole. Nella prima accezione, etica e morale possono essere rimpiazzate l’una con l’altra senza alterare il messaggio: parlare di “etica kantiana” risulta, nella maggior parte dei contesti, pressoché identico a parlare di “morale kantiana”, se intendiamo riferirci alla parte dedicata al problema del giusto agire nel sistema filosofico di Immanuel Kant. La nostra sensibilità di parlanti ci rende meno sicuri di questa interscambiabilità già a partire dalla seconda accezione: possiamo ancora sostituire con la stessa serenità etica con morale in una frase come “Giulio ha un’etica severa”, o morale con etica in “Giulio è un uomo senza morale”? Le domande dei nostri lettori nascono proprio da perplessità di questo genere. La questione si complica ulteriormente in presenza di polirematiche come etica professionale: possiamo certo parlare di morale professionale, ma il significato non sembra esattamente preservato. Una sostituzione che mantenga intatto il significato veicolato diventa poi impossibile se prendiamo, per esempio, la terza accezione con cui lo Zingarelli registra morale:

3. la morale della favola: l’insegnamento che si può trarre da un fatto o da un racconto: la m. della favola è che hai sbagliato tutto | morale della favola (fig., anche scherzoso) in conclusione: perciò, m. della favola, ho pagato tutto io.

per la quale evidentemente morale non si può sostituire con etica, pena una perdita di significato.
Il fatto che i test di sostituzione sinonimica falliscano per le polirematiche non costituisce, ovviamente, una sorpresa. Un’espressione polirematica è una parola composta da più elementi il cui significato complessivo è indipendente rispetto a quello dei singoli costituenti e non semplicemente desumibile dal loro accostamento: un “qualcosa di più”, o “di diverso”, che usualmente non si mantiene intatto quando uno dei suoi elementi è rimpiazzato da un sinonimo (per esempio: bacchetta magica e *bastoncino magico). Le espressioni che abbiamo citato però, così come altre polirematiche in cui le nostre parole figurano come aggettivi (ce ne sono molte formate con morale), costituiscono ottimi esempi per aiutarci a considerare in quali “direzioni” il significato di etica e quello di morale si siano orientati e quali sfumature abbiano assunto, in certi casi fino a cristallizzarsi, in italiano. Allo stesso scopo è utile considerare le famiglie di parole legate a etica e morale, in relazione alle quali il rapporto di sinonimia che adesso analizziamo si fa più complesso.

Osserviamo per esempio gli aggettivi etico e morale, iniziando di nuovo dal vocabolario (anche in questo caso, per comodità, prendiamo a riferimento lo Zingarelli 2022):

etico
1. (filos.) che concerne l’etica o la filosofia morale.
2. che attiene all’agire umano valutato in relazione a principi di ordine morale | codice etico, insieme di principi di natura morale da osservare nell’esercizio di una specifica attività.
3. (gramm.) dativo etico, complemento che esprime la partecipazione affettiva con cui una persona segue l’azione espressa dal verbo (per es. mi in ‘stammi bene’ oppure in ‘che mi combini?’)

morale
AGG: 1. che concerne il comportamento umano in relazione alle categorie del bene e del male (giudizio morale, precetto, massima ecc.).
2. conforme ai principi di ciò che è buono e giusto (libro, discorso m.).
3. relativo al mondo dello spirito, della coscienza (forza, fiacchezza, aiuto m.).

Potremmo semplificare così: se nella definizione di etico (il solo fra i due aggettivi che appare legato alla filosofia, per lo meno in una accezione) i “concetti chiave” sembrano essere quello della direzione da dare all’agire (cfr. codice etico, che assomiglia all’espressione etica professionale), conformemente al significato che hanno i sostantivi etica e morale intesi in senso tecnico-filosofico, e quello della partecipazione emotiva a un’azione (come nel caso del dativo etico della grammatica), nell’aggettivo morale echeggiano invece “le categorie del bene e del male”, e dunque il giudizio di valore, o concetti fortemente caratterizzati in senso metafisico come quelli di “spirito” e “coscienza”. Abbiamo dunque, nella lingua che parliamo, una gamma di espressioni che va dalle più “neutre” come libertà morale (‘facoltà dell’uomo di agire con coscienza in modo indipendente dai valori comunemente approvati’ e ‘libero arbitrio’) e coscienza morale (‘consapevolezza della portata etica delle proprie azioni’) a quelle più marcate in senso assiologico (queste e le seguenti definizioni sono tratte dal Nuovo De Mauro). Ne citiamo alcune:

