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SOTTOPOSTO A PEER REVIEW

Possiamo mandarvi i nostri auguroni di buone feste?

Paolo D'Achille

PUBBLICATO IL 24 dicembre 2021

Quesito:

Sono arrivati vari quesiti sulla correttezza dell’accrescitivo auguroni. C’è anche una lettrice che si chiede se non sia preferibile la forma augurioni, visto che il singolare è augurio. Approfittiamo allora dell’oggetto di queste domande per mandare a tutti i lettori i nostri auguri più cari. 

Possiamo mandarvi i nostri auguroni di buone feste?

Il dubbio dei lettori si spiega probabilmente, oltre che con il riferimento al singolare augurio (esplicitato però solo da una di loro), col fatto che il correttore automatico di Word sottolinea la forma, ritenendola scorretta, e che l’accrescitivo, assente nei dizionari storici, non è registrato neppure in molti dizionari dell’uso (GRADIT, Vocabolario Treccani, Sabatini-Coletti, Garzanti). Va detto però che oggi s.v. augurio segnalano augurone sia lo Zingarelli 2022, sia il Devoto-Oli 2022, che lo marca come colloq[uiale] e aggiunge che è più frequente al plurale. E così è effettivamente: il motore di ricerca Google il 15 ottobre 2021 restituisce 35.300 risultati per il singolare augurone e ben 1.260.000 per il plurale auguroni (le forme augurione e augurioni hanno invece pochissime occorrenze). L’assenza della -i- si spiega, molto probabilmente, col fatto che l’accrescitivo è stato formato non sul singolare augurio, ma sul plurale auguri (in cui la prima i è stata “assorbita” dalla seconda), sentito probabilmente come forma autonoma, ormai lessicalizzata; augurone è da considerare una retroformazione dal plurale (un po’ come è avvenuto per latticino da latticini o re magio da re magi; cfr. Paolo D’Achille, Le retroformazioni in italiano, in Lessico e formazione delle parole. Studi offerti a Maurizio Dardano per il suo 70° compleanno, a cura di Claudio Giovanardi, Firenze, Franco Cesati, 2005, pp. 75-102).

L’accrescitivo, anche se a lungo trascurato dalla lessicografia in quanto colloquiale (non ne offre esempi il GDLI, né al plurale né al singolare, e neppure corpora testuali come MIDIA, DiaCORIS e PTLLIN), è tuttavia entrato da tempo in italiano. Le prime attestazioni che Google libri fornisce (interrogazione del 15 ottobre 2021) risalgono agli anni Trenta e sono le seguenti:

[...] sincerità, franchezza, affettuosità. Nervi abbastanza a posto. Prodigalità. Ed ora, sta in Lei credere o meno. Auguroni! (“Famiglia fascista”, 1934, p. 46)

Dall’Africa Orientale auguro un Augurone di buona Pasqua. Giovanni Ronci (Forlì) (da una breve lettera edita in Il cuore dei lavoratori nella guerra fascista, Roma, Unione Editoriale d’Italia, 1936, p. 94)

IL SIGNORE CON BARBA – Ecco qua la sua bella figliolona sportiva ... Ho sentito ... ho sentito ... Complimenti ... e auguroni ...
ROSETTA (a fior di labbro) – Grazie tante.
IL SIGNORECON BARBA – Be’ ... arrivederla , signora Felicita. Vado anch’io a mangiare un boccone.
FELICITA – Buon appetito, signor Ramazzotti.
(Giuseppe Adami, Felicita Colombo, “Il Dramma”, XI, 1936, 225, p. 4)

In un volume del 1947 (L’arte di scrivere le lettere. Lettere di scrittori Italiani modelli ed esempi, a cura di Dino Provenzal, Milano, Hoepli, p. 72) troviamo un esempio di Renato Serra del 1913 che, costituisce, al momento, l’attestazione più antica. Riporto per intero il passo (omettendo una nota):

Terminiamo con due righe di un critico artista ad un suo amico critico e artista come lui:
RENATO SERRA A CESARE ANGELINI
Cesena, 31 dicembre 1913
Caro Angelini,
    Buon anno a Lei. In questa mattina di neve fa piacere poter salutare con amicizia qualcuno in questo mondo così vivo e squallido: con amicizia piena di auguroni buoni! Mi creda suo
RENATO SERRA

Le attestazioni di auguroni crescono a partire dagli anni Sessanta ed evidentemente l’uso dell’accrescitivo diviene così frequente nella corrispondenza informale da attirare l’attenzione, in due interventi scritti a distanza di tempo, di una giornalista raffinata come Camilla Cederna (sulla quale cfr. Gianluca Lauta, Un lessico da salotto. Il linguaggio borghese degli anni Cinquanta negli articoli di Camilla Cederna, in Studi linguistici per Luca Serianni, a cura di Valeria Della Valle e Pietro Trifone, Roma, Salerno Editrice, 2007, pp. 283-296; Id., Ancora su Camilla Cederna lessicologa. La rubrica “Il lato debole”, “Studi di lessicografia italiana”, XXIX, 2012, pp. 231-267), che ne tratta insieme a salutissimi:

Siamo intorno al 1950, sulle cartoline si continua a scrivere «salutissimi» e «auguroni», per strada ci si saluta «ciao stella», o «ciao santo». (Camilla Cederna, I misteri del linguaggio mondano, Ulisse”, XXI, vol. IX, 1968, p. 204)

Riceviamo ancora cartoline con «auguroni, salutissimi, ciao te», che ci riportano alla preistoria. Al «come stai?» la risposta è spesso «freddamente» o «caldamente bene»: se no «riprendo quota» (purtroppo). (Camilla Cederna, Il lato forte e il lato debole, Milano, Mondadori, 1992, p. 104)

In effetti, se è vero che varie “formule di saluto possono essere alterate, più frequentemente quelle rappresentate da nomi, come bacini, bacioni, salutini, salutoni, auguroni” (Lavinia Merlini Barbaresi, Alterazione, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 264-292, a p. 267), forme di accrescitivi e superlativi del genere (oltre ad auguroni si usa anche augurissimi), del tutto normali nel linguaggio colloquiale, nella corrispondenza scritta suonano spesso un po’ trite, oppure assumono connotazioni particolari. Nonostante sia un accrescitivo (registrato come tale già nella lessicografia ottocentesca), un bacione è certamente meno coinvolgente e compromettente di un bacio, e così il plurale bacioni rispetto a baci (che nei messaggi di posta elettronica sembra caratterizzarsi come chiusura tipicamente femminile). Inoltre, dopo l’irridente hashtag #ciaone lanciato nel 2016 da Ernesto Carbone, membro della segreteria del Partito Democratico, all’indomani del referendum sulle trivelle (ma per i precedenti si veda il bel volume di Nicola De Blasi, Ciao, Bologna, il Mulino, 2018), ci mettiamo tutti un po’ in sospetto sul possibile uso ironico di accrescitivi del genere. Ma l’uso di Auguroni! (in italiano) alla fine dell’articolo con cui, il 18 dicembre scorso, “The Economist” ha nominato l’Italia “paese dell’anno” (“country of the year”) per i progressi che ha fatto nel corso del 2021, ci rassicura sul fatto che gli auguroni possono essere anche sinceri. E i nostri, credeteci, lo sono.





Cita come:
Paolo D'Achille, Possiamo mandarvi i nostri auguroni di buone feste?, “Italiano digitale”, XIX, 2021/4 (ottobre-dicembre), pp. .

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