senso morale ‘capacità innata e istintiva dell'uomo di discriminare il bene e il male e di provare gioia nel compiere o nel veder compiere buone azioni’

vittoria morale ‘quella di chi, pur essendo stato materialmente sconfitto, può essere considerato il vero vincitore per motivi di ordine morale’

questione morale ‘nella pubblicistica italiana, dagli anni Settanta in poi, manifestazione della necessità di un impegno da parte dei partiti al rispetto dei principi di onestà e correttezza nella gestione del denaro pubblico’

responsabilità morale ‘responsabilità di chi non è estraneo ad atti illeciti per la posizione occupata, per le affermazioni fatte o per la condotta mantenuta’

riarmo morale ‘impegno collettivo assunto in vista di un rinnovamento morale della società; ‘denominazione di un movimento religioso ispirato alla predicazione del pastore americano Frank Buchman (1878-1961), basato sulla completa dedizione al Cristo, sull’onestà e sull’altruismo assoluti’

autorità morale ‘quella di chi, pur non avendo un effettivo potere, gode di prestigio derivante da stima e affetto’

E, per morale inteso nella terza accezione:

schiaffo morale ‘forte delusione, cocente umiliazione’

danno morale ‘danno che consiste nella lesione di un interesse non patrimoniale’

Tornando a un esempio con i sostantivi, la distinzione si fa sempre meno sottile quando prendiamo un’espressione come fare la morale (del tutto inaccettabile se sostituita con etica: *fare l’etica), che vale ‘impartire a qualcuno ammonizioni o biasimi, criticarne il comportamento con tono di superiorità’: la superiorità di chi si ritiene, appunto, “dalla parte del giusto”. E caratterizzate da una simile sfumatura, per lo più spregiativa, possono essere anche moraleggiante, moraleggiare, moralismo, moralista, moralistico, moralizzare, moralizzabile, moralizzatore: una sfumatura che non è partecipata invece dalla famiglia, meno numerosa, di parole legata a etica (ethos, eticamente, eticista, eticità…).

Per approfondire la questione, i lessicografi che hanno compilato il vocabolario Zingarelli propongono un utile prospetto denominato “Sfumature di significato”, al quale rimandano sia la definizione di etica sia quella di morale. Ne citiamo una parte:

Il complesso di consuetudini e norme che una persona o una collettività considerano come giuste e necessarie, e dunque accettano e propongono come modello da seguire nella vita pubblica e privata, in un’attività e simili si definisce morale. […] Un altro termine per identificare l’insieme delle norme di comportamento di un singolo o di un gruppo umano è etica. Nel linguaggio filosofico si tende a differenziare i due termini, preferendo il termine morale per indicare l’insieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un gruppo, e riservando la parola etica alla speculazione filosofica sul comportamento umano, cioè alla morale intesa come disciplina (Zingarelli 2022).

Parafrasando: esiste una riflessione tecnica che tende a distinguere il concetto di morale, più direttamente legato al giudizio di valore su ciò che è giusto e sbagliato, da quello di etica, che richiamerebbe invece una dimensione teorica più astratta, capace di riflettere sulla morale stessa e farvi ordine concettuale. Il problema, nell’etica, non sarebbe più dunque quello assiologico di capire se qualcosa è giusto, ma quello ontologico di definire che cosa è giusto, o come in generale è possibile indirizzare l’agire.

Questa sistematizzazione, che ha il pregio di semplificare, ha anche il difetto di irrigidire in una distinzione indeformabile una questione che nel campo sterminato della riflessione filosofica, così come in quello ancora più aperto (e soprattutto plastico) della lingua che parliamo, resta molto complessa e articolata. Senza pretendere di addentrarci in caratterizzazioni specialistiche (per le quali un’utile introduzione per i non addetti ai lavori può essere la voce dell’Enciclopedia Treccani dedicata a etica), ci limitiamo a notare che la distinzione che abbiamo abbozzato, nei fatti, sussiste, anche se nella lingua non è sempre rispettata con rigore. Esistono moltissimi tipi di approcci all’etica: per molti di questi il fine della riflessione non è necessariamente legato al concetto di “Bene”, ma, per esempio, a quelli di felicità (l’etica eudaimonistica di Aristotele), di piacere (l’etica edonistica epicurea), di utile (l’utilitarismo di Jeremy Bentham): eppure non è infrequente imbattersi in contesti in cui per descrivere le stesse cose si usa la parola morale (il motore di ricerca Google restituisce 24 risultati per “morale eudaimonistica”, 967 per “morale edonistica” e 219 per “morale edonista”, 1380 per “morale utilitaristica” e 813 per “morale utilitarista”). Così come, nella raffinata giungla delle distinzioni specialistiche, è possibile veder chiamare morale + agg. l’etica normativa, l’etica descrittiva, le etiche applicate ecc. (in perfetto accordo, in fondo, con quanto espresso nei vocabolari sulla sostanziale sinonimia delle accezioni principali delle nostre due parole).

Tralasciando le distinzioni tra i concetti di etica e morale che valgono solo all’interno dei sistemi filosofici di singoli autori (come quella, la più famosa forse, di Hegel), familiari solo a chi parla la lingua dello specialista di quei pensieri, riportiamo un esempio tratto dalla traduzione italiana di Etica di William K. Frankena, che è invece una famosa introduzione di carattere descrittivo e generale allo studio della filosofia pratica. Per spiegare cosa si debba intendere per etica (disciplina sistematica che problematizza il livello dell’agire morale irriflesso, “acritico”), si usano comunque perifrasi che contengono l’aggettivo morale:

L’etica [Ethics] è una branca della filosofia, è la filosofia morale [moral philosophy] o il pensiero filosofico sulla moralità [morality], sui problemi morali [moral problems] e sui giudizi morali [moral judgements]. […] La filosofia morale comincia quando […] superiamo la fase in cui siamo diretti dalle norme tradizionali ed anche la fase in cui queste norme sono così interiorizzate da poter dire che siamo internamente-diretti e, giungendo alla fase in cui pensiamo da soli in termini critici e generali […], raggiungiamo una sorta di autonomia come agenti morali. (William K. Frankena, Etica. Un’introduzione alla filosofia morale, Milano, Edizioni di Comunità, 1981, p. 49 [ed. or. Id., Ethics, Englewood Cliffs, New Jersey, Prentice-Hall, 1973]; grassetti e originali tra quadre nostri)

Questa differenza concettuale, come si è iniziato a intuire, non si ripercuote solo sul linguaggio tecnico della filosofia: le sfumature di significato che abbiamo visto, per quanto, appunto, non sempre rispecchiate da una corrispondenza univoca con le parole etica (o etico) e morale, sono prontamente fotografate anche dalla lingua comune, e una riprova ne è per esempio l’alta disponibilità dell’aggettivo immorale, che fondamentalmente significa ‘cattivo’. Volendo essere più precisi, citiamo i sinonimi di immorale riportati dal Vocabolario Treccani Sinonimi e contrari: amorale, degenerato, degenere, depravato, impudico, pervertito, turpe, vizioso. E ancora, se riferito a una cosa: impudico, indecente, licenzioso, scandaloso, scostumato, turpe, vizioso. Il fatto che il contrario di etico, invece, si possa esprimere solo con locuzioni come poco etico, che peraltro non ha un significato ugualmente negativo, ci conferma una volta di più lo status assiologicamente marcato di morale.

Germi di queste differenti sfumature si rintracciano già nell’italiano delle origini, e sono forse da correlare al dato storico relativo alla fortuna medievale di Aristotele, che, dopo essere stata legata a una fama perlopiù indiretta e filtrata da traduzioni arabe, all’avversione di una parte della Cristianità dotta, alla concorrenza della tradizione platonica e neoplatonica, cresce enormemente nella seconda metà del XIII secolo. Da quel momento, le opere di quello che diviene il “filosofo” per eccellenza iniziano a circolare in molte nuove traduzioni latine e volgarizzamenti. Tra queste è compresa l’Etica Nicomachea, la più famosa delle tre opere dedicate alla filosofia pratica dell’edizione di Andronico. Il TLIO (Tesoro della Lingua Italiana delle Origini infatti lemmatizza etica, definendola ‘1. [Filos.] La parte della filosofia che si occupa dei valori e dei giudizi riguardanti il comportamento umano’ e, precisando con una seconda accezione, aggiunge significativamente: ‘1.1. Titolo di un'opera di Aristotele.’
In entrambe le accezioni, la parola è documentata dalla seconda metà del XIII secolo. Nel significato 1, la prima attestazione si rintraccia nella Rettorica di Brunetto Latini (1260-1261 ca.), nella quale l’etica è definita la “scienza” che insegna a “bene vivere e costumatamente, e dà connoscimento delle cose oneste e dell'utili e del lor contrario” (Brunetto Latini, La Rettorica, testo critico di Francesco Maggini, prefazione di Cesare Segre, Firenze, Le Monnier, 1968, p. 46). Il primo documento in cui invece si cita l’Etica aristotelica, opera tanto nota da diventare l’etica per antonomasia, è indicato come il volgarizzamento senese del De regimine principum di Egidio Romano: “Il filosafo dice, nel secondo libro dell'Etica, che dodici virtù sono di buone operazioni” (Del reggimento de' principi di Egidio Romano. Volgarizzamento trascritto nel MCCLXXXVIII, a cura di Francesco Corazzini, Firenze, Le Monnier, 1858, L. 1, pt. 2, cap. 3, p. 27).

Nel TLIO (attualmente in fase di compilazione) morale non è ad oggi lemmatizzata; consultando il Corpus OVI se ne trovano comunque attestazioni a partire dal 1268 (la prima appartiene al volgarizzamento di Andrea da Grosseto del Trattato della Dilezione, L. IV, cap. 50, cfr. Arrigo Castellani, Il Trattato della Dilezione d'Albertano da Brescia nel codice II IV 111 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, a cura di Pär Larson e Giovanna Frosini, Firenze, Accademia della Crusca, 2012, pp. 245-312). Oltre a comparire, come nel caso appena citato, in testi in cui descrive una parte della filosofia, quella pratica (la “filosofia morale”, la “scienza morale”, “la dottrina morale”, spesso abbreviata in “la morale”, cosa che lascia intravedere le radici di un progressivo processo di sostantivizzazione) e comportarsi dunque come sinonimo di etica, l’aggettivo morale appare in molti casi, fin da questi primi esempi, come marcato in senso assiologico. In uno dei più antichi, la traduzione del Trésor di Brunetto Latini già attribuita a Bono Giamboni (fine del sec. XIII), si legge per esempio:

Due sono le virtudi. L’una si è detta intellettuale, sì come è sapienza, scienza e prudenza. L’altra si chiama morale, sì come è castità, larghezza ed umiltà. Onde quando noi volemo laudare uno uomo di virtude intellettuale, diciamo: Questi è un savio uomo, intendente e sottile. E quando noi volemo laudare un altro uomo di virtù morale, cioè di costumi, noi diciamo: Questi è un casto uomo, umile e largo. (Il Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni, raffrontato col testo autentico francese edito da P. Chabaille, emendato con mss. ed illustrato da Luigi Gaiter, Bologna, Presso Gaetano Romagnoli, 4 voll., 1878-83, L. 6, cap. 7, p. 31)

Per chi abbia interesse a consultarli (e può farlo qui), seguono svariati esempi che ci mostrano l’aggettivo morale impiegato in questo senso: lo troviamo in espressioni come “virtù (o vertù, o vertude) morale”, “ovra [‘opera’] morale”, “morale nobilitate”, e anche usato in senso assoluto, come sinonimo di buono, onesto, giusto, casto, retto:

Epicuro fu solennissimo filosofo e molto morale e venerabile uomo a’ tempi di Filippo, re di Macedonia e padre di Alessandro. (Giovanni Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, c. X, par. 10, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di Vittore Branca, vol. VI, Milano, Mondadori, 1965 [a cura di Giorgio Padoan], p. 515)

Non mancano testi in cui la questione del bene e del male, questione morale per eccellenza, è presentata con toni accesi fino al dramma:

Quale è la guerra morale? Il costume del mondo sozzo e laido: ruba colui, ruba quell’altro, uccidi colui, uccidi quell’altro. E così de gli altri mali. Quale è il mezzo che dà pace a questa guerra morale? È la giustizia e la legge. Questo mezzo mette in pace la guerra del costume, o la morale che si chiami […]. (Franco Sacchetti, Sposizioni Vangeli, 1378-1281, cap. 49, in Id., La battaglia delle belle donne. Le lettere. Le Sposizioni di Vangeli, a cura di Alberto Chiari, Bari, Laterza, 1938, pp. 113-288: 283)

Quella stessa sensibilità che induce i parlanti a caricare morale di sfumature assiologiche spiega anche il significato della già citata espressione morale della favola, che usiamo anche oggi. In molti di questi contesti antichi, l’interpretazione detta morale è quella che rivela, a partire da un racconto, un insegnamento allegorico indirizzato al “Bene” (anche Boccaccio la usava così, cfr. per esempio le Esposizioni sopra la Comedia di Dante, c. I (ii), par. 19). Da qui il verbo moralizzare ‘interpretare (uno scritto) traendone un insegnamento morale’ e l’aggettivo moralizzato ‘interpretato in chiave morale (detto di una favola)’, entrambi registrati nel TLIO come attestati per la prima volta nel Commento all’Inferno dantesco di Francesco di Buti (1385-1395). Per esempio:

Et intorno a questo è da sapere che Isopo è uno libello che si legge a’ fanciulli che imparano Grammatica, ove sono certe favole moralizzate per arrecarli a buoni costumi. (Commento di Francesco da Buti sopra la «Divina Commedia» di Dante Alighieri, a cura di Crescentino Giannini, 3 voll., Pisa, Nistri, 1858-62, vol. I., p. 590)

Quando, agli inizi del XVII secolo, le nostre parole approdano alla lessicografia, lo fanno in forma piuttosto sintetica. Nella prima impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), etica figura col significato di ‘scienzia de’ costumi’, corredata dei corrispondenti greci e latini (ἠθική e philosophia moralis); morale, a differenza che nei dizionari contemporanei, è lemmatizzata sia come aggettivo, col significato di ‘appartenente a costume. Lat. moralis’, sia come sostantivo, semplicemente come ‘costume. Lat. mos’, senza alcun riferimento a una “scienza” o “filosofia”. Significativa è anche la correzione della definizione del sostantivo della quarta impressione (1729-1738), che da ‘costume’ diventa ‘costume buono’.

Tutt’altro che sintetica è invece l’impresa ordinatrice compiuta nel Tommaseo-Bellini (1861), una sistematizzazione capace di ripercorrere e confermare tutte le suggestioni che abbiamo evidenziato, e di raccogliere anche nuove istanze semantiche, evidentemente accumulate in un secolo, il XIX, florido per la produzione filosofico-letteraria italiana di stampo cattolico. Ne citiamo alcune parti. Etica è, nella prima accezione, la ‘scienza de’ costumi’ e il ‘costume, in lato senso, onde anco Abito e Indole d’animali’. E ancora: “L'etica è la teorica de’ costumi, trattata secondo la semplice umana ragione. Morale intendesi anco secondo i principii e le tradizioni della teologia cristiana […]. E perchè Ἔθος ha senso meno espressam[ente] mor[ale] di quel che suol darsi a Morale, sarà più pr[oprio] Etica del piacere, dell’amor proprio, dell’utile. La seconda e la terza accezione sono tutte dedicate ad Aristotele: “2. Dai libri così intitolati d’Arist., che nel gr. sono N. pl., e sottintendono Cose, o sim., vennero i tit. de’ Trattati d’etica, metafisica, e altri”; “3. Il Libro”.

Della voce morale (unica per aggettivo e sostantivo), il Tommaseo valorizza l’uso sostantivato tributandogli la prima posizione e richiamandosi espressamente ai valori del cristianesimo:

1. La Morale è il complesso de’ doveri e de’ consigli perfezionanti l’umana personalità. […] Nelle cose segnatam. della Chiesa cattolica discernonsi quelle che più direttam. concernono la fede, quelle che la morale, quelle che la disciplina […]. Morale religiosa, quella che fonda i suoi precetti sui principii religiosi. – Morale politica, quella che applica i generali principii di moralità alle faccende politiche […].

Soltanto dalla seconda accezione si definisce morale in senso “più generale”, ma comunque citando a più riprese il pensiero cattolico di Antonio Rosmini e di Alessandro Manzoni, che di Niccolò Tommaseo peraltro erano amici personali:

2. Più gen. che Scienza e Dottrina e sim. Tutto quel che concerne la volontà umana libera in quanto capace di merito e di demerito. (Rosm.) Forma della Morale, è l’atto della volontà col quale è posta quella stima a cui si congiungono le affezioni e le azioni dell’agente morale […].
La Morale evangelica, Le dottrine morali insegnate dal Vangelo, e la pratica di quegl’insegnamenti. Al. Manz. intitola un suo bel libro Della Morale cattolica, e in esso dimostra che la Morale cattolica non è diversa dalla Evangelica e dalla retta morale di tutte le coscienze, come voleva il Sismondi con leggerezza da francese del secol passato.

Si segnala la possibilità di sostituire etica con morale anche per identificare riflessioni non tese al perseguimento del “Bene”: “La Morale d'Epicuro è il piacere, non proprio la voluttà. – La Morale del Bentham è l’utile”. Addirittura, si fa coincidere l’idea di “Bene” con quella di “Vero”: “Una Morale del vero, parrebbe tautologia, perchè il vero e il bene non possono mai stare disgiunti”.

Seguono le accezioni “3. La Morale dell’uomo, dice I costumi, Il costume di lui” e “4. Quanto alla scienza. Dicesi Teologia morale agg., e Morale sost. – Studiar la Morale. – La Morale del…, il libro di tale o tal autore”, e il significato di alcune espressioni, tra cui morale della favola: ‘lapplicazione della finzione poetica a un morale insegnamento’, che è chiosato con la saggia e prudente considerazione “che talvolta, per vero, è poco morale”. La voce completa si trova qui.

Concludiamo. Con questa carrellata, che non ha alcuna pretesa di esaustività perché, intorno a parole e concetti così pregnanti, le questioni da approfondire e le precisazioni da fare sarebbero ancora moltissime, abbiamo provato a raccontare la storia delle nostre parole “fotografandone” il significato nel corso del tempo. Con questo speriamo di aver fornito alcuni strumenti utili a valutare la loro evoluzione e il loro posizionamento nell’italiano contemporaneo. Nella lingua corrente, in definitiva, etica e morale possono essere impiegate come sinonimi in molti contesti: da parlanti italiano in fondo lo sappiamo bene. Eppure, fin dall’italiano delle origini si rileva tra i due termini una differenziazione nell’uso che giustifica i dubbi dei nostri lettori. Gli spunti di riflessione offerti dalle loro domande, ancora una volta, ci offrono l’occasione per gestire le nostre scelte linguistiche con più consapevolezza: e qui, forse, sta la morale di questa risposta.




Cita come:
Simona Cresti, Etica e morale: c’è differenza?, “Italiano digitale”, XXIV, 2023/1 (gennaio-marzo), pp. .

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